NEWS

“A quale delirio può arrivare un capo di governo…”

Roberto Morrione il . Corruzione, Cultura, Informazione, Istituzioni, Politica, Società

Roberto Morrione, primo direttore di Rainews24, poi di Libera Informazione, nel 2009 esprimeva stupore per la sottovalutazione dei media sul pericolo Berlusconi. Ripubblichiamo questa sua ottima riflessione mentre si parla in questi giorni della possibilità che l’ex Cavaliere vada al Quirinale (ed è sconcertante il solo fatto che se ne parli…). 

“È piuttosto sorprendente, per un osservatore straniero, che sui media italiani vi siano così scarse critiche nei confronti di Berlusconi. Naturalmente la ragione è nota. Berlusconi controlla o per lo meno influenza, direttamente o indirettamente, gran parte dei media italiani, a cominciare dalle TV; ma è un triste spettacolo, per un giornalista libero, assistere a un tale servilismo verso il potere da parte di altri giornalisti”.

Così si esprime in Giugno Michael Bynion, commentatore e vicedirettore del Times di Londra, dopo che il suo giornale ha attaccato il comportamento di Berlusconi con un articolo dal significativo titolo “Cade la maschera del clown”. Parole taglienti, quasi sprezzanti, ma anche preoccupate per lo stato della libertà d’informazione in Italia, in linea con le critiche della stampa internazionale su quanto stava avvenendo in quelle settimane nel nostro Paese, senza differenze di orientamenti politici, da sinistra a posizioni moderate.

Nei primi mesi dell’estate l’allarme ha accomunato infatti lo spagnolo El Pais, i francesi su posizioni opposte Le Monde, Liberation e Le Figaro, gli inglesi progressisti The Indipendent, The Guardian e The Observer come il conservatore Financial Times e il tecnico The Economist, i  tedeschi Der Spiegel, Die Welt e Frankfurter Allgemeine Zeitung, il cileno La Tercera, la Radio-TV Svizzera e tanti altri… Hanno fatto il giro del mondo le 10 domande poste da La Repubblica al premier sui suoi reali rapporti con la giovanissima Noemi, interrogativi che, dopo una girandola di ricostruzioni fantasiose, di volta in volta rimangiate e smentite, non hanno mai ottenuto risposte da Berlusconi.

A fine Agosto – come vedremo – il premier abbandona la strategia del silenzio e passa addirittura all’attacco, denunciando attraverso il suo avvocato Ghedini La Repubblica e chiedendo i danni civili per il “danno d’immagine” causato dalla perdurante campagna del quotidiano. È un caso senza precedenti e fa nuovamente il giro del mondo, mentre la minaccia legale viene rivolta anche alla stampa estera, che aumenta però denunce e analisi preoccupate su un “capo di governo” che porta in tribunale giornali che gli rivolgono legittime domande….Berlusconi è diventato ormai, con le sue ossessioni, un caso europeo.

Ma questa spietata analisi non è stata solo il frutto degli scandali che hanno avvolto il comportamento di Berlusconi. L’escalation è progressivamente aumentata dalle ragazze-veline programmate per le liste elettorali europee al clamoroso allarme con annuncio di divorzio scritto da Veronica Lario, alla vicenda di Noemi e del contorno di giovani donne suddivise fra Palazzo Grazioli e le allegre feste nelle residenze in Sardegna, con connesso trasporto su aerei di Stato, alla requisizione giudiziaria delle foto, fino alle clamorose rivelazioni di patrizia D’Addario sulle feste (e la nottata) trascorse a Palazzo Grazioli dietro “pagamento professionale” e all’inchiesta aperta dalla procura di Bari.

