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Una scia di sangue lunga 28 anni

Ottavio Olita il . Caso Alpi-Hrovatin, Criminalità, Informazione

La verità, evidentemente, continua a far paura se dopo 28 anni un innocente accusato ingiustamente e scarcerato dopo quasi 17 anni di galera viene ucciso con tecnica mafiosa: una bomba sotto l’auto.

Così è morto Hashi Omar Hassan che fu la prima vittima di uno spaventoso depistaggio, come ufficialmente dichiarato dalla corte d’appello di Perugia al termine dell’ennesimo processo per il brutale assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin commesso in Somalia il 20 marzo 1994.

Ma a chi fa paura la verità? Non sarebbe ora che, anche per eliminare legittimi sospetti su complicità inconfessate, le autorità istituzionali, come ha ripetutamente sollecitato anche in trasmissioni televisive il presidente della Fnsi Giulietti, togliessero ogni timbro top secret dai documenti in loro possesso?

Ministeri interessati e servizi di intelligence cosa sanno realmente di questa terribile scia di sangue che si stava scolorendo e che improvvisamente viene riaccesa e porta a tre le vittime del misterioso agguato contro la troupe della Rai che stava indagando su traffici illegali, d’armi o di rifiuti tossici?

Anche oggi, come allora, si cercherà di sminuire il movente della tragedia. Per l’assassinio di Hashi Omar Hassam si cercherà di accreditare la tesi che sia stato ucciso dal gruppo jihadista Al Shabab che mirava ad impossessarsi dei tre milioni di euro ottenuti da Hashi come risarcimento per la lunga e ingiusta detenzione. Ma perché uccidere lui se l’obiettivo era davvero il suo denaro? E poi, i gruppi terroristici agiscono anche per avere visibilità. Perché, dunque, ricorrere ad una bomba sotto l’auto, tecnica usata dalle mafie o dai servizi segreti?

Di fronte all’ostinato silenzio di chi, invece, dovrebbe parlare anche a difesa della democrazia, è assolutamente necessario che riprenda vigore quel giornalismo d’inchiesta che progressivamente rischia di essere abbandonato. Proprio in omaggio ad Ilaria, Miran ed ora Hashi bisogna riaccendere i riflettori su tante vicende misteriose che probabilmente riguardano i segretissimi e poco onorevoli faccende di lobbies private o pubbliche. Nell’interesse non tanto di ambiti scoop, ma soprattutto del diritto dei cittadini a conoscere la verità, elemento fondante della libertà.

E qui devo ricordare un’altra, oscura vicenda accaduta sulla costa sud orientale della Sardegna solo 18 giorni prima dell’assassino di Ilaria e Miran.

Il 2 marzo 1994 un elicottero della Guardia di Finanza, nome in codice Volpe 132, due militari a bordo, scomparve nel nulla mentre era in perlustrazione su un tratto di mare nella zona di Capo Feraxi. Grazie ai pochi resti che il mare restituì, il pubblico ministero stabilì, ma solo nel 2013, dopo 19 anni, che non si era trattato di cedimento strutturale ma di un abbattimento. Il Volpe 132, si seppe da alcune testimonianze, stava volando su una cala nella quale stazionava un mercantile, il ‘Lucina’, che immediatamente dopo la sparizione dell’elicottero, partì a tutta velocità. Settimane più tardi l’equipaggio del mercantile venne trovato sgozzato nel porto  algerino nel quale era approdato. Cosa trasportava il ‘Lucina’? C’era un qualche collegamento con quello che avvenne in Somalia? Chi era l’unico uomo a bordo del ‘Lucina’ che si salvò e scomparve?

Anche in questo caso, silenzi, reticenze, contraddizioni e soprattutto paura che la verità venga a galla.

A questo punto, basta con gli alibi, di qualunque tipo. Basta con menzogne e silenzi, basta con altri casi Regeni e Zaki. Basta con l’impunità di assassini senza scrupoli che godono di importanti protezioni tanto da non avere riserve a perpetrare un delitto commesso 28 anni fa, uccidendo un uomo ritenuto ancora pericoloso per l’accertamento dei fatti.

La voce dei giornalisti deve levarsi alta, come stanno facendo Fnsi, Usigrai, Ordine, Articolo 21, ma è ora che finalmente alle domande, alle richieste, seguano risposte.

Fonte: Articolo 21

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