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La cannabis alla prova del referendum

Leopoldo Grosso il . Criminalità, Droga, Mafie, Politica, Società

In pochi giorni la proposta di referendum per la legalizzazione della cannabis ha superato le 500.000 firme necessarie. Il successo non è dovuto solo alla nuova modalità digitale, che ha reso più immediato e funzionale il meccanismo partecipativo.

Secondo le informazioni disponibili, la metà dei firmatari è sotto i 25 anni di età e ciò la dice lunga su quanto i più giovani non sopportino più l’ipocrisia di un trattamento giuridico differenziale tra alcol e cannabis (entrambe sostanze psicoattive con la prima legale, a differenza della seconda, benché altrettanto, o maggiormente, rischiosa e nociva) e non accettino che il consumo di hashish e marijuana sia “ingiustamente” sanzionato e foriero di non poche complicazioni sociali per la loro vita.

Le persone che ogni anno vengono fermate dalle forze dell’ordine e colte in possesso di una sostanza illecita per uso personale, per le quali viene aperto il procedimento amministrativo, sono circa 80.000, di cui più dell’80% per cannabis. Ebbene, per esse le sanzioni amministrative previste sono il deferimento in prefettura, una multa, l’invito alla cura, la possibilità di sospensione della patente di guida e di divieto di espatrio. Superfluo dire che, se in alcune situazioni, per esempio la guida sotto l’effetto della sostanza, ha senso, come accade per l’alcol, non avere più a disposizione l’auto per andare a lavorare, sottoporsi periodicamente all’esame delle urine o sostenere le più costose analisi del capello, questo senso viene meno se si consuma in casa con gli amici o in poltrona ascoltando musica.

Per i giovani la legalizzazione della cannabis e la sua equiparazione, con alcune più specifiche restrizioni, ad alcol e tabacco, significa possibilità di vivere in mondo meno ipocrita e paternalistico, abbattere un’ingiustizia e liberarsi dello stigma, che in qualche modo li avvolge, dell’essere dei “drogati”.

È questa, infatti, l’onda lunga prodotta dalla legge del 1990, tuttora cardine della normativa sulla droga. In tale legge non si fa nessuna distinzione tra consumo e dipendenza (che pure sono fenomeni del tutto diversi, come dimostra l’uso di bevande alcoliche nella popolazione), in piena sintonia con la narrativa adulta più diffusa, sostenuta strumentalmente da alcune forze politiche, il cui punto forte è che la cannabis è l’inizio di un percorso che porta dritto all’eroina. Si tratta di una legge e di un’opinione pubblica ferme a “I ragazzi dello zoo di Berlino”, totalmente digiune di ogni evidenza scientifica, destinate a creare una netta contrapposizione con i comportamenti giovanili.

Per di più, se le ansie e le preoccupazioni dei genitori nei confronti dei figli, soprattutto se minorenni, possono essere comprensibili e condivisibili, non lo è certo l’atteggiamento di chi, per fini prevalentemente elettorali, cerca di trarre vantaggi da quei timori, impedendo una discussione pacata e sfruttando reazioni emotive scatenate da un’informazione allarmistica e manipolata.

Infatti la maggioranza degli esperti conviene che un regime di legalizzazione consentirebbe un intervento di protezione della salute meglio esercitabile e probabilmente più efficace di quanto avviene nell’attuale “clandestinità” d’uso da parte e nello spropositato gioco a “guardie e ladri” tra le forze dell’ordine e i giovani consumatori. Ciò anche senza considerare il fatto che tutti gli Stati in cui la cannabis è stata legalizzata hanno posto un esplicito divieto di consumo per gli under 18-21.

Sempre sul piano della riduzione dei rischi, i giovani consumatori, liberati dalla necessità di acquistare hashish e marijuana in condizioni di illegalità, verrebbero sganciati dalla contiguità e dall’esposizione all’offerta di altre sostanze psicoattive illegali. E si ridurrebbero di molto i margini per le carriere dei “piccoli spacciatori”, che spesso iniziano procurando la cannabis per gli amici e passano, poi, a utilizzare tale ruolo per consumare senza costi e magari per guadagnare qualche soldo intraprendendo la strada dell’illegalità.