In un inevitabile amalgama fra vita privata e responsabilità pubbliche, come avviene normalmente per i leader di qualsiasi democrazia occidentale e secondo il modello da lui stesso esaltato negli anni, alla caduta d’immagine del premier e di riflesso del nostro Paese hanno contribuito vicende diverse, anche pregresse: il silenzio dell’informazione sulle responsabilità di Berlusconi nella corruzione dell’avvocato inglese Mills, sancite dalla sentenza dei giudici di Milano, i reiterati attacchi a magistrati e giornalisti, i comportamenti offensivi e gli inviti al boicottaggio delle risorse pubblicitarie nei confronti di giornali considerati “ostili”, la pervicace volontà di bloccare in ogni modo le intercettazioni telefoniche, colpendo insieme l’operatività giudiziaria e il diritto-dovere della stampa di informare l’opinione pubblica.

È per tutto questo che, “caduta la maschera del clown” che pure aveva suscitato sconcerto ed ironie per le numerose gaffes ai limiti della goliardia animate dal leader italiano in consessi internazionali, si è prepotentemente fatta strada la constatazione del vuoto in cui stampa e TV italiane, con poche eccezioni, hanno lasciato crescere a dismisura un potere egocentrico e populista.

Quanto è accaduto dopo l’esplodere dello scandalo per le rivelazioni della “escort” D’Addario ha ulteriormente evidenziato l’enorme divario fra la libertà e la completezza dell’informazione messe in campo nelle democrazie occidentali e la debolezza verso il potere, fino alla complicità subalterna e all’occultamento dei fatti, dei maggiori media televisivi del nostro Paese.

Mentre le notizie riempivano pagine e copertine della stampa in tutto il mondo, approdando questa volta anche su molti giornali italiani, sia pure in forme ovattate o con diversi angoli di interpretazione, TG 1 e TG 5 si producevano in una sorta di “gara del silenzio” per nascondere o minimizzare le notizie, con incredibili slalom, evitando qualsiasi titolo, non realizzando servizi, non facendo per giorni neppure il nome del premier, usando formule generiche e criptiche che hanno lasciato all’oscuro molti milioni di italiani che hanno nei TG l’unica fonte di conoscenza della realtà.

L’informazione “fantasma” del TG 1 è stata particolarmente grave, venendo dal Servizio Pubblico e da un direttore, Augusto Minzolini, appena insediato dopo essere stato scelto in un vertice di maggioranza a Palazzo Grazioli presieduto dallo stesso Berlusconi. La protesta dei giornalisti della Rai, attraverso i loro rappresentanti sindacali, l’intervento del presidente Rai Paolo Garimberti e la successiva ammonizione del Consiglio di Amministrazione, in termini peraltro solo di principio, nulla tolgono all’eccezionale gravità di una scelta editoriale che è risuonata all’estero come la riprova del consolidarsi di un regime mediatico poggiato sul  perdurante conflitto d’interessi del premier.

Grandi quotidiani internazionali, a partire dal New York Times e dal Times, ironizzavano intanto pesantemente sul “leader più sessista d’Europa”, sottolineavano che era stato “passato il limite della decenza”, che lo scandalo “nuoce al prestigio dell’Italia” e che il nostro Paese “è nella morsa di un’emergenza morale”, arrivando a ipotizzare il declino e una peraltro fumosa e poco realistica scomparsa politica di Berlusconi.

Il Financial Times, autorevole voce della city londinese, ha scritto che “l’Italia è in pericolo” e che Berlusconi “chiaramente non è Mussolini: lui ha squadre di veline, non di camicie nere, il pericolo è di ordine diverso…è quello dei media che rendono meno seri i contenuti della politica, sostituendoli con l’intrattenimento. È la spietata demonizzazione dei nemici e il rifiuto di garantire indipendenza alla concorrenza”.

Né si può dire che questa impressionante offensiva sia stata anche parzialmente spezzata dalla buona immagine internazionale acquisita dal governo e dal premier nel G 8 svolto a L’Aquila. Riteniamo infatti che si sia trattato sostanzialmente di una tregua, certo gestita con abilità e grande cautela da Berlusconi, fino a far scrivere a quello stesso Financial Times un titolo quale “Da play boy a statista”, in un articolo elogiativo, ma non privo di ironia e interrogativi. Interrogativi che lo stesso Berlusconi ha immediatamente riaperto, attaccando subito frontalmente l’opposizione, che pure aveva accettato l’invito del Presidente Napolitano a sospendere le polemiche in vista del vertice e, di fatto, eludendo il secondo monito che il capo dello Stato aveva rivolto alle forze politiche insieme con i complimenti al premier per il successo del G 8.

