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La sedia mancata di Ursula von der Leyen

Maria Teresa Covatta il . Internazionale, Istituzioni, Società

L’episodio è ormai noto a tutti, passato e ripassato dai media in ogni forma, stigmatizzato sui social in ogni modo, dalle considerazioni di politici ed opinion makers al “vignettismo” dell’Internet, che ha mostrato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che va all’incontro con il presidente turco Erdogan a braccetto con il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel portandosi al braccio una sedia pieghevole; o seduta, perplessa, davanti a due trogloditi con tanto di clava in  mano.

La vicenda, pietra dello scandalo, brevemente è questa. Il 7 aprile il presidente del Consiglio Europeo e la presidente della Commissione Europea vengono ricevuti dal presidente turco. Mentre il primo ospite viene fatto accomodare in una poltrona  posta accanto al padrone di casa, la seconda troverà posto, dopo lunghi attimi di incredula incertezza, in un divanetto laterale, piuttosto distanziata dagli altri  due.

La cerimonia così orchestrata non ha mancato di suscitare immediatamente critiche e polemiche. Si è parlato di sgarbo istituzionale, di protocolli diplomatici violati o quanto meno di applicazione volutamente rigida e formale del protocollo sulla disposizione dei posti. Infine, di prassi consolidate infrante, ricordando quanto successo nel 2015 allorchè gli ospiti di Erdogan, nello stesso ruolo istituzionale, erano Tusk e Junker e le poltrone ai lati del presidente turco erano due.

Il messaggio

Non è mancato chi ha interpretato il gesto come squisitamente politico. In relazione alla politica interna, si è detto, l’affronto alla von der Leyen rientra perfettamente nello schema di un autocrate in difficoltà, isolato a livello internazionale e con problemi interni che ha un bisogno disperato di affermare la sua autorità e di riconquistare la  falange dei conservatori interni; a livello internazionale un messaggio politico  diretto verso, o meglio contro, l’Unione Europea.

Certo è che comunque, anche a leggerla così, salta agli occhi all’evidenza che chi ne fatto le spese è stata una donna che, quale presidente della Commissione Europea non aveva mancato di stigmatizzare, solo pochi giorni prima, il recente annuncio di Erdogan di aver avviato la procedura di recesso dalla convenzione di Istanbul con un messaggio di significante censura seppur diplomaticamente confezionato in termini istituzionali; e che per di più aveva aggiunto l’invito al presidente turco di tornare sui suoi passi in nome dei diritti umani e della civiltà.

La Convenzione di Istanbul

E’ ben noto cosa abbia rappresentato la Convenzione di Istanbul del 2011, finalmente un vincolo giuridico per gli Stati aderenti all’attuazione ed al rispetto di comuni disposizioni volte alla prevenzione della violenza di genere, alla repressione della violenza domestica, alla protezione delle vittime, alla punizione dei colpevoli. Un testo che ha prospettato, finalmente, una possibile visione diversa dello stupro e del femminicidio, inquadrati, accogliendo le istanze della società civile e delle istituzioni impegnate nella lotta per i diritti umani, non più come delitti isolati, frutto di colpi di testa o di amore tradito, ma come aspetti strutturali della violenza di genere.

Di qui lo shock del 21 marzo seguito all’annuncio della decisione di Erdogan di recedere dalla Convenzione. Una decisione che ha riportato la Turchia, già tra i firmatari originari dell’Accordo e primo Paese ad averlo ratificato, indietro di anni luce, segnando l’arretramento di un percorso di uguaglianza e del cammino per il superamento del soffitto di cristallo di cui Ursula von der Leyen, donna a capo di una delle massime autorità europee, ben può considerarsi un simbolo .

Il sofa-gate

Tornando quindi al sofagate, quale che sia stato l’intento politico interno o internazionale o il messaggio dato all’Unione, certo è che l’umiliazione inflitta alla von der Leyen proviene da un presidente che aveva appena promesso ai conservatori del suo Paese di “ridare dignità alla donna” riportandola nella famiglia, quale unico luogo in cui è giusto e morale che stia, come moglie e come madre, unici ruoli che le possono essere riconosciuti.

E dunque, ancor di più in questo contesto, l’umiliazione inflitta alla donna Ursula vor der Leyen, nonché presidente della Commissione Europea, dal presidente di un Paese in cui le libertà, tra cui quella delle donne, sono progressivamente e drammaticamente peggiorate, è inaccettabile per tutte le donne e gli uomini che rifuggono l’oscurantismo, si definiscono civili e rifiutano di tornare indietro sulla strada del rispetto dei diritti umani

Le reazioni

Infatti queste donne e questi uomini hanno reagito, ciascuno a proprio modo, ma comunque in modo forte. Hanno protestato associazioni femministe, parlamentari dell’Unione Europea, uomini e donne di governo, opinionisti. Si è parlato di “machismo protocollare”, di “bullismo politico”, è stata simbolicamente esposta una sedia vuota nell’aula del nostro Parlamento su iniziativa condivisa di una deputata italiana. Ma la censura più tagliente e più ufficiale, che ha causato una protesta diplomatica altrettanto ufficiale da parte della Turchia, con la convocazione dell’Ambasciatore italiano, è stata che “con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono, di cui si ha bisogno, bisogna essere franchi nell’espressione della propria diversità di vedute e di visione della società”.

Reazioni forti e decise che contrastano con il comportamento del presidente del Consiglio Europeo, il belga Charles Michel. Criticato, anzi criticatissimo, per la sua inerte acquiescenza, egli stesso ha parlato, poi, di “immagine disastrosa” e di offesa a tutte le donne. Eppure è andata così.

Certo, si è detto, spezzando una lancia in suo favore, un negoziato è un negoziato, la sfida dell’incontro era forte, i risultati attesi, sotto tanti profili, erano importanti, la mission era quella di ricucire o almeno ammorbidire i rapporti con la Turchia, riavvicinando l’Europa ad un Paese che si sta progressivamente allontanando dai valori europei e dalla democrazia.

Possono essere considerate giustificazioni? Personalmente credo di no, anche  in un’ottica pragmatica di costi benefici.

Comunque effettivamente è andata così e non ci resta che fantasticare su tutte possibili reazioni diverse che avrebbero dato a questa vicenda un’immagine migliore degli uomini “civili”, pur di fronte ad un dittatore di cui si ha bisogno.

Fonte: Giustizia Insieme

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