La legalizzazione della cannabis, oltre ad attenuare le conseguenze amministrative e sociali dell’uso, comporterebbe evidenti benefici anche sul piano della lotta al narcotraffico e della protezione dell’economia legale. Nel contrasto del narcotraffico verrebbero sottratti alla malavita ingenti capitali. È vero che la cannabis è la sostanza psicoattiva illegale che costa meno sul mercato, ma è anche quella più diffusa.

Il mercato nero non sarebbe azzerato, così come non è attualmente eliminato il traffico illegale di sigarette, ma diventerebbe residuale, anche se molto dipenderebbe dalla capacità di concorrenza del mercato legale, per cui non sarebbe secondario evitare che il prezzo a grammo del prodotto in vendita, che garantisce maggiore sicurezza sanitaria (con quantità di principio attivo,THC e CBD, conformi), sia caricato di tasse aggiuntive. Roberto Saviano calcola che la legalizzazione della cannabis sottrarrebbe alle organizzazioni criminali tra gli 8 e gli 11 miliardi di euro all’anno. Una stima più prudente, approssimata per difetto, contenuta nella Relazione annuale al Parlamento del Dipartimento per le politiche antidroga, parla di 3,4 miliardi di introiti. In ogni caso, è denaro liquido, pronto ad essere utilizzato per inquinare l’economia legale.

Né è fondata la preoccupazione più diffusa manifestata a fronte della legalizzazione, che rimanda al possibile aumento del consumo. Caduto il divieto – si dice ‒ molti giovani potrebbero essere più propensi a farne uso mentre il comandamento fondamentale della medicina (“Primo, non nuocere”) impone un principio di cautela. L’esperienza dimostra il contrario.

Anzitutto gli Stati che hanno aperto al consumo ricreativo di cannabis non lo hanno liberalizzato bensì “legalizzato”, prevedendo specifici limiti con riferimento all’età, alla quantità massima di acquisto, all’impedimento della pubblicità e all’obbligatorietà dell’informazione sui rischi del consumo.

Ma c’è di più. Gli studi condotti da P. Cohen dopo 20 anni di legalizzazione in Olanda (dove l’esperienza dei coffee-shop è in atto, pur con diverse vicissitudini, da più di 40 anni) evidenziano che, comparando il fenomeno con quello degli Stati Uniti (dove vigeva la proibizione), i tassi di consumo risultavano sovrapponibili per tutte le fasce d’età, con l’eccezione, a sorpresa, degli adolescenti, per i quali emergeva, in Olanda, un consumo mediamente più basso e con un’età di iniziazione più alta. Ciò verosimilmente perché i numero dei consumatori già aveva toccato il tetto per cui, dopo un moderato aumento nel breve periodo a seguito del venir meno del divieto, il consumo si è prima stabilizzato, per poi regredire, sul lungo periodo, ai livelli iniziali. Un percorso simile risulta anche dall’esperienza portoghese della decriminalizzazione e dalla più recente legalizzazione della cannabis in Canada. Qui il Governo, prima di procedere alla legalizzazione, ha tenuto conto delle indicazioni degli esperti sui danni che possono essere provocati dal consumo di cannabis, approntando cautele specifiche.

Così, a fronte dei tre rischi paventati (incidenti di guida, soprattutto in caso di consumo in associazione con alcol; tumore al polmone; interferenza, per i minorenni, con un sano sviluppo psicofisico, considerata la lenta maturazione cerebrale che va al suo pieno compimento intorno ai 21 anni) sono stati previsti il divieto d’uso fino alla maggiore età; l’informazione circa l’associazione con lo sviluppo di malattie tumorali; controlli e sanzioni “pesanti” per chi guida sotto l’effetto della sostanza, non diversamente da quanto è previsto per l’alcol.

La conclusione è evidente. Essere favorevoli alla legalizzazione non significa essere favorevoli al consumo, ma perseguire un modo diverso, auspicabilmente più efficace, di far fronte al fenomeno, evitando i danni e le conseguenze a macchia d’olio innescate, ormai da 50 anni, dall’approccio proibizionista.

Fonte: Volerelaluna.it, 22/09/2021

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