E qui entriamo nel cuore della questione che stiamo analizzando.

Il nostro sistema dell’informazione, di fronte a quella che parafrasando Brecht si potrebbe definire come una sorta di moderna, “resistibile ascesa di Arturo Ui”,  riguardo ai comportamenti e alle scelte di Berlusconi è sostanzialmente suddiviso in tre gruppi, ovviamente con zone miste e sporadici sconfinamenti dall’uno all’ altro.

Il primo è costituito dalle televisioni di proprietà o di fatto controllate dal premier, cioè 5 grandi Reti nazionali, di cui due del Servizio Pubblico Rai, integrate da una parte della programmazione radiofonica, dalle crescenti iniziative satellitari di Mediaset e da centinaia di emittenti locali legate alla spartizione pubblicitaria e a interessi economici vicini al suo sistema editoriale e commerciale. Punte d’assalto di questo impero mediatico sono i due quotidiani di famiglia, Il Giornale e Libero che, unitamente a periodici che spaziano da Panorama al re del gossip Chi, hanno svolto un continuo ruolo di dedizione al “padre-padrone”.

Di fronte alle ondate di scandali, questa costellazione ha esclusivamente svolto il compito di copertura del premier e spesso di bastonatura di oppositori politici, di testimoni, delle poche voci editoriali che smentivano via via i silenzi e le contraddittorie spiegazioni dello stesso Berlusconi.

Il quotidiano diretto da Feltri, occorre dire, si è particolarmente distinto per l’aggressività e la ferocia personalistica degli attacchi, fino a cercare di screditare quasi in tempo reale Veronica Lario, subito dopo la sua clamorosa denuncia a La Repubblica, pubblicandone una vecchia foto a seno nudo dei lontani esordi nel cinema e dando spazio all’improvvisa “rivelazione” di una poco  credibile  fonte come Daniela Santanchè su un presunto “compagno”, cioè la sua body-guard, a cui la moglie del premier sarebbe legata…

Sulla natura del giornalismo praticato da Libero, peraltro, è interessante osservare che all’interno stesso della destra c’è stata una reazione sdegnata per i toni e i contenuti delle polemiche. Sul periodico della fondazione Fare Futuro, vicina al presidente della Camera Gianfranco Fini, abbiamo letto un’illuminante lettera aperta a Feltri a firma Filippo Rossi che, pur sottolineando a scanso di equivoci di sentirsi parte della destra, denuncia la caduta di stile, la volgarità, il gratuito disprezzo del “feltrismo”. “Non ci piace l’idea che il giornalismo di destra non possa essere che così – scrive Rossi – una convinzione che, declinata in politica, porta a pensare che gli elettori di centro-destra non possono che essere faziosi, spocchiosi, grossolani”.

Ed è stato proprio Fare Futuro ad attaccare per primo il progetto di riempire di “veline” le liste del PDL per le Europee, progetto immediatamente sommerso dall’ondata di reazioni, incluse “una tantum” quelle della Chiesa e ritirato almeno in parte.

In piena estate Feltri è chiamato peraltro dal Cavaliere a tornare a dirigere Il Giornale, previa un’enorme pioggia di milioni di euro: se ne capirà presto la ragione. È decisamente cambiata la strategia, c’è bisogno ora di un vero “killer” professionale e totalmente disponibile ad inseguire e a massacrare gli avversari, politici, giornalistici, giudiziari, a qualunque livello e dovunque si muovano, con l’uso di qualsiasi mezzo.

Il primo obiettivo sarà Dino Boffo, il direttore de L‘Avvenire, il giornale della CEI, che ha espresso più volte severe critiche all’operato di Berlusconi, rispondendo così alla stessa gerarchia ecclesiastica e soprattutto al diffuso malessere che esprime parte dei cattolici di fronte all’ondata di scandali sessuali, al comportamento del premier, alla evidente perdita di prestigio internazionale.

