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“La disciplina del silenzio”: in arrivo l’inchiesta di Spotlight sulla morte di Andrea Rocchelli

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Il 4 febbraio alle 21.30, su Spotlight – RaiNews 24 “La disciplina del silenzio”, l’inchiesta sulla morte di Andrea Rocchelli realizzata da Andrea Sceresini e Giuseppe Borello con il coordinamento di Valerio Cataldi.

Andrea Rocchelli e Andrej Mironov, giornalisti freelance, sono stati uccisi a colpi di mortaio il 24 maggio 2014 in Ucraina, alla periferia della città di Sloviansk, mentre documentavano le prime fasi della guerra tra i separatisti filorussi e le forze armate di Kiev. Con loro c’era anche un fotoreporter francese, William Roguelon, che è rimasto gravemente ferito.

Dopo anni di silenzio, nel luglio 2017, la procura di Pavia ha arrestato un militare della Guardia Nazionale ucraina, Vitaly Markiv, accusandolo di aver indicato alle artiglierie le coordinate dei giornalisti. Il processo si trasforma in un braccio di ferro politico con il governo di Kiev e si conclude, dopo una condanna in primo grado, con la definitiva assoluzione di Markiv. Resta la domanda: chi ha ucciso Andy e Andrej?

La nostra inchiesta parte da qui, dalle carte giudiziarie. La prima di due puntate andrà in onda il 4 febbraio alle 21.30 su Spotlight, il programma d’inchiesta di Rainews24 a cura di Valerio Cataldi.

Quando sono stati uccisi, Rocchelli e Mironov si trovavano accanto alle postazioni separatiste. L’armata di Kiev era attestata a un chilometro e mezzo di distanza, sulla collina di Karachun. Non ci sono dubbi, secondo i giudici, che a sparare siano stati gli ucraini. A Karachun, tuttavia, non c’era solo la Guardia Nazionale di Markiv. Buona parte della collina era occupata da un reparto dell’esercito regolare, la 95a Brigata Aviotrasportata, i cui membri si sono sempre tenuti ben distanti dai riflettori giudiziari. Eppure era proprio questa unità – sempre secondo le carte – ad avere a disposizione i mortai. Dovevamo innanzitutto trovare un testimone: qualcuno che avesse prestato servizio nella 95a Brigata, che si trovasse su quella collina e che non avesse nulla da perdere a raccontare la verità.

Abbiamo scoperto che in Ucraina i disertori vengono inseriti in elenchi pubblici, molti dei quali sono presenti anche sul web. Così, dopo aver individuato i disertori della 95a Brigata, abbiamo iniziato a cercarli uno a uno sui social. In questo modo siamo arrivati a individuare un testimone che oggi vive in un Paese dell’Europa occidentale. A Karachun egli svolgeva la mansione di vedetta e la sua postazione – le cui foto sono ben visibili sul suo profilo Facebook – era esattamente di fronte al luogo dove sono stati uccisi Andy e Andrej. L’ex soldato ha accettato di incontrarci e ci ha spiegato cosa è successo quel giorno.

L’ordine di sparare – secondo il suo racconto – sarebbe stato impartito personalmente dal comandate della 95a Brigata, Mikhailo Zabrodskij. I militari hanno utilizzato un mortaio automatico, il Vasilek, che può esplodere quattro colpi in rapida successione. Il nostro testimone non sa perché sia stato dato quell’ordine, dal momento che non erano in atto provocazioni e i giornalisti erano visibilmente disarmati, ma ricorda con perfezione tutta la scena e le parole di Zabrodskij: “Quelle persone non devono passare di lì”.

La dinamica descritta dal testimone coincide perfettamente con le ricostruzioni della magistratura (il calibro dei proiettili, lo svolgimento della sparatoria eccetera), ma soprattutto coi ricordi di William Roguelon, il giornalista sopravvissuto, al quale abbiamo sottoposto le parole del nostro disertore. A questo punto però ci servivano altri riscontri.

Così, siamo partiti per l’Ucraina in cerca degli altri soldati della 95a Brigata che quel giorno si trovavano a Karachun. Rintracciarli non è stato facile. Alcuni, colti dalla paura, si sono trincerati dietro il silenzio, altri hanno ammesso di “non poter parlare”, ma uno di loro – ripreso di nascosto durante una telefonata – ha detto: “Sono i nostri che li hanno fottuti”.

Perché tante bugie? Perché, in Ucraina, la morte di Rocchelli e Mironov continua a essere un argomento tabù? Una possibile risposta ce l’ha data una fonte interna al tribunale di Sloviansk, che nel 2016 giudicò come “illegale” la prima, inconcludente inchiesta condotta sul campo dalla polizia locale: “All’epoca, ammettere che i nostri soldati potessero aver aperto il fuoco contro dei civili era semplicemente inaccettabile”.

È stata una lunga inchiesta “on the road”, che ci ha condotti a Sloviansk, nei luoghi dove è avvenuto il fatto, e infine di nuovo a Kiev, dove – spacciandoci per documentaristi interessati alle vecchie storie di guerra – siamo riusciti a ottenere un’intervista con Mikhailo Zabrodkij, l’ex comandante di Karachun, che oggi è deputato presso il parlamento ucraino e membro del gruppo per le relazioni interparlamentari con la repubblica italiana. Zabrodkij, pur respingendo ogni addebito, ha dichiarato di non poter smentire né le ricostruzioni certificate dalla giustizia italiana (che ha stabilito che i colpi mortali furono esplosi dalla collina) né le parole dei nostri testimoni. Ha ammesso, inoltre, che tutte le forze presenti a Karachun – compresi gli uomini della Guardia Nazionale – erano sotto il suo comando.

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