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Il giudice ragazzino è diventato Beato per la Chiesa

Lorenzo Frigerio il . Chiesa, Mafie, Memoria, Società

«Muore per Cristo non soltanto chi è ucciso a motivo della fede in Lui, ma anche chi è ucciso per qualsiasi opera di giustizia compiuta per amore di Cristo»

(San Tommaso d’Aquino, Super Romanos, VIII, 7)

Lo scorso 9 maggio ad Agrigento è stato beatificato il giudice Rosario Livatino, ucciso dai sicari della organizzazione mafiosa denominata “stidda” il 21 settembre 1990.

Giovanni Paolo II, il pontefice divenuto santo, aveva definito il magistrato “martire della giustizia e indirettamente della fede”, eppure la scelta fatta dalla Chiesa Cattolica non è stata assolutamente scontata, in quanto da un lato era in discussione la straordinarietà della vicenda umana e professionale di Livatino, dall’altro ci si interrogava su altre questioni fondamentali: veramente i killer mafiosi uccisero il giudice “in odium fidei” e che differenza c’è tra un eroe della giustizia, una vittima di mafia e un martire della Chiesa?

Tutto parte dalla visita di Papa Wojtila ad Agrigento nel maggio 1993 (tre anni dopo la morte di Livatino e a pochi giorni dal primo anniversario della strage di Capaci, dove a trovare la morte furono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro). Prima della celebrazione eucaristica nella Valle dei Templi, ci fu l’incontro privato con i genitori del giudice che raccontarono al pontefice la vita del loro unico figlio, tutto dedito al lavoro e alla famiglia, con una religiosità vissuta quotidianamente con la preghiera e la partecipazione alla messa.

A lui mostrarono anche le agende private le cui pagine riportavano la sigla “STD”, cioè “Sub Tutela Dei” (Sotto la tutela di Dio) e raccontarono di come avesse rifiutato la scorta per non mettere in pericolo altre persone. Colpito da quel dolore composto e da quell’amarezza profonda degli anziani genitori, San Giovanni Paolo II proruppe in quell’anatema contro la mafia passato alla storia, un fuoriprogramma al termine della celebrazione eucaristica da cui venne la più alta condanna della criminalità mafiosa.

Nel frattempo ad alimentare la storia di Livatino ci fu anche il bel libro di Nando dalla Chiesa, intitolato “Il giudice ragazzino” (Einaudi, 1992).

Nel testo la storia del magistrato fu ricostruita con perizia di particolari, intrecciandone i destini anche al clima di quegli anni, dove le polemiche nei confronti della magistratura, pur esposta in prima fila, furono alimentate anche da un capo dello Stato, Francesco Cossiga che, nemmeno un anno dopo l’assassinio di Livatino, apostrofò come “giudici ragazzini” i giovani vincitori del concorso in magistratura che, di norma, venivano catapultati nelle terre di mafia: «Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un’autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l’amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta». Una delle celebri “picconate” di Cossiga che poi, proprio richiamando Livatino, cercherà di rimediare con poca convinzione.

Livatino, ucciso a 38 anni, aveva in realtà dimostrato di avere in alta considerazione l’ideale della giustizia, tanto da credere fermamente di poter incidere in meglio sulla realtà per liberare la sua bellissima terra dall’ipoteca mafiosa e da arrivare a sacrificare la propria vita in nome di quest’ideale.

Con il passare degli anni è emerso con chiarezza che altrettanto forte era la dimensione del credente, accanto a quella del magistrato. Sempre nei suoi diari fu rinvenuta la sua frase ormai diventata celebre: “Alla fine della vita non ci verrà chiesti se siamo stati credenti, ma credibili”. Un testamento spirituale che ha reso più autentica la testimonianza del magistrato nisseno, chiamato ogni giorno ad affrontare delitti, risolvere crimini e ristorare le vittime, sentendo su di sé tutto il peso delle decisioni che era chiamato a prendere. Questo suo rendere giustizia ha fatto di lui non solo un servitore dello Stato ma anche un servitore di Dio, secondo la specialissima forma del suo ministero laicale.

Una vita quindi che ha speso fino all’ultimo respiro non solo per qualcosa (per la giustizia) ma anche e soprattutto per Qualcuno (per il Dio rivelato agli uomini da Gesù Cristo), come acclarato dalla sigla posta sui suoi diari. Il suo essere uomo di legge era costantemente alimentato dal suo rapporto con Dio, tanto da arrivare a ribadire che senza la fede profonda che lo animava non avrebbe potuto pensare ed agire come magistrato della Repubblica.

Una scelta professionale che in Livatino è stata una risposta alla vocazione cui ciascun cristiano è chiamato: la strada della magistratura è stata quella unica via da percorrere per avere una vita santa, per dare concretezza e autenticità al suo essere cristiano battezzato che aveva come riferimenti costanti il Vangelo e la Costituzione con le leggi collegate. Vangelo e Costituzione che don Luigi Ciotti, presidente di Libera, ricorda sempre essere i riferimenti di ogni seria azione antimafia, volta alla liberazione del nostro Paese dal cancro delle mafie.

“Martire della giustizia e indirettamente della fede”: dall’intuizione di San Giovanni Paolo II (tutta in quell’avverbio “indirettamente”) siamo così arrivati alla scelta di Papa Francesco di portare Rosario Livatino agli altari.

La “stidda” pensava di eliminare “solo” un pericoloso nemico giurato, ma non poteva certo immaginare che uccidendolo avrebbe spinto la Chiesa ad indicare lo stesso giudice come modello di vera vita cristiana. Una vita piena perché vissuta “Sub Tutela Dei” e che quindi non si ha paura di abbandonare, anche e soprattutto quando s’intraprende in coscienza una strada senza ritorno, quella del martirio.


Bibliografia

Abate Ida, IL PICCOLO GIUDICE, Ila Palma, Palermo 1992

Abate Ida, IL PICCOLO GIUDICE. Fede e giustizia in Rosario Livatino, Editrice AVE, Roma 2005

Bertolone Vincenzo, ROSARIO ANGELO LIVATINO. DAL «MARTIRIO A SECCO» AL MARTIRIO DI SANGUE, Morcelliana, Brescia 2021

Bertolone Vincenzo, ROSARIO LIVATINO. AGENDE NON SCRITTE, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2021

dalla Chiesa Nando, IL GIUDICE RAGAZZINO, Einaudi, Torino 1992

Della Monica Marilisa, ROSARIO LIVATINO, Ed. “Il pozzo di Giacobbe”, Trapani 2020.

Di Lorenzo Maria, ROSARIO LIVATINO, Edizioni Paoline, Milano 2000

Genco Lilli, Damiano Alessandro, ROSARIO LIVATINO. LA LEZIONE DEL GIUDICE RAGAZZINO, Di Girolamo Editore, Trapani 2021

IL “MAGISTERO” DI ROSARIO ANGELO LIVATINO, Postulazione della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Rosario Angelo Livatino, magistrato, Raffadali (AG), 2016

Livatino Rosario Angelo, NON DI POCHI, MA DI TANTI, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta – Roma, 2012

LIVATINO, TESTIMONE CREDIBILE DEL RISORTO, Postulazione della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Rosario Angelo Livatino, magistrato, Raffadali (AG), 2017

Mira Toni, ROSARIO LIVATINO. IL GIUDICE GIUSTO, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2021

Mistretta Roberto, ROSARIO LIVATINO. L’UOMO, IL GIUDICE, IL CREDENTE, Edizioni Paoline, Milano 2015

Sarto Andrea, ROSARIO LIVATINO. SERVIRE LA GIUSTIZIA, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018


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