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Giovanni Melillo dice parole sante: serve nuova collaborazione tra legislatore, magistrati e servizi

Davide Mattiello il . Giustizia, Istituzioni, Mafie, Memoria, Politica

Nelle parole del procuratore nazionale antimafia ed anti terrorismo, Giovanni Melillo, trovo l’urgenza di riannodare un filo che forse negli ultimi anni è andato assottigliandosi pericolosamente. Quello della leale collaborazione tra legislatore e magistratura sul terreno degli strumenti necessari a proseguire nello sforzo per la liberazione dell’Italia dalle mafie. Infatti in uno dei passaggi più interessanti della intervista concessa a Bianconi su il Corriere, Melillo, riferendosi al ruolo di Spatuzza nel fare chiarezza sulla strage di Via D’Amelio, osserva:

“Anche per non rischiare di perdere di vista l’importanza, assolutamente fondamentale nel contrasto alle mafie, dello strumento dei collaboratori di giustizia, per cui tanto si spese Giovanni Falcone. Anzi, da tempo è matura l’esigenza di assicurare al sistema di protezione dei collaboratori reali standard di modernità ed efficienza; ancora oggi, ad esempio, per un’inerzia legislativa davvero incomprensibile, manca una disciplina dei documenti di copertura che impedisca, come purtroppo è accaduto, che una cosca mafiosa rintracci il collaboratore che ne ha svelato i delitti attraverso mirati accessi abusivi alle informazioni dei sistemi sanitari, previdenziali e fiscali”.

Parole “sante” e come sappiamo l’altra grande smagliatura è quella relativa alla protezione da riconoscere alle donne che con i loro figli, intendono rompere con le famiglie mafiose di provenienza, pur non potendo diventare collaboratrici di giustizia. Nella passata legislatura, quella conclusasi nel 2018, sono stato il presidente del V comitato della Commissione parlamentare antimafia, quello che si occupava proprio di testimoni, di collaboratori e di vittime di mafia, negli anni nei quali il dott. Melillo era impegnato al ministero della Giustizia, abbiamo avuto quindi modo di conoscerci e di confrontarci su questi temi. Ecco perché, per me, hanno un valore particolare quelle affermazioni sui collaboratori: allora riuscimmo, grazie alla sintonia tra governo e Parlamento, ad approvare all’unanimità una riforma del sistema tutorio dei testimoni di giustizia (che andrebbe oggi sottoposta a verifica e sicuramente più puntualmente attuata), ma non arrivammo a rivedere le norme relative ai collaboratori, sull’importanza dei quali ci siamo più volte soffermati.

Sono convinto che potrà essere una collaborazione utile ora che, essendo passati da quei fatti circa trent’anni, ed essendo cambiati in modo sostanziale le mappe geopolitiche, gli assetti di potere e financo i servizi segreti stessi, qualche speranza di fare le domande “giuste” ed ottenere qualche risposta, c’è. Infine per quella frase:

Per la responsabilità della mia funzione non posso che chiedere pubblicamente scusa per tutte le omissioni e gli errori, ma anche per le superficialità e persino le vanità che hanno ostacolato la ricerca della verità sulla strage

Quando a chiedere pubblicamente scusa è un rappresentate dello Stato credibile, come in questo caso, c’è da pensare che le scuse siano la manifestazione evidente di una volontà rinnovata ad andare fino in fondo, senza pagare un dazio ancora una volta troppo alto alla sostenibilità del sistema. Le parole di Melillo, mi hanno fatto pensare ad altre, analoghe, quelle pronunciate da Gabrielli sulla mattanza al G8 di Genova. Quando Gabrielli pronunciò quelle parole era capo della Polizia, oggi è il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con la delega alla sicurezza della Repubblica, cioè è il capo del capo del DIS. Se son rose…

Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello

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