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Ora giù le mani dalle misure antimafia ideate da La Torre

Luca Tescaroli il . Economia, Giustizia, Mafie

Dal Pci propose al Parlamento una legge rivoluzionaria sul sequestro dei beni.

Si stava recando a bordo della sua Fiat 132, guidata da Rosario Di Salvo, alla sede del Partito comunista, percorrendo una strada stretta della città di Palermo, quando un commando di mafiosi, a bordo di una moto e di un’auto, gli tese un’imboscata, iniziando a sparare.

Morirono così, alle 9,20 del 30 aprile 1982, Pio La Torre e il suo accompagnatore. Un delitto punitivo e preventivo, esemplare per ferocia. La stessa sera giunse a Palermo il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, che raccolse l’invito del ministro dell’Interno Virginio Rognoni e del presidente del Consiglio Giovanni Spadolini di anticipare il suo insediamento quale prefetto della città.

Un uomo politico, La Torre, protagonista di primo piano della nostra storia più recente, che ha profondamente segnato lo sviluppo del contrasto alla criminalità mafiosa e che concretamente ha speso le sue energie per salvaguardare il valore universale della pace tra i popoli. Egli sapeva bene i rischi che correva, ma rimase al suo posto e proseguì nella sua azione.

Segretario regionale del Partito comunista, si fece promotore di iniziative volte a fronteggiare la controffensiva della nuova mafia, che aveva iniziato dal 1979 una vera e propria carneficina. Aveva redatto, insieme con Cesare Terranova, la relazione di minoranza della commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia in Sicilia, puntando l’indice accusatore contro Vito Ciancimino e i Salvo, quando i cugini erano nel pieno del loro potere.

Aveva capito che cos’era Cosa nostra, quali erano la sua pericolosità e i suoi punti di forza: i suoi rapporti con la politica e la pubblica amministrazione e, soprattutto, la capacità di produrre ricchezza illecitamente; la sua accumulazione è lo scopo e la ragion d’essere delle organizzazioni mafiose, i cui beni rappresentano il simbolo della loro potenza e un prezioso strumento di riciclaggio. Perciò aveva intrapreso iniziative davvero efficaci.

Come parlamentare, infatti, La Torre aveva presentato, unitamente a Rognoni, un progetto di legge rivoluzionario, che prevedeva la possibilità di sequestrare e confiscare i beni, anche solo sulla base di un giudizio di pericolosità sociale, senza prima ottenere una sentenza penale di condanna, l’introduzione del reato di associazione di tipo mafioso, nuove disposizioni in materia di appalti e dirette a vulnerare il segreto bancario che per anni aveva agevolato il riciclaggio del denaro sporco.

Non bastarono tuttavia il suo assassinio, la strage della circonvallazione del 16 giugno 1982, nel corso della quale morirono il boss catanese Alfio Ferlito e tre carabinieri, e la scia di sangue che ne seguì.

Fu necessaria l’uccisione del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, per far approvare il 13 settembre 1982 la sua proposta di legge, la prima seria normativa antimafia dal dopoguerra, una vera rivoluzione copernicana che ha fattivamente contribuito all’erosione delle enormi ricchezze accumulate dalla criminalità organizzata, attraverso le misure di prevenzione del sequestro e della confisca dei beni.

A riprova di ciò va ricordato che i vertici di cosa nostra con le stragi del biennio 1992-94 ricattarono lo Stato per ottenere, fra l’altro, l’eliminazione di quegli strumenti, i mafiosi continuano a dedicarsi con l’aiuto di professionisti a occultare i loro beni e la loro origine ed affermano che non esiste “cosa peggiore della confisca dei beni”, vengono poste in essere minacce, pressioni e danneggiamenti ai danni di coloro che hanno in affidamento beni sequestrati.

Dopo quasi un quarantennio i sequestri e le confische di prevenzione sono divenute un presidio irrinunciabile di contrasto – che dal 2008 in poi, fino all’attuale codice antimafia, è stato esteso anche ai beni la cui origine illecita deriva da numerosi altri delitti – soprattutto nella realtà che oggi viviamo caratterizzata da una pandemia che ha generato un collasso dell’economia, terreno ideale per consentire l’ampliamento dell’infiltrazione mafiosa nelle attività economiche lecite, attraverso il finanziamento e l’accaparramento delle imprese in crisi, l’appropriazione delle erogazioni pubbliche, il rischio dell’ingerenza nella gestione della salute.

Tuttavia, in molti, soprattutto nella dottrina, ne invocano l’incostituzionalità e si registra una deriva ipergarantista in seno alla magistratura, sempre più proiettata ad ancorare le manifestazioni di pericolosità sociale, presupposto per la loro applicazione, alle sentenze di condanna e alle contestazioni mosse nei procedimenti penali.

* Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Firenze

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 06/04/2021

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