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Delitto Vassallo: le novità dell’inchiesta e quel tentativo di silenziare la stampa

Rosaria Federico il . Campania, Criminalità, Forze dell'Ordine, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Memoria

La scoperta di un traffico di stupefacenti e il coinvolgimento di insospettabili imprenditori e carabinieri nell’affare criminale: sono questi gli elementi che avrebbero decretato la condanna a morte di Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica in provincia di Salerno, ucciso il 5 settembre del 2010.

Dodici anni dopo l’omicidio la nuova ricostruzione emerge da un decreto di perquisizione, emesso dalla Procura della Repubblica di Salerno, a carico di nove indagati.

Un’ipotesi investigativa che getta luce ma anche inquietanti interrogativi sull’uccisione del sindaco Pescatore e sull’inchiesta nella quale sarebbero stati messi in atto tentativi di depistaggio e di inquinamento delle prove, volti a coprire cointeressenze e collusioni tra apparati dello Stato e criminalità organizzata. Nuovi elementi che, in realtà, sono nelle carte dell’inchiesta già da molto tempo, alcuni addirittura emersi nei mesi immediatamente successivi all’omicidio, altri alcuni anni dopo, messi insieme e rispolverati solo oggi dalla Procura di Salerno.

Nove le persone iscritte nel registro degli indagati accusate a vario titolo di omicidio e associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Tre degli indagati eccellenti. Sono uomini dell’Arma: il tenente colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo, l’ex brigadiere Lazzaro Cioffi e il carabiniere Luigi Molaro che nel 2010 facevano parte della stessa squadra investigativa in servizio a Castello di Cisterna in provincia di Napoli.

E nei giorni precedenti e successivi all’omicidio erano in vacanza ad Acciaroli, la frazione di Pollica dove si consumò l’omicidio. Con i tre carabinieri sono indagati quattro imprenditori – Giuseppe Cipriano di Scafati e i fratelli Domenico, Giovanni e Federico Palladino di Pollica – e due esponenti della camorra, oggi collaboratori di giustizia, Romolo e Salvatore Ridosso, padre e figlio.

Il decreto di perquisizione eseguito dai carabinieri del Ros, nei giorni scorsi, ripercorre due filoni dell’indagine che sarebbero i perni principali della nuova ipotesi investigativa.

Il primo filone è legato al traffico di droga che ruotava attorno al porto di Acciaroli dove – secondo quanto emerso – arrivavano i gommoni con lo stupefacente. Un traffico che il sindaco aveva scoperto grazie anche agli appostamenti commissionati ai vigili urbani del suo comune, poiché “non si fidava” dei carabinieri locali. Secondo la Procura questa scoperta provocò in lui “un forte senso di delusione – si legge nel decreto di perquisizione – verosimilmente per il coinvolgimento di persone che egli non avrebbe immaginato potessero essere coinvolte”.

Infatti nell’affare della droga, sostiene la Dda, “erano attivamente coinvolti”, i carabinieri “Lazzaro Cioffi e Fabio Cagnazzo” e gli albergatori della famiglia Palladino, in particolare Domenico che nel 2010 era consigliere comunale di Pollica e amico fraterno sia di Cagnazzo che di Angelo Vassallo. I fratelli Palladino, secondo la tesi della Procura, avrebbero dovuto mettere a disposizione dei trafficanti un deposito nel quale stoccare lo stupefacente.

Secondo la Dda di Salerno, il giro di droga era riconducibile a Raffaele Maurelli, ora deceduto, un imprenditore “vicino ad organizzazioni camorristiche” ritenuto dagli inquirenti un broker della camorra per l’importazione di grossi quantitativi di stupefacente. Maurelli sarebbe il mandante dell’omicidio Vassallo, colui che avrebbe provato attraverso un ricatto e un tentativo di corruzione a fermare la denuncia che il sindaco Vassallo stava per presentare. L’organizzazione criminale a cui faceva capo Maurelli avrebbe anche preteso da Vassallo la concessione balneare di un lido sul quale far sbarcare i gommoni che trasportavano la cocaina.

