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La sentenza CEDU Contrada non estensibile a casi simili

Daniela Cardamone * il . Giustizia, Istituzioni, Mafie

imagesLa sentenza a Sezioni Unite n. 8544/2020 (ric. Genco) nega portata generale alla sentenza della Corte EDU Contrada c. Italia del 14 aprile 2015, in tema di concorso esterno in associazione mafiosa, per la sua natura atipica ed eccentrica rispetto alla stessa giurisprudenza europea nonché per i plurimi profili di criticità con riferimento alla considerazione dei principi fondamentali del diritto interno. Nel testo si analizzano le criticità evidenziate dalle Sezioni Unite e si mette in evidenza il principale difetto di origine della pronuncia europea, costituito dalla non adeguata motivazione degli snodi fondamentali del percorso decisionale, la quale si ripercuote inesorabilmente sull’incertezza del contenuto della decisione e sulla sua efficacia persuasiva, non consentendole di esplicare il suo potenziale effetto dirompente sul principio di legalità penale. La sentenza in commento rappresenta l’ultima parola dei giudici di legittimità sui “fratelli minori” di Contrada ma, nel difficile dialogo tra giurisdizioni interne e Corte EDU, il problema del rapporto tra legalità “costituzionale” ed “europea” rimane ancora aperto

1. La questione rimessa alle Sezioni Unite

La vicenda giudiziaria di Bruno Contrada si è conclusa con la sentenza della Corte di Cassazione n. 43112/2017 che ha dichiarato «ineseguibile e improduttiva di effetti penali» la sentenza della Corte di appello di Palermo del 25.02.2006, in questo modo dando esecuzione alla pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo Contrada c. Italia del 14 aprile 2015, che ha sancito la violazione dell’articolo 7 della Convenzione per la “mancanza di prevedibilità” del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, fino alla sentenza a Sezioni Unite Demitry del n. 16/1994.

Il “caso Contrada” continua, invece, ad essere oggetto di interesse da parte di studiosi ed interpreti per le inevitabili ripercussioni nel diritto interno e, più in generale, nei rapporti tra le giurisdizioni interne e la Corte sovranazionale.

La sentenza delle Sezioni Unite n. 8544 del 24.10.2019 (dep. 3.3.2020) scaturisce dal contrasto giurisprudenziale sulla questione dell’estensione degli effetti della sentenza europea a soggetti diversi dal Contrada, i c.d. “fratelli minori”, condannati anch’essi per concorso esterno in associazione mafiosa per condotte fino al 1994, e sullo strumento processuale da adottare.

Secondo un primo orientamento, lo strumento processuale azionabile da chi intenda giovarsi della sentenza Contrada è la revisione europea, a condizione che venga prima esperito l’incidente di costituzionalità per violazione dell’art. 117 Cost., essendo invece l’incidente di esecuzione attivabile solo in via residuale nei casi in cui non residuino spazi di discrezionalità, altrimenti non attivabili dal giudice dell’esecuzione (es. Cass. n. 44193/2016, Dell’Utri; n. 53610/2017, Gorgone; n. 27308/2019, Dell’Utri).

Secondo un diverso orientamento, invece, l’obbligo di conformazione nascente dall’art. 46 CEDU riguarda soltanto il caso specifico affrontato dalla Corte EDU, i cui principi sono privi di portata generale, non potendo definirsi il concorso esterno in associazione di stampo mafioso quale reato di “creazione giurisprudenziale” (es. Cass. n. 8661/2018, Esti; n. 36505/2018, Corso; n. 36509/2018, Marfia; n. 37/2018, dep. 2019, Grassia; n. 55894/2018, P.; n. 15574/2019, Papa).

In continuità con tale posizione interpretativa si è collocata anche la sentenza n. 13856 del 27.2.2019, con la quale è stato rigettato il ricorso proposto da Stefano Genco avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione che aveva respinto la sua richiesta di revoca del giudicato di condanna, sul presupposto della negazione della portata generale della sentenza della Corte EDU nel caso Contrada e della sua esportabilità per la decisione di casi analoghi.

Il ricorrente Stefano Genco si era rivolto anche alla Corte di Appello di Caltanissetta per ottenere la revisione della sentenza della Corte di Assise di Appello di Palermo del 15.2.1999 che lo aveva condannato per concorso esterno in associazione di stampo mafioso, in riferimento all’apporto dallo stesso offerto all’organizzazione criminosa denominata cosa nostra ed alla condotta tenuta fino al 5.2.1994, ma la richiesta era stata rigettata con sentenza del 31.5.2018.

