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Che fine ha fatto la riforma della legge elettorale?

Rocco Artifoni il . Istituzioni, Politica, Società

Era settembre del 2019 e veniva approvato il programma del governo Conte bis.

In quel programma c’era scritto: “È necessario inserire, nel primo calendario utile della Camera dei deputati, la riduzione del numero dei parlamentari, avviando contestualmente un percorso per incrementare le opportune garanzie costituzionali e di rappresentanza democratica, assicurando il pluralismo politico e territoriale. In particolare, occorre avviare un percorso di riforma, quanto più possibile condiviso in sede parlamentare, del sistema elettorale”.

Che le riforme costituzionali facciano parte di un programma di Governo è assai discutibile, visto che è il Parlamento che deve approvarle. Comunque, alla riduzione del numero dei parlamentari si è arrivati velocemente, persino con la conferma del referendum costituzionale nel settembre dell’anno successivo.

In quella campagna referendaria molti politici di primo piano – favorevoli alla riduzione dei parlamentari – avevano promesso un “riequilibrio democratico”, come indicato nel programma di governo, attraverso l’approvazione di una legge elettorale proporzionale, possibilmente senza liste “bloccate”, cioè con candidati eletti dagli elettori e non già decisi e di fatto nominati dai partiti.

In particolare l’allora segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti aveva scritto: “Le preoccupazioni espresse da molte personalità, in ultimo da Bartolomeo Sorge, sul pericolo di votare a favore del referendum sul taglio ai parlamentari senza una nuova legge elettorale, sono fondate e sono anche le nostre”.

In questa vicenda si addice perfettamente un proverbio popolare: “passata la festa, gabbato lo santo”.

Quanti sono gli elettori che nel referendum hanno votato a favore della riduzione dei parlamentari fidandosi dei politici (non soltanto del PD) che hanno promesso la riforma della legge elettorale? Nel frattempo è cambiato sia il Governo sia il segretario del Partito democratico. E le probabilità che venga approvata entro la fine della legislatura la riforma elettorale si sono ormai ridotte al lumicino.

Dopo tutto ciò per onestà intellettuale bisognerebbe riconoscere che avevano ragione quei pochi che seguendo la logica con estrema chiarezza avevano proposto: “prima approviamo la riforma elettorale e poi faremo la riforma costituzionale”. In questo modo tutti sarebbero stati garantiti, senza correre “pericoli” inutili. Ma per l’ennesima volta la classe politica si sta dimostrando inaffidabile e gli elettori ben disposti a credere a vane promesse, salvo poi lamentarsi dei politici “voltagabbana”. Purtroppo aveva ragione Pier Paolo Pasolini: “Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”.

Ci vorrebbero altre regole, un’altra consapevolezza, un’altra etica. Nel programma del Governo Conte bis era stata espressa anche l’intenzione di “introdurre istituti che assicurino più equilibrio al sistema e che contribuiscano a riavvicinare i cittadini alle Istituzioni”. Parole che oggi suonano beffarde. Ed è sconcertante constatare la scomparsa della “memoria” di ciò che accade: perché non c’è quasi più nessuno che chieda alla classe politica attuale che fine abbia fatto la promessa di una nuova legge elettorale proporzionale?

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