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Il narcotraffico in Malesia, Myanmar, Cambogia, Laos, Indonesia

Piero Innocenti il . Criminalità, Droga, Internazionale, Mafie

goldenTriangleAl centro del Triangolo d’oro (il nome deriva dal toponimo che in lingua thai indica il punto in cui il fiume Mae Sai confluisce nel Mekong e comprende una vasta zona che include le colline nel nord-est del Myanmar, le montagne del nord della Thailandia e gli altipiani del Laos), sta il Myanmar, repubblica socialista resasi indipendente dal Regno Unito sin dal gennaio 1948.

Il paese, sottoposto da diversi anni ad un rigido embargo economico da parte dell’UE in relazione alla grave situazione di violazione dei diritti umani, occupa ancora i primi posti nella non invidiabile graduatoria mondiale dei paesi produttori di oppio e di amfetamine. A proposito di queste ultime c’è da segnalare che, da almeno una ventina di anni, il loro commercio rappresenta l’entrata principale nelle casse delle organizzazioni criminali sino-thai-birmane (la produzione stimata di alcuni fa nel Myanmar era di oltre un miliardo di pasticche di amfetamine). L’estensione delle coltivazioni di oppio è di oltre 40mila ettari che rappresentano la porzione maggiore nell’area del Triangolo d’oro (nel Laos si parla di circa 25mila ettari, in Thailandia circa 3mila ettari), con una produzione annua di circa 40 tonnellate di eroina, con le zone di maggiore concentrazione delle colture ubicate nella regione di Shan, Wa e Kokang, al confine con la Cina dove pure sono ubicati i laboratori di raffinazione.

Il Laos, poco più di 7 milioni di abitanti, metà dei quali sotto il livello di povertà, nel 2020 avrebbe prodotto circa 200 tonnellate di oppio coltivato per lo più nelle zone centrali e del Nord. Sono stimate in circa settantamila le famiglie addette alla coltivazione dell’oppio i cui flussi di smistamento si dirigono verso il Vietnam, la Cina e la Cambogia. Le organizzazioni criminali che controllano il mercato sono cinesi, vietnamite e thailandesi, le medesime che gestiscono il rifornimento dei precursori chimici necessari alla raffinazione delle droghe, sostanze che giungono navigando il fiume Mekong. Nonostante una legislazione molto severa in tema di controllo degli stupefacenti (pena di morte per la detenzione di 500 grammi di eroina), il fenomeno della tossicodipendenza ha assunto aspetti preoccupanti (stime ufficiali parlano di oltre settantamila tossicodipendenti).

In Cambogia la situazione non è certo migliore, anzi. Il traffico marittimo delle droghe diretto in Thailandia è “scortato” da “pirati” cambogiani, mentre pericolose infiltrazioni della criminalità del narcotraffico si sono rilevate nelle istituzioni della polizia, della dogana e persino negli ambienti governativi. La capitale Phnom  Penh e la città di Siem Reap, costituiscono i due centri di maggiore gravità dei gruppi mafiosi che vedono in prima fila i nigeriani, i camerunensi, i giapponesi e le Triadi cinesi. Le coltivazioni di cannabis, con una produzione stimata di oltre 2000 ton annue, si sviluppa soprattutto nelle aree di Kandal, Kampong Cham, Koh Kong e Kampot ed è curata da gruppi di etnia cinese e thailandese con la complicità di alti esponenti dell’apparato amministrativo locale. Nella capitale, poi, la presenza di decine di sportelli bancari e di case da gioco agevola la ripulitura del denaro proveniente dal narcotraffico e dal contrabbando di armi e preziosi.

In Malesia, nonostante non sia un paese produttore di droghe, negli ultimi anni sono stati individuati, sull’isola di Peng, alcuni laboratori di raffinazione dell’eroina gestiti da gruppi cinesi e malesi ed altri per la produzione di metamfetamine. La Malesia è un punto di passaggio anche per stupefacenti diretti in Europa, anche in Italia come è emerso nella indagine del luglio scorso che ha portato all’arresto, a Sassari e in altre città, di trentanove persone (2 italiani e 37 nigeriani) conseguente al sequestro all’aeroporto di Kuala Lumpur di un pacco contenente droga. Un traffico che, stando alle indagini, andava avanti da tempo con ripetute spedizioni di eroina e cocaina dalla Malesia e dall’Olanda.

Nel panorama asiatico, la repubblica di Indonesia rappresenta uno dei paesi maggiormente coinvolti nel contrabbando, nella emigrazione clandestina e nel commercio delle droghe. Indipendente dall’Olanda sin dal 1949, l’Indonesia è il più grande arcipelago dell’Asia con le sue 13.667 isole e 270 milioni di abitanti. Nella lotta alla droga, la corruzione esistente nei vari apparati amministrativi gioca un ruolo determinante.

Il paese è, oggi, un territorio di insediamento di gruppi del narcotraffico di provenienza africana, europea, russa, giapponese e cinese. Buona parte dell’eroina proveniente dal Sud-est asiatico viene smistata in moltissimi paesi, anche europei, attraverso le città di Jakarta e Denpasar che rappresentano itinerari di facile percorribilità anche per la cocaina sudamericana  e l’ecstasy di provenienza olandese. La cannabis è molto diffusa in tutto l’arcipelago  e, sebbene non si conoscano esattamente le estensioni delle colture, si ritiene che il commercio della marijuana sia andato diffondendosi sempre più e tutto questo nonostante una legge severissima che punisce anche con la morte la detenzione di droghe ( un centinaio quelli condannati alla pena capitale nel 2020).

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Il narcotraffico nel lontano Oriente

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