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Da Bologna un simbolo di pace, in questi tempi di guerra…

Pierluigi Ermini il . Cultura, Diritti, Emilia-Romagna, Giovani, Politica, Società

In questi tempi di guerra mi piace parlare di chi invece tenta di costruisce la pace partendo dall’integrazione, dal riconoscimento dei diritti e della dignità delle persone, come sta facendo in questi giorni il Comune di Bologna con un’azione in apparenza solo simbolica, ma che invece ha insita in sé un forte significato politico.

Mi riferisco al riconoscimento della cittadinanza onoraria ai bambini e ai ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, regolarmente soggiornanti o nati all’estero, ma che hanno completato almeno un ciclo scolastico o di formazione italiano.

L’azione politica portata avanti dai gruppi della maggioranza del Consiglio Comunale è iniziata con il deposito di un ordine del giorno per inserire il principio dello Ius Soli all’interno dello Statuto del Comune.

Una scelta che ha spinto gli oppositori a presentare un centinaio di emendamenti, e l’apertura di una lunga discussione. Comunque è stato un modo di ridare spazio alla politica.

Il Sindaco di Bologna Matteo Lepore e la sua maggioranza si pongono l’obiettivo di fare della loro, la città apripista in Italia di una serie di comuni che attraverso questo gesto simbolico, ma fortemente politico, possa riaccendere la discussione in Parlamento sullo Ius Soli e il riconoscimento di diritti essenziali per i minori che vivono qui, hanno genitori che qui lavorano e pagano le tasse al nostro paese.

La maggioranza che guida Bologna vuole anche arrivare all’istituzione di una ‘Festa della cittadinanza’ durante la quale, a coloro che acquisiranno la cittadinanza italiana, sarà donata una copia dello Statuto comunale e un ‘kit di Cittadinanza’.

Solo a Bologna questa iniziativa riguarda circa 11.000 minori, ma in tutta Italia sono centinaia di migliaia i ragazzi che frequentano le nostre scuole, giocano nelle nostre squadre, spesso parlano un italiano migliore del nostro, si sentono italiani come noi, ma che, per le nostre paure e resistenze, sono costretti a rimanere in un limbo inaccettabile, in attesa di presentare domanda una volta raggiunta la maggiore età.

La politica che dovrebbe avere il compito di guidare i cambiamenti, di diminuire le distanze e le diseguaglianze sociali, rendendo tutti coloro che ne hanno diritto, sempre più cittadini, non riesce a fare passi avanti significativi ed a trovare quel coraggio necessario per saper guidare un popolo nella costruzione di una vera comunità.

D’altronde la cultura è l’elemento che qualifica l’identità di un popolo e nelle nostre società occidentali si riconosce alla scuola un ruolo centrale e determinante per la formazione dei propri cittadini.

Cultura e scuola sono gli elementi su cui si costruisce la conoscenza di ciascuno di noi e permettono il radicamento di una persona all’interno della propria comunità.

In queste ore la nostra mente è agitata da quanto sta succedendo in Ucraina e alle conseguenze in termini di vite umane, di sofferenza, di discriminazioni, di povertà che la guerra scatenata dalla Russia sta portando in quella terra e in quel popolo, ma che avrà gravi ripercussioni anche nell’Occidente, che ancora non siamo in grado di prevedere.

Dunque il problema dello Ius Soli sembra secondario rispetto ai pensieri che animano la nostra mente e le nostre emozioni.

Eppure è attraverso queste scelte che si costruisce un futuro di pace.

Non ci rendiamo conto che le leggi nel tempo concorrono a determinare il pensiero dell’opinione pubblica su determinati temi, perchè spingono a seguire comportamenti che poi diventano il nostro modo di essere e di pensare.

Come dice Luigi Ciotti “il primo “ius” non è quello del suolo, o del sangue, ma quello che parte dalle nostre coscienze. La condivisione dei diritti e dei doveri è la strada per costruire un futuro di pace”.

Dei diritti di questi bambini e ragazzi abbiamo abusato più del dovuto e loro  hanno già aspettato anche troppo.

Da Bologna si alza una voce nuova, che spinge noi adulti a imparare ancora una volta dall’insegnamento dei più piccoli, che nelle nostre scuole da tempo hanno smesso di dare una importanza fondamentale al colore della pelle, parlano con i loro coetanei di paesi diversi lo stesso dialetto, giocano nelle stesse squadre, vanno a vedere gli stessi films e cantano le stesse canzoni.

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