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Taglio dei parlamentari: un’analisi numerica

Rocco Artifoni il . Istituzioni, L'analisi, Società

cameraQuestione di numeri. Il referendum sulla riduzione del taglio dei parlamentari è anzitutto una questione di numeri. Alla Camera 630 o 400 deputati? Al Senato 315 o 200 senatori?

Oltre le cifre si trovano molte altre questioni: il ruolo del Parlamento negli equilibri costituzionali, la ripartizione dei seggi regionali per il Senato, la qualità degli eletti e delle leggi, ecc. Ma restando ai numeri, si possono già cogliere alcuni aspetti rilevanti.

I deputati nella storia d’Italia

Nel 1861 con l’Unità d’Italia i deputati erano 443, mentre gli abitanti erano 22 milioni (quindi un deputato ogni 50 mila abitanti). Nel 1865 i deputati italiani divennero 493 con 24 milioni di abitanti (rapporto 1 a 49 mila). Nel 1870 il numero di deputati salì a 508 con 27 milioni di abitanti (1 ogni 53 mila). Nel 1921 i deputati erano arrivati a 535 con 39 milioni di abitanti (1 ogni 73 mila). Nel 1946 furono eletti all’Assemblea Costituente 556 membri con 45 milioni di abitanti (1 ogni 80 mila).

Dal 1946 al 1963 si è mantenuto il rapporto di 1 deputato ogni 80 mila abitanti, come prescriveva la Costituzione: aumentando la popolazione, il numero dei deputati è continuamente salito: 574 nel 1948, 590 nel 1953, 596 nel 1958 e 630 nel 1963, anno in cui è stato fissato il numero assoluto di 630 deputati (e di 315 senatori) a prescindere dal numero di abitanti, che all’epoca erano 51 milioni.

Di conseguenza, oggi i deputati sono ancora 630, anche se la popolazione è di 60 milioni: l’attuale rapporto tra deputati e abitanti è di 96 mila, cioè il più basso della storia d’Italia.

Con un’unica eccezione: nel 1928 il numero dei deputati fu ridotto a 400 per volere di Benito Mussolini e del regime fascista. All’epoca gli abitanti erano 40 milioni e di conseguenza il rapporto scese ad 1 ogni 100 mila.

Oggi con il referendum costituzionale si propone di ridurre i senatori da 315 (1 ogni 192 mila abitanti) a 200 (1 ogni 302 mila) e i deputati da 630 (1 ogni 96 mila) a 400 (1 ogni 151 mila abitanti).

L’eventualità che nel 2020 i deputati diventino meno di quelli dell’epoca dell’Unità d’Italia e soprattutto che il rapporto tra deputati e popolazione passi da 50 mila (nel 1861) a 151 mila (se verrà confermata la revisione della Costituzione) dovrebbe far riflettere.

Il confronto con gli altri Paesi europei

Attualmente i deputati tedeschi sono 709, quelli del Regno Unito 650. In Italia sono 630 e si propone di diminuirli, sostenendo che un’Assemblea così numerosa non può funzionare bene. Questa proposta avrebbe un senso soltanto se si dimostrasse che le Camere della Germania e del Regno Unito funzionano assai male. Restiamo in attesa di prove e riscontri.

Tralasciando i numeri assoluti, si possono confrontare quelli relativi, cioè il rapporto tra deputati ed abitanti. In Europa attualmente i cittadini con meno rappresentanti sono gli spagnoli (1 deputato ogni 133 mila abitanti). A seguire i tedeschi e i francesi (1 ogni 116 mila), gli olandesi (1 ogni 114 mila) e quelli della Gran Bretagna (1 ogni 101 mila), che precedono gli italiani (1 ogni 96 mila). Nel resto d’Europa il rapporto tra deputati e popolazione è più elevato, anche in Paesi con popolazioni non piccole (Polonia, Romania, Belgio, Grecia, Portogallo, Svezia).

Dai dati potremmo dire che l’Italia si trova oggi in una posizione intermedia ed equilibrata. Il problema sta nella proposta referendaria, poiché con 400 deputati l’Italia si andrebbe a collocare all’ultimo posto della classifica europea nel rapporto tra deputati ed eletti (1 ogni 151 mila).

Non è tutto. L’Italia è l’unico Paese europeo con un bicameralismo paritario (detto anche perfetto). Camera e Senato hanno identici poteri e funzioni. Ciò significa che nel confronto con le Assemblee legislative degli altri Paesi europei, oltre alla Camera, bisognerebbe inserire autonomamente anche il Senato. Così facendo, il rapporto tra eletti e abitanti è già il più basso d’Europa (1 a 192 mila) e con la proposta di revisione costituzionale scenderebbe addirittura ad 1 ogni 302 mila abitanti.

Non c’è nulla di paragonabile in Europa.

La circoscrizione regionale dei senatori

La Costituzione vigente stabilisce (art. 57) che i senatori siano eletti “a base regionale” e che ogni Regione debba eleggere almeno 7 senatori, con l’eccezione del Molise e della Valle d’Aosta. Se il referendum costituzionale venisse approvato il Friuli e l’Abruzzo passerebbero da 7 a 4 senatori, mentre l’Umbria e la Basilicata passerebbero da 7 a 3 senatori.

È evidente che la riduzione sarebbe drastica e si creerebbe una soglia implicita assai elevata per essere eletti. Di fatto soltanto le forze politiche maggiori potrebbero eleggere senatori in queste Regioni: le minoranze non avranno alcun seggio.

È il caso di ricordare che la “base regionale” iscritta nel testo costituzionale ha lo scopo di valorizzare l’espressione dei territori nel Senato della Repubblica. Riducendo il numero dei senatori, di fatto si comprime fortemente la pluralità delle voci delle Regioni più piccole.

Non è un buon segnale.

I rischi del taglio dei parlamentari

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