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Il cerino della Trattativa resta in mano solo alla mafia. Lo Stato è salvo?

Lorenzo Frigerio il . Giustizia, Istituzioni, L'analisi, Mafie, Politica, Sicilia

Comunque la pensiate, la sentenza emessa ieri pomeriggio dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo è un passo indietro nella ricerca della verità su quanto avvenne nel nostro Paese nel tragico biennio 1992/1994.

Un passo indietro per quanti aspettano da quasi tre decenni di sapere se ci fu davvero un cedimento dello Stato alle richieste dei boss mafiosi, i quali pensarono bene di condizionare le istituzioni nella stagione delle stragi a suon di bombe e omicidi.

Il verdetto di ieri ribalta i risultati del primo grado, dove erano state riconosciute precise responsabilità in capo a quanti erano rimasti sotto processo dopo la scomparsa di altri imputati quali Riina e Provenzano: l’ex senatore Marcello Dell’Utri, gli ex ufficiali dei carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, i mafiosi Leoluca Bagarella e Antonino Cinà.

Dopo tre giorni di camera di consiglio nell’aula bunker di Pagliarelli, la Corte presieduta da Angelo Pellino e Vittorio Anania giudice a latere ha assolto Dell’Utri, “per non avere commesso il fatto”, e gli ufficiali del Ros “perché il fatto non costituisce reato”. Pena ridotta per Bagarella e confermata per Cinà, il latore del “papello” di Riina a Ciancimino.

In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, fondamentali per capire le ragioni di questa decisione, ciascuno di noi si trova a fare i conti con una sensazione di forte sconcerto – per usare un eufemismo – di fronte alle conclusioni cui sono giunti i giudici palermitani, perchè da ieri vengono meno le accuse per quelli che sarebbero stati gli interlocutori principali di Cosa nostra.

Intanto un primo elemento di fatto da prendere in considerazione è che il fatto – la trattativa, che ancora in molti si ostinano a definire “cosiddetta” – è stato provato nella sua esistenza, tanto è vero che Bagarella e Cinà sono stati condannati per averlo commesso, mentre sempre lo stesso fatto non è stato commesso da Dell’Utri, già condannato in via definitiva per concorso esterno alla mafia fino al 1992, e non costituisce reato per Subranni, Mori e De Donno.

Nell’impianto accusatorio, giova ricordarlo sempre, il reato contestato agli imputati non era quello inesistente di “trattativa”, ma quello previsto dall’articolo 338 del codice penale: “Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti”.

Ora, stando alla sentenza emanata ieri, il reato viene declassato a “tentata minaccia pluriaggravata a corpo politico dello stato”, con il risultato che il reato così riqualificato viene dichiarato estinto perchè prescritto. La minaccia sarebbe stata indirizzata in tempi diversi nei confronti degli esecutivi guidati da Amato, Ciampi e Berlusconi, ma la tenuta delle istituzioni sarebbe stata assicurata e lo Stato non avrebbe ceduto al ricatto.

Il dialogo investigativo, secondo la pronuncia di ieri avviato legittimamente dai carabinieri del Ros con Ciancimino per fermare le stragi, avrebbe provocato anche importanti successi, quali la cattura di Totò Riina (il cui covo di via Bernini peraltro non venne mai perquisito, se non dopo il passaggio di altre “mani” premurose), ma non sarebbe stata veicolata alcuna minaccia alle istituzioni. Da questo assunto discenderebbe così l’assoluzione per gli alti ufficiali dell’Arma, al pari di quella dell’ex senatore di Forza Italia.

Insomma saremmo passati da una “trattativa stato-mafia” a una “trattativa mafia-mafia”, come già nell’immediatezza della lettura della sentenza, si commentava con amarezza ed ironia in aula da parte di qualcuno, mentre i difensori degli imputati ai microfoni delle tv rilasciavano dichiarazioni entusiaste per un risultato straordinario e forse insperato fino a poco tempo fa.

Vedremo cosa diranno le motivazioni della sentenza, ma è chiaro che stando così le cose restano soprattutto da interpretare le ragioni dell’accelerazione della strage di via D’Amelio.

Fiammetta Borsellino in un’intervista all’Adnkronos ha ribadito il suo convincimento: “Per noi l’accelerazione è stata data dal dossier mafia e appalti ma non lo dice la mia famiglia lo dice il processo Borsellino ter, che l’elemento acceleratore è stato il dossier mafia e appalti che è stato archiviato il 15 luglio, cioè pochi giorni prima della strage. Nonostante mio padre il 14 luglio avesse chiesto conto e ragione del perché a quel dossier non venisse dato ampio respiro. Un dossier dei generali Mori e De Donno. Per questo non mi ha mai convinto questa tesi. E i dubbi li ho sempre espressi. Bisogna farsele delle domande. Ho avuto sempre tante dubbi”

Più duro ancora Salvatore Borsellino che ha commentato: “La sentenza, con la condanna di Bagarella e Cinà, conferma che la trattativa c’è stata, l’assoluzione di Mori e De Donno vuol dire che quella trattativa non costituisce reato. È l’ipotesi peggiore che potessi immaginare perché sull’altare di quella trattativa è stata sacrificata la vita di Paolo Borsellino. Questo significa che mio fratello è morto per niente”.

Abbiamo imparato a nostre spese che le sentenze vanno rispettate, sempre. Anche quando risultano incomprensibili e aggiungono dolore a dolore. Questo segna la differenza in uno Stato di diritto.

Ci uniamo ai familiari dei caduti in quel terribile biennio per chiedere ancora una volta verità e giustizia per le vittime del perverso intreccio di relazioni che, ancora una volta, sembrano non aver raggiunto il livello di prova necessario ad essere sanzionate in un’aula di Tribunale. 

Un passo indietro, sottolineavamo all’inizio, sicuramente un ritorno nel buio per quella che resta una delle pagine più brutte della storia della nostra Repubblica.

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Trattativa Stato-mafia: appello ribalta verdetto. Assolti Dell’Utri e Mori

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