Sulla base di documenti estremamente dubbi e in parte anonimi – dietro i quali molti intravedono la “manina” di qualche centrale di provocazione e di scandali artefatti a comando – si innesca così una durissima polemica con la CEI, che difende Boffo e giudica “disgustoso” l’attacco di Feltri. Berlusconi nega di essere in qualche modo coinvolto, il suo impero mediatico, TG 1 in testa, minimizza, ma la stampa internazionale è ancora una volta inesorabile e non fa sconti… Molti si chiedono cosa abbiano a che spartire eventuali (e del tutto non dimostrate) vicende personali del passato di Boffo, oggi eccellente e corretto direttore de L’Avvenire, con l’enorme responsabilità della carica di Berlusconi e dell’ovvio, strettissimo legame fra il suo ruolo pubblico e la sua vita privata. Ma l’offensiva mediatica prosegue, lo scontro fra il premier e la Chiesa si acuisce, mentre miasmi che sanno di ricatti, intimidazioni, giochi al massacro, avvolgono il Paese fino ad estendersi agli stessi rapporti internazionali con gli organismi dell’Unione Europea.

C’è poi il gran mare dei quotidiani nazionali e locali, di tante emittenti piccole e medie, con in testa – va detto – l’autorevole Corriere della Sera, dal quale si attende ancora con impazienza un tangibile segno di iniziative editoriali coraggiose dopo il cambio della guardia fra il “terzista” Mieli, sapiente esperto di slalom fra i poteri e Ferruccio De Bortoli, che ha nel suo passato e nelle scelte personali (non ultima quella di non accettare la presidenza “consociativa” della Rai dominata dalla legge Gasparri e dalle nomine decise a Palazzo Grazioli ) una carta di credibilità che va però calata sul tavolo.

C’è stata. è vero, la clamorosa inchiesta sulle rivelazioni della escort D’Addario, con la quale De Bortoli ha almeno in parte riequilibrato editorialmente l’offensiva e il successo giornalistico de La Repubblica, suo principale concorrente. In generale prevale però la logica del dico e non dico, delle notizie asettiche non accompagnate da approfondimenti contestuali, da  inchieste investigative, dal coraggio di una scala di priorità etiche oltreché professionali.

In molti giornali e nei telegiornali, subito dopo la vittoria elettorale del centro-destra, era stata anzi avallata e a volte esaltata in modo acritico la rinnovata veste di “uomo di Stato” pronto al dialogo sbandierata dal premier e non capita o praticata dall’opposizione. Poi sono subentrate l’indifferenza o la minimizzazione con le quali la quasi totalità dei media ha evitato accuratamente di denunciare la progressiva spinta aggressiva e autoritaria, accompagnata da uno sfrenato populismo, impressa dal capo del governo.

Lasciamo da parte i comportamenti di tanti giornali e notiziari televisivi di fronte alla sentenza Mills, seguita distrattamente e solo per quanto riguardava il corrotto, non per il corruttore, protetto da quel lodo Alfano che è stato non a caso fra i primissimi atti del governo dopo la vittoria elettorale. Una linea del silenzio che già destò sorpresa e indignazione della stampa in tutto il mondo. Basti dire che la notizia della sentenza a Milano fu coperta dai TG Rai solo con le immagini acquistate da una troupe esterna, relegata a metà dei notiziari e non accompagnata da alcun approfondimento sulla storia del processo. L’allora direttore del TG 1 Gianni Riotta, contestato in sala da alcuni giovani al Festival del Giornalismo a Perugia, non trovò di meglio per difendersi che sostenere penosamente come a metà dei TG vi sarebbe il massimo ascolto del pubblico…

Lasciamo da parte l’indifferenza e il silenzio con i quali per due volte, l’ultima alla vigilia del voto politico, Silvio Berlusconi ha dato la sua piena solidarietà a Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa e ha definito “eroe” il capo-mafia Mangano.  Nessuno si pose allora la semplice domanda di cosa avrebbero scatenato i media, in un qualsiasi Paese democratico, se il capo del governo avesse cercato di nobilitare pubblicamente un noto gangster pluricondannato…

Ma venendo a recenti vicende, ci chiediamo perché non sia esplosa una massiccia protesta del mondo dell’informazione quando nel corso di conferenze stampa Berlusconi ha evitato di rispondere a legittime domande o cercato di intimidire Testate e  personalmente singoli giornalisti.

