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Libertà per Patrick Zaki, arrestato solo perchè attivista dei diritti umani

Amnesty International Italia il . Associazioni, Giustizia, Internazionale, Società

La Corte d’assise del Cairo ha rinnovato di altri 45 giorni la detenzione del ricercatore egiziano all’Università Bologna Patrick Zaki.

Lo riferisce all’ANSA la sua legale, Hoda Nasrallah, sottolineando che è stata inoltre respinta la richiesta, presentata ieri dalla difesa, di un cambio dei giudici che seguono il caso. L’udienza si era svolta ieri ma l’esito si è appreso solo oggi.

Quello che la difesa di Patrick aveva dichiarato ieri, e cioè che c’era un accanimento giudiziario nei confronti di questo ragazzo è confermato dalla decisione di oggi che è crudele, dolorosa. Vorremmo che il Governo italiano facesse subito una cosa, perché può farla subito: convocare l’ambasciatore egiziano a Roma per esprimere tutto lo sconcerto per questo accanimento nei confronti di Patrick e chiedere che sia rilasciato“. Così all’ANSA Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in Italia, alla notizia del rinnovo di altri 45 giorni di detenzione. In tempo “breve”, aggiunge, “devono essere fatte tutte le altre cose necessarie per salvare Patrick da questo incubo“.

L’arresto e la tortura

Patrick George Zaki è stato arrestato al suo arrivo in Egitto.

I suoi avvocati ci hanno riferito che gli agenti dell’Agenzia di sicurezza nazionale (NSA) hanno tenuto Patrick bendato e ammanettato durante il suo interrogatorio all’aeroporto durato 17 ore. Patrick è stato picchiato sulla pancia e sulla schiena e torturato con scosse elettriche.

Gli agenti della NSA lo hanno interrogato sul suo lavoro in materia di diritti umani durante il suo soggiorno in Egitto e sullo scopo della sua residenza in Italia.

Il caso di Patrick Zaki

Patrick George Zaki, attivista e ricercatore egiziano, si trova dall’8 febbraio 2020 in detenzione preventiva fino a data da destinarsi.

Il 25 agosto, per la prima volta da marzo, Patrick ha potuto avere un breve incontro con sua madre. In questi mesi la famiglia aveva ricevuto da Patrick solo due brevi lettere a fronte delle almeno 20 che lo studente aveva scritto e inviato.

Dopo estenuanti rinvii, le prime due udienze del processo si sono tenute solo a luglio. Nella seconda, risalente al 26 luglio, Patrick Zaki ha potuto vedere per la prima volta i suoi avvocati dal 7 marzo. In quell’occasione Patrick è apparso visibilmente dimagrito. Il 26 settembre, a seguito di una nuova udienza, il tribunale ha deciso un ulteriore rinvio.

Il 7 dicembre il giudice della terza sezione antiterrorismo del tribunale del Cairo ha annunciato il rinnovo per 45 giorni della custodia cautelare dello studente dell’università di Bologna, in carcere da febbraio in Egitto con l’accusa di propaganda sovversiva.

Patrick George Zaki rischia fino a 25 anni di carcere per dieci post di un account Facebook, che la sua difesa considera ‘falso’, ma che ha consentito alla magistratura egiziana di formulare pesanti accuse di “incitamento alla protesta” e “istigazione a crimini terroristici”.

Nel suo paese avrebbe dovuto trascorrere solo una vacanza in compagnia dei suoi cari in una breve pausa accademica.

A causa della diffusione del Covid-19 anche in Egitto per Patrick, così come per altre decine di migliaia di detenuti egiziani, le preoccupazioni legate all’emergenza sanitaria sono fortissime.

Riteniamo che Patrick George Zaki sia un prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media.

Sparizioni forzate e detenzione preventiva

In Egitto, l’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) si rende responsabile di rapimenti, torture e sparizioni forzate nel tentativo di incutere paura agli oppositori e spazzare via il dissenso pacifico.

Lo abbiamo denunciato in un drammatico rapporto uscito a luglio 2016, mettendo in luce una scia senza precedenti di sparizioni forzate dai primi mesi del 2015.

Il rapporto, intitolato “Egitto: ‘Tu ufficialmente non esisti’. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo“, rivela una vera e propria tendenza che vede centinaia di studenti, attivisti politici e manifestanti, compresi minorenni, sparire nelle mani dello stato senza lasciare traccia.

La Procura suprema abusa regolarmente dei poteri speciali affidatile dalla legislazione egiziana, che consente la detenzione preventiva di una persona sospettata di aver commesso un reato per un massimo di 150 giorni. Contro il rinnovo è possibile fare ricorso, ma la decisione su chi debba esaminarlo – un giudice o un membro della Procura suprema – è lasciata alla discrezionalità di quest’ultimo organismo.

Dopo i primi 150 giorni, la Procura suprema chiede ai “tribunali speciali antiterrorismo” di rinnovare la detenzione preventiva per periodi di 45 giorni. Anche in questa fase è la stessa Procura suprema a decidere chi dovrà esaminare il ricorso. Persino quando un giudice ordina il rilascio di un detenuto, la Procura suprema aggira la sentenza ordinando la detenzione della persona interessata per una nuova diversa accusa.

La detenzione preventiva dura in media 345 giorni e, in un caso, si è estesa per 1263 giorni, al termine dei quali è avvenuto il rilascio senza rinvio a processo. In questo periodo, è raro che i detenuti vengano interrogati più di una volta.

Il ruolo della Procura suprema

Nel rapporto “Stato d’eccezione permanente” evidenziamo come la Procura suprema sia complice nelle sparizioni forzate e nella tortura.

La Procura suprema rifiuta sistematicamente di disporre indagini sulle denunce di sparizione forzata e tortura, sebbene continui a presentare ai processi delle confessioni estorte con la tortura. In alcuni casi, imputati giudicati colpevoli sulla base di questo genere di prove sono stati messi a morte.

Abbiamo documentato 112 casi di sparizione forzata per periodi fino a 183 giorni, prevalentemente per responsabilità dell’Agenzia per la sicurezza nazionale.

Dal rapporto emerge, inoltre, come la Procura suprema non abbia indagato su 46 casi di maltrattamenti e torture da noi sollevati.

La Procura suprema, infine, omette sistematicamente di informare i detenuti dei loro diritti, nega loro l’accesso agli avvocati e li sottopone a interrogatori coercitivi in cui i detenuti sono bendati, trattenuti in condizioni inumane e minacciati di ulteriori interrogatori e torture da parte dell’Agenzia per la sicurezza nazionale.

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LIBERTÀ PER PATRICK

Fonte: Amnesty International Italia

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Patrick George Zaki, l’Egitto e noi

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