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Falcone dimezzato per zittire i Pm

Gian Carlo Caselli il . Giustizia, Istituzioni, Mafie

falconeGiustizia e Potere. Separazione delle carriere. I favorevoli usano il magistrato ucciso per silenziare chi dissente. Dimenticando le tante battaglie del giudice e soprattutto che molti nostri politici sono ancora corrotti

Con l’avvio del dibattito parlamentare, il confronto sulla separazione delle carriere fra Pm e giudici si fa sempre più rovente. Chi non è d’accordo è liquidato – senza complimenti – come un troglodita irrecuperabile, un giustizialista nemico giurato dello Stato di diritto.

Per taluno, l’argomento  tranchant (definibile, se si trattasse di dialettica processuale, “pistola fumante”) è che anche Giovanni Falcone era favorevole alla separazione! Et de hoc satis: basta con le menate sull’indipendenza della magistratura e via cavillando.

Ora, non v’è dubbio che le opinioni di Giovanni Falcone meritano il massimo rispetto. Ma rispetto sempre, in un quadro di coerenza: non semplicemente quando fa  comodo.

Ora, coloro che  osteggiano la separazione delle carriere  sono di solito nemici irriducibili anche del “concorso esterno” e del 41 bis. Mentre si dà il caso che su questi temi Falcone (mai citato!) fosse invece schierato su posizioni di indiscusso favore. Anzi, il 41 bis è stato addirittura ideato da lui nonostante sapesse perfettamente che la riforma avrebbe fatto inferocire le belve mafiose (Riina dirà ai suoi che si sarebbe giocato i denti, intendendo quel che di più prezioso aveva). Vediamo allora come stanno le cose.

Quanto al concorso esterno, Falcone e gli altri magistrati del pool, nell’ordinanza-sentenza del “maxi – ter” (17 luglio 1987), hanno sostenuto che le “manifestazioni di connivenza e di collusione […],  tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, [sono] sussumibili – a titolo concorsuale – nel delitto di associazione mafiosa. Questa ‘convergenza di interessi’ col potere mafioso[…] costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa Nostra e della sua natura di contropotere, nonché, correlativamente, delle difficoltà incontrate nel reprimerne le manifestazioni criminali”. Parole chiare ed univoche, scritte in atti giudiziari ufficiali (quindi in linea col mantra dei giudici che devono parlare solo con le sentenze…), per cui il Falcone ricordato ora sì ora no rischia di essere – parafrasando Calvino – un Falcone “dimezzato”.

Quanto al 41 bis è noto che Falcone, umiliato e cacciato da Palermo, trovò al ministero una specie di asilo politico-giudiziario che utilizzò da par suo elaborando la moderna antimafia, fatta di Procure specializzate (nazionale e distrettuali), Dia e banche dati. In questo “arsenale” rientrava pure il 41 bis – approvato dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio – con cui Falcone voleva un “regime differenziato” per i mafiosi che mettesse fine ad una situazione di grave illegalità all’interno del sistema carcerario.

Prima del 41bis, infatti, i boss in carcere potevano permettersi di tutto, perfino decidere e organizzare delitti, mentre un collaudato circuito di informazione, assistenza e solidarietà  dall’esterno garantiva la continuità e coesione dell’organizzazione. In sostanza, per Cosa nostra era “naturale” essere più forte dello Stato perfino dietro le sbarre, ma così il discredito dello Stato era devastante. Tutto ciò andava bene a chi la battaglia antimafia la voleva perdere. Falcone invece la voleva vincere anche con il 41 bis, che difatti funzionò alla grande creando una slavina di “pentiti”.

Queste verità, oggi, sono tutta una “fuffa” forcaiola per coloro che vedono nel “famigerato” 41 bis solo sistematiche violazioni dei diritti umani equiparabili di fatto a torture. E quasi sempre si tratta dei medesimi soggetti che armano crociate alla conquista della separazione delle carriere.

In verità, se c’è un’operazione che presenta margini amplissimi di azzardo se non di arbitrarietà è proprio evocare i morti.  Bisognerebbe chiedersi cosa mai penserebbero oggi, ma è impossibile saperlo.

Tuttavia, pur con ogni ragionevole cautela e assumendo il dubbio come chiave di lettura, si possono formulare alcune osservazioni. Vari processi (in particolare Tangentopoli a Milano e Mafiopoli a Palermo) hanno dimostrato che i rapporti di parti consistenti della politica con il malaffare sono una questione di respiro nazionale. Ma la politica non ha saputo bonificarsi essa stessa neutralizzando le spinte malefiche. Purtroppo l’Italia è ancora oggi caratterizzata da una corruzione diffusa, da collusioni con la mafia, da mala-amministrazione nelle più svariate accezioni, vale a dire da vicende oscure che coinvolgono pezzi rilevanti della politica. Conviene che proprio “questa” politica (refrattaria ad ogni forma di responsabilità extra-giudiziaria) possa anche ordinare ai Pm dove indagare e dove invece far finta di niente, come di fatto avviene ovunque vi sia separazione delle carriere? Per l’Italia che ancora spera nella legge uguale per tutti sarebbe un suicidio. Financo le odiose leggi ad personam diverrebbero inutili se la persona interessata (o qualcuno della sua cordata) potesse pretendere dal Pm quel che più le piace. Per l’Italia delle regole sarebbe una forma di “masochismo istituzionale”.

Infine, un accenno alla tesi (propagandata da avvocati e politici) che con la separazione il nostro paese si allineerebbe alle democrazie più avanzate.

In realtà, l’allineamento potrebbe comportare un  pesante arretramento. Un riscontro viene da Le Monde del 28/29 giugno, che ha pubblicato un intervento di Katia Dubreuil e Céline Parisot, presidenti di due sindacati della magistratura, intitolandolo “E’ tempo di garantire l’indipendenza dei magistrati del parquet” (cioè dei  Pm). Vi si  parla di un “cocktail esplosivo” di cui sono ingredienti la nomina dei Pm da parte dell’esecutivo e il fatto che ogni decisione in affari “sensibili” è analizzata in base ai possibili interventi del potere; concludendo che soltanto una riforma istituzionale potrebbe mettere fine ai sospetti di interferenze del potere esecutivo sul corso della giustizia.

Ne deduco che le anime candide nostrane che propugnano la separazione delle carriere (inesorabilmente destinata a far dipendere il  PM dell’esecutivo) vorrebbero costringerci ad una situazione che i francesi gelosi dello stato di diritto stanno disperatamente cercando di cambiare. Quanto basta per convincersi che  gli epigoni del teatro dell’assurdo sono fra noi.

Fonte: Il Fatto Quotidiano 08/08/2020

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