O come la categoria dei giornalisti abbia potuto accettare passivamente l’offensiva dichiarazione di Berlusconi secondo cui, citando un detto “educativo” a suo tempo trasmesso dal padre, “chi vuol far del male, fa il delinquente, il pubblico ministero o il giornalista”…

Il terzo gruppo, che non rinuncia a cogliere tutti i comportamenti anomali e le contraddizioni del percorso berlusconiano, denunciandone il carattere illiberale, è per forza di cose striminzito, risolvendosi, con poche altre eccezioni fra i giornali della “sinistra antagonista”, nei quotidiani La Repubblica e L’Unità, nel settimanale L’Espresso e, sul versante televisivo, in un TG 3 solitario, assediato all’interno stesso del Servizio Pubblico, appoggiato da alcune trasmissioni de La 7 e di Sky, sul piano degli ascolti poca cosa rispetto alla concentrazione televisiva che l’irrisolto conflitto d’interessi del premier continua ad alimentare.

In questo panorama rappresenta un’eccezione di peso Famiglia Cristiana, il cui direttore Don Antonio Sciortino, che già in passato aveva denunciato le contraddizioni del premier e la inaccettabilità di una sua pretesa “immunità morale”, ha parlato di “un premier indifendibile” affermando che “la Chiesa non può ignorare l’emergenza morale nella vita pubblica del Paese”.

Un appello alto e incisivo, che è stato inizialmente vanificato dal silenzio e dalla cautela delle gerarchie ecclesiastiche, ma che è stato poi ripreso autorevolmente dal Segretario della CEI, Mariano Crociata, che pur senza nominare il premier ne ha tracciato l’identikit dicendo “basta con il degrado morale e lo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile, arrivando a escludere che questa gravità di comportamenti possa essere liquidata come “affari privati”. L’Avvenire diretto da Boffo prende a sua volta autorevolmente posizione.

Considerato l’allineamento anche sul piano legislativo sistematicamente messo in campo da parte del governo nei confronti dei rigidi interventi del Vaticano in materia di diritti civili, come per il cammino parlamentare del testamento biologico, risulta palese quanto sia stato forte nel mondo cattolico l’impatto degli scandali che hanno circondato Berlusconi e la conseguente reazione dal basso. Ciò non è bastato tuttavia a incrinare sostanzialmente la cortina protettiva stesa dal suo impero mediatico nei confronti di Berlusconi. L’enorme spazio dato al vertice del G8, generalmente acritico e con toni di imbarazzante esaltazione da parte del TG 1, è servito in parte a porre in secondo piano anche questa considerevole crepa aperta nel suo sistema di consenso e di alleanze.

Il cambio di strategia deciso da Berlusconi in piena estate dimostra però che il premier non ci sta e che ha deciso a ogni costo di “rompere l’assedio”, con conseguenze ancora non valutabili.

Se fosse peraltro necessaria una riprova dello schiacciante peso sull’informazione che il premier mette in campo con il perdurante dominio delle TV, basterebbe lo studio del Censis pubblicato dopo le elezioni, secondo il quale circa il 70 %  degli elettori si è formato la propria opinione solo attraverso i notiziari dei TG, tetto che ha toccato il 78 % per i pensionati e il 74 % per le casalinghe.

