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CSM, una riforma anti-arrivismo

Gian Carlo Caselli il . Giustizia, Istituzioni

giustiziaMagistrati e potere. Secondo il ministro Bonafede, questo nuovo sistema avrà un effetto “spazza-correnti”. In sede di applicazione la verifica ci dirà se l’obiettivo, auspicabile, sarà raggiungibile

I miasmi  del caso Palamara stanno causando alla credibilità della magistratura una crisi da precipizio. Avere a cuore lo stato di salute della democrazia comporta l’impegno urgente di operare incisive riforme del comparto giustizia. A partire dal CSM: dove si è incistato il  groviglio delle “correnti”, meccanismi clientelari che producono nefandezze in quanto piegati allo scellerato criterio della “appartenenza”.

Affronta questo problema il disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei ministri, che contiene principi e direttive di carattere generale per la riforma del CSM e di altri aspetti dell’ordinamento giudiziario.

Il progetto si fa carico innanzitutto della questione relativa alla formazione del CSM. La riforma aumenta il numero complessivo dei membri da 24 a 30 (20 “togati” e 10 “laici”).  Posto che in base all’art. 104 Costituzione essi debbono essere “eletti”,  per i togati il nodo è arrivare all’elezione innalzando un argine allo strapotere delle correnti.

Il progetto del CDM prevede 19 collegi (uno dei quali per i magistrati che lavorano in Cassazione) e un  20° collegio per i magistrati fuori ruolo, del massimario presso la Cassazione e della Direzione nazionale antimafia/terrorismo. Tendenzialmente ogni collegio avrà sui 570 votanti. Possono candidarsi tutti i magistrati che lavorano in uffici ricompresi nel collegio, corredando la propria candidatura con la firma di altri magistrati (da 10 a 20) del medesimo collegio. Ogni collegio deve esprimere almeno 10 candidature, rispettando una percentuale di genere del 40%. Se  i candidati sono meno di 10 o risulta non rispettata tale percentuale, l’Ufficio elettorale centrale (in seduta pubblica) provvede ad estrarre a sorte i magistrati necessari per colmare le lacune. Al primo turno si possono votare 4 candidati, con alternanza uomo/donna nel rispetto della parità di genere e con valutazione ponderata dei voti (vale a dire che i nomi indicati dopo il primo valgono percentualmente di meno). Chi ottiene il 65% al primo turno (circa 370 voti) viene subito eletto. Nei collegi in cui ciò non si verifica si passa al secondo turno, dove ciascun elettore può votare uno o due candidati (in tal caso con alternanza di genere). Risulta eletto colui che ottiene il massimo dei voti, valutando la seconda preferenza con il coefficiente di riduzione.

Secondo il ministro Bonafede, il nuovo sistema avrà un effetto “spazza-correnti”: il territorio molto delimitato di ogni collegio consentirebbe infatti un voto basato sull’apprezzamento del candidato a prescindere dall’appartenenza ad una corrente. Sarà la verifica in sede di applicazione a dire se il nuovo metodo, oltre a porsi un obiettivo del tutto auspicabile, saprà anche concretamente raggiungerlo. Pronti laicamente, se del caso, a rettificare quel che non dovesse funzionare.

Vorrei qui ribadire l’opinione che si potrebbe realizzare contro lo strapotere delle correnti un argine ancor più robusto, per esempio facendo sì che l‘elezione finale avvenga su “rose” di candidati formate, nei singoli collegi, con il contributo non solo dei magistrati ordinari, ma pure dei magistrati onorari, del personale amministrativo e di una congrua rappresentanza dell’Avvocatura. In questo modo le correnti non spariranno come per incanto, ma la loro incidenza sarebbe senz’altro assai ridotta. Perché la platea dei votanti sarebbe formata in maggioranza da addetti ai lavori che conoscono bene pregi e difetti dei vari candidati avendoli visti all’opera “sul campo”, vale a dire  soggetti poco influenzabili dalle “argomentazioni” correntizie che prescindono dalle effettive capacità.

ll disegno di legge delega affronta anche quell’altro nodo cruciale del sistema che è la nomina dei dirigenti, introducendo alcune novità decisamente positive. In particolare l’estrazione a sorte dei componenti del CSM chiamati a far parte della commissione direttivi (come di ogni altra commissione e della sezione disciplinare); l’obbligo di trattare le pratiche celermente secondo l’ordine cronologico di vacanza dell’ufficio, così da evitare la sedimentazione di più sedi scoperte e la conseguente formazione di un pacchetto di nomine entro cui poter più facilmente operare con modalità suk; la pubblicazione di tutti gli atti sul sito del CSM; le audizioni disciplinate in modo che non siano più un semplice “optional”, ma un mezzo di valutazione diretta dei candidati, non ridotti a pezzi di un puzzle da manipolare; la retrocessione dell’anzianità a criterio residuale, dovendosi privilegiare i parametri del merito e delle attitudini secondo specifici indicatori, diversi a seconda della tipologia dell’ufficio; la partecipazione a corsi di formazione presso la Scuola superiore della magistratura, con prova finale da comunicare al CSM; l’assunzione di pareri esterni di magistrati, avvocati e dirigenti amministrativi dell’ufficio di provenienza del candidato.

Quest’ultima direttiva rappresenta una significativa apertura all’esterno che in realtà potrebbe avere un ulteriore sviluppo, adottando una proposta del presidente della Corte d’appello di Brescia Claudio Castelli.

La nomina di un dirigente richiede la valutazione di specifiche attitudini in base all’analisi non dei soli “titoli”, ma anche di “come” il candidato ha ricoperto questo o quel ruolo e dei risultati conseguiti (in termini di statistiche, indipendenza, organizzazione, coesione dell’ufficio, rapporto col personale ecc.). Senonché, questa valutazione è una scienza che richiede una buona conoscenza di tecniche specialistiche. Il CSM non le possiede. Servirebbe allora un organismo consultivo formato da esperti esterni (nelle università vi sono le giuste competenze), capaci con apposite “istruttorie” di acquisire la documentazione e le informazioni che consentiranno al CSM scelte avvedute (del resto, nel settore privato l’amministratore delegato viene spesso  scelto proprio con la consulenza di società specializzate).

Adottare questo sistema (almeno per gli uffici più importanti) significa automaticamente ridurre di molto i margini dell’arrivismo correntizio, perché alla fin fine le consulenze produrrebbero atti dai quali non sarebbe facile prescindere. Neppure per chi volesse superare il confine dell’arbitrio per favorire il proprio protetto.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 14/08/2020

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