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Costituzione e “democrazia emancipante”. Quel patrimonio da difendere

Gian Carlo Caselli * il . Istituzioni, L'analisi, Memoria, Politica, Società

I pericoli della pandemia ancora incombenti impongono limitazioni. Ma non all’orgoglio con cui ogni XXV aprile va ricordata la Resistenza. Per non dimenticare: sia i disastri della dittatura fascista, fino alla tragedia della seconda guerra mondiale; sia che la Resistenza nasce dalle violenze e discriminazioni del regime, sfociate poi nelle feroci rappresaglie dei nazi-fascisti.

La Resistenza è una vicenda complessa. Se ne leggiamo un singolo segmento, le valutazioni saranno confliggenti. Ma con una lettura complessiva risulterà innegabile – parafrasando Calvino – che anche il più idealista, il più onesto, il più dolce dei repubblichini si batteva per una causa sbagliata, la dittatura. Mentre anche il più ignaro, il più balordo, il più spregiudicato dei partigiani si batteva per una causa giusta, la democrazia.

Oggi, sforzarsi di costruire pace fra tutti gli italiani, è bene. Purché avvenga nel rispetto della verità e della storia e sia ben salda la distinzione tra chi ha combattuto per la dittatura e chi invece per la libertà: di tutti, anche di quelli che erano dall’altra parte.

Sono infatti i sacrifici e le morti dei partigiani che hanno portato il nostro Paese a quel riscatto in termini di dignità, libertà ed uguaglianza che è la Costituzione. A scriverla sono stati uomini e donne che su alcuni temi avevano anche idee diverse: socialisti, comunisti, democristiani, liberali, azionisti, repubblicani, monarchici, cattolici, laici, credenti e non credenti: c’era di tutto!

Dirà  Calamandrei: “sotto questa Costituzione ci sono tre firme che sono un simbolo, De Nicola, Terracini, De Gasperi. Tre nomi, tre idee, tre concezioni, le correnti più importanti del nostro Paese. Vuol dire che intorno a questo Statuto si è formato il consenso dell’intero popolo italiano”. Questo il valore della nostra Costituzione; non l’imposizione di qualcuno sugli altri, ma il consenso di tutti. Di qui il formidabile propellente, valido ancora oggi, della Costituzione come programma di una “democrazia emancipante”. Dove lo “status” del cittadino comprende sì il diritto di voto, ma pure il diritto a condizioni di vita decorose e civili, per tutti. Anche per  i malati, i poveri, gli anziani, gli stranieri, i disoccupati e i precari.

Dunque il patrimonio del XXV aprile oltre che ricordato va difeso. Soprattutto contro i tentativi di recuperare un vecchio modello, nel quale le regole uguali per tutti cedono ai rapporti di forza. Persino nel mondo del calcio ci sono moderni “padroni del vapore” che vorrebbero sottomettere tutti gli altri. Un tentativo per ora abortito. Parlarne, in un contesto dedicato al XXV Aprile, può essere blasfemo. Lo so e mi scuso. Ma forse stona meno se si ricorda il ruolo di alcuni gerarchi proprio in vicende calcistiche.

* Fonte: Corriere della Sera – Torino, 25/04/2021

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