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La forma dell’acqua, la forma delle mafie nella tre giorni di formazione di Libera

Pierluigi Ermini il . Associazioni, Cultura, Dai territori, Diritti, Emilia-Romagna, Giovani, Mafie, Memoria

“Qual è la forma dell’acqua?”. Ma l’acqua non ha forma!” dissi ridendo: “Piglia la forma che le viene data. Prende la forma del recipiente che la contiene….”, sono alcune delle battute del libro di Andrea Camilleri da cui è nato il titolo della tre giorni di formazione nazionale dei referenti di Libera a Savignano sul Panaro.

L’acqua assume la forma del recipiente che la contiene, così come le mafie prendono la forma della società nelle quali si muovono.

Una società quella dove viviamo basata su un’economia capitalistica guidata dal profitto e dal consumo, priva di un’etica che sappia definire limiti e valori, non più in grado di offrire opportunità di lavoro stabile, che ha reso i ricchi sempre più ricchi ed ha ampliato in modo esponenziale i poveri.

Una società dove le disuguaglianze sociali stanno aumentando giorno dopo giorno, dove i diritti e la dignità delle persone hanno perso valore.

Le mafie utilizzano l’enorme liquidità di denaro di cui dispone per entrare e determinare i processi economici, sostituirsi a uno stato incapace di dare assistenza ai propri cittadini, uccidere l’economia che si basa su un’etica e la sana concorrenza, rendendo le aziende solo uno spazio dove poter trarre profitti e in caso contrario, favorendone la morte e la chiusura.

La nostra – ci ha insegnato in questi giorni Luigi Ciotti – è oggi la società dello spreco. Uno spreco non solo dei beni materiali, ma anche del tempo e della qualità della nostra vita. Manchiamo di essenzialità nella qualità della nostra vita. Noi sprechiamo tante cose, a volte facciamo cose inutili”.

In tutto ciò la politica ha gravi responsabilità. Luigi Ciotti ha parlato di “un tradimento grande della politica, che ha permesso tutto questo, fino al tradimento della nostra costituzione. La politica è il braccio armato di una economia che tende tutta al profitto, deteriorando il rapporto tra capitalismo e democrazia. Questa economia è incompatibile con la giustizia sociale ed occorre un nuovo modo di pensare ed agire. non ci sarà giustizia in questo mondo fino a quando una sola persona morirà di fame e di stenti”.

La tre giorni di formazione di Libera a Savignano sul Panaro dall’8 al 10 luglio ha avuto momenti veramente forti di confronto e di approfondimento.

Si è iniziato partendo dalla ricostruzione del rapporto che si è sviluppato tra mafia e politica soprattutto dopo il 1982 e l’approvazione della legge Rognoni – La Torre.

Lunghi anni di morti eccellenti, di stragi, ricostruite dalle parole di Gian Carlo Caselli:

Ancora oggi si tende a negare o distorcere una verità che risulta chiara dalle sentenze dei processi che si sono svolti, con un’azione che  punta a svuotare il significato degli intrecci tra mafia e politica delegittimando anche quanto sta avvenendo ancora oggi. Non sono un caso i ritorni di questi mesi al centro della politica in Sicilia  di persone come Cuffaro e Dell’Utri. Lo storico e studioso di mafie Salvatore Lupo, scrive che c’è forte oggi una richiesta di mafia in settori della politica, dell’imprenditoria, del mondo economico, perché la mafia offre servizi che gli vengono chiesti e loro sono ben disponibili a offrirli”.

Altrettanto forti sono state le parole del giornalista siciliano Salvo Palazzolo, cresciuto sulle orme di don Pino Puglisi, che da sempre racconta le storie di mafia a Palermo e in Sicilia: “Ancora oggi a Palermo vivo la sensazione di non capire. Matteo Messina Denaro è latitante dal 1993 e le forze dell’ordine lo cercano, ma la partita è come bloccata e questo latitante non si prende. C’è un ritorno alla mafia nel passato che si basa su segreti, patrimoni, rapporti. È pericoloso il ritorno in politica di Cuffaro e di queste persone. Cuffaro non ha mai collaborato con i magistrati. I segreti del passato sono anche quelli delle stragi”.

La sfida è ancora oggi a quella di don Puglisi. Ed è proprio Totò Riina a spiegarne il motivo; la mafia sta sul territorio e quell’antimafia che da noia alla mafia è quella che sta sul territorio.

