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Identità e asterischi. I diritti non si devono imporre. E per favore non chiamatemi car*

Nando dalla Chiesa * il . Cultura, Diritti, Politica, Società

Ebbene sì. Ho firmato la proposta di istituire su Trenord, ferrovie lombarde, delle carrozze speciali per sole donne.

La petizione l’ha lanciata via change.org una giovane donna lombarda. Il motivo? Due aggressioni, in un caso anche violenza sessuale, in una stazione e su un treno delle ferrovie regionali sulla tratta Milano-Varese. Chi ha lanciato la petizione -è evidente- ritiene che le carrozze solo per donne siano un modo per salvarsi dal ripetersi futuro di questi episodi. Poiché gli uomini che vi entrassero sarebbero immediatamente riconoscibili -per definizione- per le loro pessime intenzioni. Con seguito di allarme automatico.

Ho firmato di slancio, senza pensarci, parteggiando d’istinto per il più debole. Come altri, quasi mille firme in due giorni. Se chi è più esposto alla violenza, mi sono detto, chiede questo scudo perché non garantirglielo?

Poi ho riflettuto due minuti. E ho pensato che i sostenitori e soprattutto le sostenitrici della parità di genere mai avrebbero immaginato un giorno una carrozza di genere, solo per le donne. Chissà perché ho rivisto Rosa Park. Una specie di apartheid, come ha commentato lo stesso presidente della Regione Attilio Fontana. E in effetti come è possibile concepire una carrozza che fa a pugni con l’idea suprema che uomini e donne e portatori di ogni orientamento sessuale abbiano il diritto di viaggiare insieme e frequentare gli stessi luoghi?

Per difendere le donne occorre una vigilanza assidua sui treni. Obiezione: ma non c’è personale sufficiente. Per difendere le donne occorre una grande offensiva di persuasione verso gli uomini, occorre un cambiamento culturale, come si dice sempre, “a 360 gradi”. Obiezione: ma occorre tempo e intanto? Ecco perché, qui e adesso, la soluzione un giorno obbrobriosa è apparsa sensata e culturalmente legittima.

Ed è qui che cade la pera in una società dove i diritti paiono talora inventati in provetta e sempre meno messi a confronto con la realtà o il contesto. La bontà dei mezzi con cui si difendono i grandi princìpi dipende infatti da tante cose.

Vedo ad esempio che all’università di Pisa stanno progettando per la prossima primavera di usare bagni “neutri”. Non più sagome di uomini e donne sulle porte. Perché la divisione suona discriminazione, separazione. Anche qui quando ho letto ho approvato d’istinto.

Poi mi sono ricordato di quando l’Italia iniziò a respirare un po’ di libertà sessuale, e di quando al pensionato studentesco della Bocconi, dove vivevo, le barriere tra ala maschile e ala femminile franarono come le mura di Gerico. E i bagni divennero a ingresso libero per tutti. “Neutri”, insomma. Ecco, non è che tutte le mie coetanee ne fossero felici, tirava spesso un’aria di imbarazzo.

Così ho chiesto ad alcune mie ricercatrici se l’innovazione pisana abbia il loro consenso. Risposta: se lo fanno qua a Milano, piuttosto vado fuori in un bar. Interessante. Ho pensato allora anche a come risponderebbero le file di signore che attendono il loro turno in autogrill o in aeroporto. Ben separate e attente a non confondersi con i “signori”.

Vedete un po’ come funzionano i diritti, tra una loro difesa disperata attraverso la segregazione e una loro ricerca sofisticata con la parificazione (dei generi) nei luoghi a un tempo pubblici e dell’intimità.

Mi vado convincendo in realtà che vi sia un unico modo di dar fondamento e forza ai diritti: rispettare le opinioni dei loro titolari. Chi vuole i bagni neutri li ottenga e li frequenti. Chi vuole i bagni di genere li difenda.

Si chiama laicità. E questo vale anche per altre pratiche.

Chiedetemi ad esempio se sono contento di sentirmi chiamare car*. No, manco per idea, mi offendo, la mia identità non è un asterisco. A questo non era ancora arrivata nemmeno la burocrazia più ottusa e spersonalizzante. Sono gli scherzi del diritto da provetta…

* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 20/12/2021

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