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La “sfida” della mafia nigeriana alle forze di polizia italiane

Piero Innocenti il . Criminalità, Droga, Mafie

Dall’inizio dell’anno ad oggi ho contato una quarantina di nigeriani arrestati dalle forze di polizia per spaccio di stupefacenti (il primo arresto di un narcotrafficante nigeriano si fa risalire al 1987) in diverse città italiane (tra cui Trento, Pesaro, Ferrara, Padova, Palermo, Rieti, Potenza) dove operano una pluralità di gruppi di una criminalità che, tuttavia, “..si presenta compatta e con una fisionomia del tutto particolare” (relazione DIA,2019).

Una criminalità che, lo ricordiamo, la stessa Corte di Cassazione, in più occasioni, ha qualificato come “mafia nigeriana” riconoscendone i tratti tipici e cioè il vincolo associativo, la forza di intimidazione, il controllo di parte del territorio, la realizzazione di profitti illeciti.

Mafia che punta a fare affari con il traffico internazionale di stupefacenti, con lo spaccio e con la tratta di persone (donne in giovanissima età) ridotte in schiavitù e prevalentemente a scopo di sfruttamento sessuale. Oggi che la soglia di attenzione investigativa verso questa delinquenza si è notevolmente alzata grazie anche al contributo informativo fornito da alcuni collaboratori di giustizia nigeriani sulla struttura e sul modus operandi dei sodalizi, alle attività tecniche di indagine e al superamento di oggettive difficoltà investigative (la lingua comprende una miriade di dialetti molto diversi tra loro, spesso reciprocamente incomprensibili), la “sfida (..) non ci coglie impreparati..” (rel. DIA, cit.) e le molteplici operazioni, in particolare nel  2019 e 2020, sono a testimoniare questo impegno delle nostre forze di sicurezza.

E’ pur vero che il nostro Paese ha accumulato una solida esperienza investigativa e giudiziaria unica contro le mafie nostrane e, tuttavia, come molto opportunamente hanno messo in risalto gli analisti della DIA, gli strumenti disponibili “..devono essere ricalibrati su questa particolare mafia che opera secondo logiche proprie (..) che rimandano costantemente ad un network criminale internazionale, con base in Nigeria, cui fare riferimento”(rel. DIA,cit).

Anche per questo, da almeno un paio di anni, la Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo ha attivato un canale di collegamento con la magistratura della capitale nigeriana per uno scambio di informazioni che consenta speditezza nelle indagini. Finalmente, poi, grazie al lavoro della DIA e degli organismi centrali della Polizia di Stato (in particolare il Servizio Centrale Operativo), si è saputo leggere il fenomeno criminale nigeriano nel suo insieme collegando episodi criminali accaduti in zone anche molto distanti tra loro.

E’ stato anche importante capire la genesi dei cults (quattro attualmente quelli presenti in Italia, The Supreme Eiye Confraternity, i Black Axe, i Maphite, i Vikings ed altri minori tra cui i Buccaneers, gli Aye) sorti, sul modello americano, sin dagli anni Cinquanta del secolo scorso nelle Università della regione del Delta del Niger con l’obiettivo di diffondere messaggi di pace e solidarietà, contro qualsiasi forma di razzismo e apartheid ma trasformatesi, con il passar del tempo, in vere organizzazioni criminali riuscendo ad infiltrare il mondo politico, economico e sociale (come fanno le mafie, ovunque).

Venti anni fa, nel 2001, il Governo della Nigeria emanò una legge (“Secret cult and secret Society Prohibition Bill”), che introduceva il reato di creazione o partecipazione a qualsiasi attività riconducibile ai cults (legge sostanzialmente ignorata) che hanno, così, iniziato ad espandersi all’estero, in quasi tutti paesi europei, naturalmente in Italia, ma anche nel Nord e Sud America, in Giappone e in Sud Africa.

Sarà possibile vincere questa ulteriore “sfida” alle nostre forze di polizia solo mettendo a sistema – come sottolineato dalla DIA – il grande patrimonio di informazioni acquisito nei confronti dei gruppi nigeriani in questi anni e che rendono interpretabili e (forse) prevedibili anche le loro derive criminali.

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