Stare sul territorio – prosegue Salvo Palazzolo – vuol dire comprendere quello che sta accadendo. Vuol dire costituire dei presidi di conoscenza per reagire come comunità. Vuol dire instaurare un rapporto con i procuratori, le forze dell’ordine, i sindacati, i giornalisti per capire cosa sta accadendo. Dobbiamo raccontare il territorio. Che cosa è la mafia oggi? Loro si trasformano e noi siamo indietro. Noi abbiamo il dovere del racconto”.

Grazie al Procuratore di Trani Renato Nitti si passa dalla mafia di Cosa Nostra a quanto sta accadendo nella Puglia della provincia di Barletta, Andria e Trani (la BAT), in una realtà fino a poche anni fa devastata da una magistratura assente e a volte addirittura inquisita.

Qui l’impegno della mafia è principalmente di depredare il territorio – spiega il Procuratore – Ma è necessario anche distinguere tra ciò che è mafia e ciò che mafia non è, perché spesso si hanno forme di criminalità imprenditoriale che non necessariamente sono crimini di mafia.  Le mafie sono più silenti e oggi è più complicato scoprirle”.

Dai luoghi dove le mafie sono radicate e gestiscono in parte il territorio al sud, si risale il nostro stivale per trovare le mafie che cercano le economie floride del nostro paese nel centro nord per incrementare i loro affari.

Un percorso che viene spiegato molto bene dal Procuratore di Reggio Emilia Calogero Gaetano Paci che analizza i processi in corso oggi su reati economici che coinvolgono le organizzazioni mafiose in Emilia: “In questo caso le mafie si muovono principalmente come una criminalità economica, commettendo reati per conquistare posizioni di mercato sia in quelli legali che in quelli illegali”.

Il procuratore Paci ha parlato soprattutto dei mercati legali, che da oltre 20 anni sono attaccati dalle mafie: “Nei territori del sud  manca un bacino industriale strutturato come è invece al nord e al sud si è operata una maggiore azione repressiva. Nei mercati legali le mafie si inseriscono in strutture economiche floride portando servizi e abbattendo i costi di questi servizi. Sono gli stessi imprenditori autoctoni che chiedono questi servizi sapendo che le mafie sono in grado di fornirli a costi minori. La modalità di attuazione della criminalità organizzata tende quindi a conquistare fette di mercato economico”.

Reggio Emilia ha un’alta concentrazione di società quotate in borsa; dispone di depositi bancari per oltre 10 miliardi e un Pil cresciuto dell’8% il doppio di quello medio italiano. Per questi motivi le mafie vengono a investire qui. Per contrastare le infiltrazioni mafiose si utilizza in modo forte lo strumento delle interdittive antimafia, insieme alla gestione delle banche dati dei vari uffici pubblici (ispettorato del lavoro, agenzia delle entrate, ecc…) che possano mettere le procure in grado di agire utilizzando le informazioni e i dati sulle singole aziende.

Al nord si ha la necessità di intervenire nell’economia reale abbassando i costi per la piccola e media imprenditoria, perché altrimenti, in questa continua competizione esasperata, le piccole e medie imprese non avrebbero un futuro.

Un tema economico importante spiegato molto bene dal presidente del Tribunale di Modena Giuseppe Liccardo: “Oggi si ha l’idea di un’impresa che vive pochi anni rispetto a prima, e in questo breve tempo deve subito rendere al massimo. Questo spinge l’imprenditore a chiedere servizi a organizzazioni senza scrupolo che nel tempo si sono radicati nel territorio. Non solo in tema di servizi, ma anche in tema di finanziamenti. La finanza bancaria costa il doppio di quella offerta da persone mafiose. Ed è inoltre necessario intervenire in materia di diritto del lavoro, frammentando la compagine lavorativa, disposta a sacrifici e disposta a lavorare in condizioni di vero e proprio caporalato”.

Il problema della nostra società è che non si riesce a dare alternative a questa logica industriale. Lo stato italiano e la politica al momento non sanno costruire forme di piena cittadinanza soprattutto verso i giovani.

