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Il conflitto d’interessi avvocati-parlamentari

Luca Tescaroli * il . Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica, Società

Ritengo sia necessario iniziare a riflettere su una peculiarità del nostro sistema: il ruolo dell’avvocato difensore che, al contempo, può difendere un indagato, essere membro del Parlamento (fenomeno che ha raggiunto proporzioni notevoli nelle ultime legislature) e persino inserito nella compagine governativa.

Invero, la concentrazione di ruoli e di poteri offre e può offrire una difesa privilegiata a determinati imputati eccellenti o politicamente contigui, a discapito di quelli meno abbienti o derelitti, posti ai margini della società, che certamente non dispongono di risorse finanziarie sufficienti o di una vita relazionale adeguata per poter beneficiare di un’assistenza legale privilegiata.

La coesistenza di tali ruoli da parte di un avvocato può favorire, inoltre, l’esercizio del potere legislativo per finalità privatistiche: da un lato, quelle del professionista che potrà pretendere un onorario ben più lauto; dall’altro, quelle dell’imputato eccellente che per via difensiva può stimolare la presentazione di disegni di legge e ottenere normative (come è accaduto nel nostro Paese) ritagliati su misura per i propri interessi particolari ed essere portatore di specifiche istanze scaturenti dal processo che lo riguarda. E un avvocato difensore potrebbe concorrere con gli esponenti del proprio partito alla scelta dei ministri, ivi compreso quello della Giustizia, ritenuti più funzionali alle finalità che si vogliono raggiungere.

Si oltrepassano così i confini della difesa tecnica e il professionista è posto nelle condizioni di utilizzare strumentalmente le prerogative inerenti al ruolo di parlamentare o di membro del governo per difendere l’assistito dal processo e non nel processo attraverso gli strumenti giuridici che lo stesso offre.

In altri termini, se l’applicazione della legge non consente un’assoluzione, la stessa potrebbe divenire il frutto di una mirata iniziativa legislativa che obblighi il magistrato ad assolvere, attraverso l’abolizione di una determinata figura di reato o la modifica della condotta penalmente rilevante, anche mentre il processo è in corso, o attraverso una nuova regolamentazione più garantistica e restrittiva delle modalità di acquisizione delle prove. Sussiste un evidente conflitto di interessi. Ma non solo.

La bilocazione  o trilocazione (Tribunale quale legali, Parlamento quale componente del Parlamento e di commissioni, Governo quale ministro o sottosegretario) del difensore introduce una forte sperequazione rispetto al pubblico ministero, al quale è interdetta, giustamente, la possibilità di svolgere contestualmente le funzioni giudiziarie e di essere membro del Parlamento e della compagine governativa. Egli dovrebbe optare tra i più ruoli e, nel caso in cui al termine del mandato parlamentare, decida di riprendere l’esercizio delle funzioni difensive dovrebbe poterlo fare solo in altro distretto.

In buona sostanza, sussiste il rischio che la carenza della regolamentazione sulle incompatibilità del ministero del difensore, preposto a salvaguardare il fondamentale diritto di difesa, si traduca in un “vulnus” per l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e, conseguentemente, in una caduta di democrazia.

La situazione di conflitto di interesse potrebbe ulteriormente dilatarsi se dovesse concretizzarsi la prospettiva di modifica che il governo sembra voglia introdurre per le valutazioni di professionalità sull’operato dei magistrati, in quanto l’avvocato difensore potrebbe divenire  partecipe, con diritto di voto, alle delibere dei Consigli  giudiziari, chiamati a esprimere pareri anche con riferimento alla capacità organizzativa, che costituisce uno dei parametri per l’attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi in seno alla magistratura. E in tal modo un difensore potrebbe essere chiamato a contribuire alla formazione di un parere, a titolo esemplificativo, di quel giudice che ha condannato il proprio assistito o del pubblico ministero che ne ha chiesto la cattura.

Si tratta di una situazione che di per sé potrebbe esasperare la conflittualità tra le due categorie professionali (magistratura e avvocatura) e compromettere l’imparzialità nell’agire dei giudici e dei PM, se si consentisse la permanenza in seno ai Consigli giudiziari di avvocati che, simultaneamente, concorrono direttamente o per il tramite di colleghi di studio all’esercizio delle funzione legislative ed esecutive. Trovo quindi indispensabile che nel nuovo anno si proceda a una regolamentazione delle molteplici situazioni di conflitto di interesse che ruotano attorno alla figura dell’avvocato difensore.

Pur se dotate di sistemi giudiziari diversi da quello italiano, plurime democrazie occidentali hanno affrontato il tema.

In Gran Bretagna esiste, infatti, una norma deontologica che vieta all’avvocato parlamentare di accettare un mandato professionale allorché i cittadini siano ragionevolmente esposti all’idea che egli potrebbe fare uso del suo stesso incarico per avvantaggiare il proprio cliente.

Negli Stati Uniti e in Francia gli avvocati deputati non possono difendere persone o aziende che hanno cause con lo Stato. In Spagna è prevista l’incompatibilità: chi da avvocato siede in Parlamento non può esercitare la propria professione nel periodo in cui svolge la funzione politica. In Germania il codice di condotta del Bundestag obbliga i deputati a informare il presidente su ogni incarico defensionale con interessi che confliggono, potenzialmente, con lo Stato e la pubblica amministrazione.

* Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Firenze

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 05/01/2022

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