In questa oggettiva situazione, assumono contorni grotteschi, ma anche più pericolosi, che lasciano intravedere a quale delirio può arrivare un capo di governo che si ritiene al di sopra di qualsiasi critica quando si veda stretto all’angolo, i tentativi di Berlusconi di gridare al complotto della sinistra, alimentato da non definite manovre internazionali.

Al di là della dimostrazione di una debolezza psicologica e di incertezza personale per le crepe apparse nel “feeling” carismatico con il Paese e per la caduta della sua immagine nel mondo, la deriva berlusconiana ha aperto pesanti interrogativi d’ordine istituzionale, che hanno investito la stessa Presidenza della Repubblica e forse, per vie ancora difficilmente decifrabili, il futuro del quadro politico democratico. Così come è apparsa una gravissima violazione delle regole sulla libera concorrenza, dal sapore chiaramente ricattatorio, anche questo senza precedenti in alcun Paese democratico, l’invito a boicottare i giornali “ostili” ripetutamente rivolto al mondo dell’imprenditoria da parte di chi ha un ruolo centrale in campo editoriale e sul mercato della pubblicità.

In realtà le elezioni europee e amministrative di Giugno, come i pesanti scandali che ne hanno intaccato l’immagine, hanno segnato la sconfitta del disegno berlusconiano di ottenere un tale consenso popolare da consentire un attacco unilaterale alla Costituzione – ipotesi più volte ventilata  pubblicamente – ma non hanno scalfito lo strapotere politico della maggioranza e le pulsioni del premier verso forme di potere personale e autoritario, subito concretizzate con la presentazione in Parlamento e blindandolo con il voto di fiducia del secondo “lodo Alfano” sulla Giustizia e le intercettazioni. Ancora una volta è stata evidente, oltre all’allineamento subalterno della stampa e delle televisioni da lui direttamente controllate, la sottovalutazione nella gran parte dei media della gravità di un atto che colpisce insieme l’operatività dei magistrati in prima linea, la libertà di stampa e in particolare la cronaca giudiziaria, la responsabilità degli editori, i diritti dei cittadini.

Il deciso intervento di Giorgio Napoletano, che ha minacciato di non firmare il DDL quando era già in dirittura d’arrivo al Senato, per evidenti vizi di costituzionalità, chiedendo invece confronto e soluzioni condivise, ha indotto il governo ad accettare un rinvio dell’esame finale dopo un nuovo giro di consultazioni, quando fra l’altro era già indetto uno sciopero nazionale dei giornalisti.

Lo scontro è così rimandato, ma tutto lascia prevedere, come già dimostrano da parte di Berlusconi i segnali di insofferenza e di non condivisione di una linea evidentemente “subita”, che il capo del governo non ha affatto cambiato obiettivo e che l’attacco frontale all’indipendenza dei PM e alla libertà d’informazione, sancite dalla Costituzione, proseguirà.

Un pessimo segnale, che in forme diverse sembra ripercorrere drammatiche scelte dei regimi autoritari che hanno segnato il secolo scorso e che getta nuove ombre sul futuro della democrazia.

Di fronte all’incancrenirsi di una situazione già difficile e che ha da tempo superato i confini di un autentico regime mediatico, si profilano per l’Autunno durissime battaglie e risposte anche sul piano delle manifestazioni popolari che non vedranno schierarsi solo le organizzazioni dei giornalisti, ma anche, finalmente, l’opposizione politica e forti espressioni della società civile, della cultura, insieme – è sperabile – con un’opinione pubblica ancora recuperabile se sottratta alle sirene evasive e consumistiche della “televisione del nulla”.

Temo però che sia ancora lontano il momento in cui, invece di doverci forzatamente rifare all’impressionante conclusione de “Il Caimano” di Nanni Moretti, potremo dire anche noi la battuta che nel frastuono delle rotative Humphrey Bogart lancia al gangster padrone della città, ne “L’ultima minaccia”: “ …è la stampa, bellezza, la stampa. E tu non ci puoi fare niente!”

Fonte: Articolo 21

*****

Non può diventare Presidente della Repubblica chi ha violentato l’Articolo 21 della Costituzione

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link