Il livello di scontro oggi è questo – spiega ancora Giuseppe Liccardo – Tessuti produttivi sani che vivono una concorrenza con l’estero enorme, insieme ad un recupero crediti che ha raggiunto costi insopportabili. Non esiste più un supporto per le aziende che vanno in difficoltà. Si vivono momenti di frantumazione dell’identità sociale, con una dinamica che tende a escludere. Un fenomeno che si diffonderà sempre più con la mancanza di risposte ai diritti di cittadinanza. Siamo arrivati ad un tipo di economia che offre a molti solo forme di sopravvivenza che impediscono di restituire alle persone diritti di cittadinanza. È necessario ricostruire un orizzonte di speranza, che oggi manca. Viviamo un momento di mancanza di riconoscimento sociale, rispetto a prima e quindi di non appartenenza ad una identità. Qui si espande la crisi dei diritti”.

Dal sud al nord, con modalità diverse, le organizzazioni criminali mafiose si stanno espandendo in silenzio, ammalando la nostra società sempre più.

Eppure oggi la mafia non è più una priorità nell’agenda del governo. Si sta attraversando un vero e proprio deserto su questi temi, anche perché si assiste a una vera e propria crisi dell’etica nella politica.

La politica sta toccando il suo punto più basso, perché non è più in grado di governare i processi di cambiamento che sono in corso.

Nei tre giorni di Savignano sul Panaro, in un clima piacevole e semplice, fatto anche di momenti di gioco e di relazioni, si è avuto la possibilità di scendere più in profondità nell’analizzare il fenomeno mafioso.

La società non è una entità astratta e dobbiamo essere in grado di capire i segnali presenti nel nostro oggi e cercare di approfondire. Abbiamo la necessità di fare nostra questa dimensione per immergerci nei fatti della vita.

La vita è complessità – sono le parole di Luigi Ciotti al momento della fine della formazione – e il nostro non può che essere un un pensiero complesso. È il segno di questo tempo difficile, tempo non di transizione ma di attraversamento, di deserti, di momenti oscuri, del buio, di un cielo senza stelle. Il tempo in cui si deve prendere coscienza che le vecchie mappe non servono più per orientarsi in una terra nuova che è un incognito”.

Le domande e le scelte si fanno ora principalmente personali, partendo principalmente dall’etica.

Mi devo porre la domanda se anche i miei comportamenti sono etici, accanto alla scelta di fondo di stare accanto a chi fa più fatica, mettendosi nei suoi panni, abbracciando il più possibile la sua condizione materiale e spirituale.

“La democrazia è un sistema politico che si impegna a garantire la libertà di ogni persone in questo paese – continua il Presidente di Libera – un vero e proprio atto di amore verso questo nostro paese. Temi come esclusione e povertà limitano questa democrazia, con tante forme di sofferenza e di emarginazione. La democrazia si fonda sulla giustizia, ad iniziare da quella sociale. La povertà diventa allora uno scandalo”.

Manca un progetto che guardi avanti e il cambiamento richiede il coraggio della verità. Oggi in Italia c’è meno giustizia rispetto a 30 anni fa. Si trattano le persone come numeri, utenti, casi, mentre le persone sono volti, storie, nomi, fatti di bisogni e speranze.

Viviamo in un sistema economico che tende solo al profitto; – prosegue Luigi Ciotti –  in una economia che è incompatibile con la giustizia sociale; per superare questo dramma occorre un nuovo modo di pensare ed agire. Non ci sarà giustizia in questo mondo fino a quando una sola persona morirà di fame e di stenti. La terra e i poveri condividono la stessa pena, perché sono i più fragili della catena. Il cambiamento non è più rinviabile. I cambiamenti hanno bisogno di un processo interiore che ha bisogno di impegno, coraggio, si tratta di osare. I cambiamenti non arrivino così per caso e non possono essere vissuti con distacco, nascono da un processo interiore. Nascono da l’anima custodita nelle nostre origini, senza ripiegamento sul passato, ma è forza di un cammino rivolto al domani.

L’invito finale di don Luigi in questa tre giorni a Savignano sul Panaro è quello di provare a  stare sulle barricate, sui luoghi necessari per manifestare il nostro dissenso per le cose che non vengono fatte.

Al tempo stesso vi auguro anche di avere bisogno di bivacchi per fermarsi, riflettere, di silenzio nel corso della vita per guardarsi di più dentro. Siamo chiamati a lottare per il diritto alla vita, il diritto che rende possibili gli altri diritti, sapendo che la povertà è un crimine di civiltà. Non possiamo sprecare la vita. Non la spreca chi rispetta le altre forme di vita, che si protende verso orizzonti più alti del proprio io. È una vita che non sta mai in pace con una tensione verso l’altro è verso l’oltre”.

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