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Immigrazione: Cpr e rimpatri, sempre più dura

Piero Innocenti il . Giustizia, Istituzioni, Migranti, Società

E’ diventato sempre più complicato trattenere gli stranieri irregolari sul territorio nazionale in uno dei pochi Centri di Permanenza e Rimpatrio (CPR).

Attualmente, infatti, sono sempre sette quelli operativi, un numero decisamente insufficiente per conferire quella efficacia alle misure di rimpatrio tante volte sollecitate da alcuni politici (anche dalla gente comune) che ignorano le norme che disciplinano la materia e la realtà odierna dell’immigrazione.

L’aumento della capacità ricettiva dei CPR, spesso annunciata anche da enfatiche dichiarazioni pubbliche e con provvedimenti normativi rimasti sostanzialmente lettera morta (così, per esempio, quella parte del decreto sulla sicurezza di Salvini del 2018 che prevedeva di ricorrere a procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando di gara, per dare maggiore impulso e assicurare la tempestiva esecuzione di lavori  di realizzazione e adeguamento dei CPR). Rimasto senza seguito anche il decreto di Minniti del 2017 nella parte in cui si prevedeva di costruire un CPR di piccole dimensioni in ogni regione.

Così, oggi, è problematico riuscire a trovare un posto in un CPR nei confronti di stranieri destinatari di un provvedimento di respingimento/espulsione e questo comporta non pochi problemi per le forze di polizia impegnate quotidianamente nel controllo del territorio.

Una situazione che ha indotto la Direzione Centrale  dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere (Dipartimento della Pubblica Sicurezza) ad inviare il 17 febbraio una circolare a tutti i Questori sul punto ricordando come “la disponibilità di posti presso i CPR non risulta ancora pienamente adeguata alle esigenze di contrasto all’immigrazione irregolare..”. Una situazione che, già critica per “le lunghe tempistiche per l’individuazione e la conseguente apertura di nuove strutture, le riduzioni di capienza o le temporanee chiusure dei centri esistenti dovute all’effettuazione di lavori di ristrutturazione a seguito di danneggiamenti (e ve ne sono stati molti nel tempo, ndr), la lentezza delle procedure identificative attivate con le rappresentanze diplomatiche di alcuni Paesi terzi..” è ulteriormente peggiorata con l’emergenza sanitaria che ha imposto nei CPR “..riduzioni di capienza e l’adozione di rigidi protocolli sanitari per l’accesso (in particolare, l’obbligo di tampone con esito negativo effettuato entro le 48 ore dall’accompagnamento)”.

I responsabili dei CPR, poi, pretendono il tampone molecolare (non sempre è facile farlo in tempi ragionevolmente celeri) per “ospitare” lo straniero in quanto quello “rapido” ha una più alta percentuale di errore. Tutto questo per dire che la Direzione Centrale suindicata potrà autorizzare l’assegnazione di un posto presso i CPR solo “..dopo un’attenta analisi dei singoli casi, al fine di non ridurre ulteriormente la già limitata aliquota disponibile, collocando stranieri di difficile rimpatrio oppure gestibili con modalità meno afflittive..”.

A questa “attenta analisi” si aggiunge l’ulteriore condizionamento di una “valutazione che tenga conto oltre che delle richieste giornaliere (avanzate dalle Questure- ndr), della prospettiva settimanale su cui incidono diversi fattori (ad esempio le dismissioni e rimpatri già programmati dai CPR, le richieste di riserve per scarcerazioni o per azioni di controllo del territorio, gli eventi di sbarco, ecc..)”.

Le Questure, allora, richiedendo l’assegnazione di un posto dovranno corredarla da puntuali (sintetiche) informazioni circa la “pericolosità” dello straniero indicando precedenti penali e di polizia, l’entità di eventuali condanne a pene detentive precisando l’anno di emissione della sentenza,eventuali segnalazioni su condotte che creino allarme sociale, eventuali problematiche di tipo sanitario.

Tempi ancora lontani, dunque, per poter contare su una rete di CPR regionali che significherebbe anche evitare, spesso, missioni lontane dalla propria sede di servizio di appartenenti alle varie forze di polizia impegnati nei delicati servizi di accompagnamento di stranieri nei CPR terminati, talvolta, anche con il rifiuto di accogliere nel CPR lo straniero con le intuibili conseguenze che ne sono derivate.

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