A tutto questo non si piegò Angelo Vassallo che – scrive la Procura – nonostante avesse “forti timori per la propria incolumità”, era deciso a denunciare tutto. Si confidò, infatti, con l’allora procuratore capo di Vallo della Lucania, Alfredo Greco, riservandosi di formalizzare la denuncia ad un carabiniere di assoluta fiducia individuato poi dello stesso Greco.

Ma non fece in tempo perché venne ammazzato il 5 settembre 2010, la sera prima di quell’incontro per la denuncia, con nove colpi di pistola mentre rientrava in auto a casa.

Il secondo filone dell’inchiesta riguarda il depistaggio e le coperture messe in atto dai tre carabinieri.

Secondo la Procura, all’omicidio di Vassallo seguirono una serie di azioni che contribuirono a deviare le indagini dai veri mandanti ed esecutori del delitto. Questa opera di depistaggio sarebbe stata messa in atto dal tenente colonnello Fabio Cagnazzo e dal carabiniere Luigi Molaro. “Un’attività di depistaggio, già in precedenza pianificata e garantita dai due carabinieri” scrivono gli inquirenti, nella quale era coinvolto anche Lazzaro Cioffi, il brigadiere che nel 2018 è stato poi arrestato e condannato a 15 anni di reclusione per collusione con la camorra nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Napoli.

Obiettivo dello sviamento delle indagini, in cui Cagnazzo si era infilato non avendone alcun titolo e senza delega da parte della procura, sarebbe stato quello di “indirizzare le attività investigative nei confronti di soggetti estranei al delitto”, in particolare nei confronti di Bruno Humberto Damiani, il giovane ‘brasiliano’, conosciuto nel mondo degli spacciatori di droga che fu il primo indagato per l’omicidio di Vassallo. Le accuse nei suoi confronti sono state poi archiviate dopo anni di indagini.

I tre militari, secondo gli inquirenti, conoscevano la sorte a cui andava incontro Vassallo ed è per questo motivo che a loro viene contestato l’accusa più grave quella di omicidio aggravato.

Entrano nell’inchiesta come indagati per l’omicidio, dopo aver assunto la veste di testimoni di giustizia, anche Salvatore e Romolo Ridosso. I due ex esponenti della camorra oggi pentiti sono accusati di aver effettuato un sopralluogo a Pollica, nei giorni antecedenti l’omicidio, insieme all’imprenditore Giuseppe Cipriano, uno dei presunti protagonisti del traffico di stupefacenti ad Acciaroli e Pollica.

Salvatore Ridosso, in particolare, è stato il primo collaboratore di giustizia a raccontare agli inquirenti del coinvolgimento di Cipriano e della camorra nell’omicidio. Ne parlò, secondo quanto emerge dal decreto di perquisizione, per la prima volta nel 2014 nel corso di due incontri ‘informali’ con un capitano dei carabinieri in servizio all’epoca in un paese della Calabria. Solo due anni dopo, tra giugno e ottobre del 2016, il giovane pentito Salvatore Ridosso venne ascoltato dai pm della Dda di Salerno che seguivano l’inchiesta sull’omicidio. Solo oggi, sei anni dopo quelle testimonianze, gli inquirenti hanno riallacciato i fili dell’inchiesta ed hanno iscritto nel registro degli indagati i nove indiziati.

La notizia delle dichiarazioni di Salvatore Ridosso e della nuova pista investigativa seguita dalla Procura, apparve sul quotidiano ‘La città di Salerno’, in un articolo di cui sono l’autrice il 29 giugno del 2016.

Quell’articolo che alla luce di quanto è emerso in questi giorni conteneva eclatanti elementi di novità relativi al delitto Vassallo, fece scattare – nell’ottobre del 2016 – un irrituale e inusuale sequestro del mio telefono cellulare, teso a svelare l’identità delle mie fonti giornalistiche. Un tentativo messo in atto, da parte della Procura di Salerno, anche attraverso altre attività di indagine in particolare con il posizionamento di una microspia nella mia auto.

L’ispezione del cellulare fu fermata grazie ad una grande mobilitazione del sindacato dei giornalisti nazionale e della Campania, insieme ai colleghi e al direttore de ‘La città di Salerno’.

Fonte: Articolo 21

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