A seguito del ricorso per Cassazione presentato avverso la sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta, la sesta sezione, con ordinanza del 22.3.2019 aveva rimesso alle Sezioni Unite la questione «se la sentenza della Corte EDU del 14 aprile sul caso Contrada abbia una portata generale, estensibile nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione, quanto alla prevedibilità della condanna e, conseguentemente, qualora sia necessario conformarsi alla predetta sentenza nei confronti di questi ultimi, quale sia il rimedio applicabile» (Ord. Cass. Sez. 6, n. 21767/19).

Con la sentenza a Sezioni Unite n. 8544 del 2020 (ric. Genco) la Cassazione risolve la questione della estensibilità degli effetti della sentenza della Corte EDU Contrada c. Italia del 14 aprile 2015 a soggetti diversi dal ricorrente negando la portata generale dei principi affermati nella sentenza europea e, quindi, escludendo che si possano estendere a coloro che, estranei al giudizio dinanzi alla Core EDU, si trovino in una situazione analoga a quella del ricorrente vittorioso: «I principi affermati dalla sentenza della sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015, Contrada contro Italia, non si estendono nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione quanto alla prevedibilità della condanna per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, in quanto la sentenza non è una sentenza pilota e non può considerarsi espressione di una giurisprudenza europea consolidata». Avendo negato, a monte, l’estensibilità ad altri della efficacia della sentenza europea, la Cassazione non si pronunzia sul tema dei rimedi processuali esperibili.

2. Carattere generale dei principi affermati dalla sentenza europea quale presupposto per l’applicazione ai casi simili

Il percorso argomentativo della pronuncia della Suprema Corte è piuttosto articolato e prende necessariamente le mosse dall’analisi della sentenza europea emessa nei confronti del Contrada per verificare, alla luce degli approdi della giurisprudenza costituzionale, se possa essere considerata una pronuncia di portata generale, come tale suscettibile di applicazione anche in situazioni analoghe.

La giurisprudenza costituzionale, in tema di rapporti tra giudice sovranazionale e giudice interno nell’attività di interpretazione della legge nel rispetto della gerarchia delle fonti, che assegna alle disposizioni della Convenzione, come interpretate dalla Corte europea di Strasburgo, un valore «intermedio», superiore alle leggi dello Stato, ma subordinato alla Costituzione nazionale, ha raggiunto degli approdi ormai definitamente acquisti. Questi ultimi impongono al giudice comune di recepire i contenuti della «giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente» e, in caso di contrasto insanabile, non potendo disapplicarla, di promuovere l’incidente di costituzionalità per contrasto con l’art. 117 Cost. (C. Cost. n. 348 e n. 349 del 2007).

Nell’opera di progressiva chiarificazione dei vincoli derivanti dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la Consulta ha puntualizzato che il confronto tra la tutela convenzionale e la tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie e che, «nel concetto di massima espansione delle tutele, deve essere compreso il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, cioè con altre norme costituzionali, che a loro volta garantiscono diritti fondamentali che potrebbero essere incisi dall’espansione di una singola tutela. Questo bilanciamento trova nel legislatore il suo riferimento primario, ma spetta anche a questa Corte nella sua attività interpretativa delle norme costituzionali» (C. Cost. n. 317/2009; si veda anche C. Cost. n. 236/2011).

Sviluppando tale ragionamento, la Corte Costituzionale ha poi sottolineato che il richiamo al “margine di apprezzamento” nazionale, concetto elaborato dalla stessa Corte di Strasburgo e operante come temperamento alla rigidità dei principi formulati in sede europea, «deve essere sempre presente nelle valutazioni di questa Corte, cui non sfugge che la tutela dei diritti fondamentali deve essere sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (C. Cost. n. 264/2012; si veda anche C. Cost. n. 311/2009).

Successivamente, con la sentenza n. 49/2015, scaturita da due questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento alla sentenza della Corte EDU Varvara c. Italia del 29.10.2013 – in tema di confisca urbanistica applicata in caso di reato prescritto – pur ribadendo, in linea di principio, l’obbligo di interpretazione conforme al diritto della CEDU da parte del giudice comune e che tale obbligo non può che assumere come punto di riferimento le norme della CEDU così come interpretate dalla Corte di Strasburgo, la Corte Costituzionale ha specificato che il vincolo interpretativo sussiste soltanto in relazione al “diritto consolidato” generato dalla giurisprudenza europea, mentre nessun obbligo esiste a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo.

La stessa Consulta ha riconosciuto la difficoltà di individuare la giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo, caratterizzata da una vocazione casistica, dal flusso continuo della produzione giurisprudenziale, la quale peraltro si sviluppa con riferimento ad una grande varietà di ordinamenti giuridici anche molto diversi tra loro. In questo contesto, non si tratta di negare forza vincolante ad alcune pronunzie emesse dalla Core EDU ma, piuttosto, di individuare una pronunzia che non sia isolata o contraddetta da altre di segno diverso. In altre parole, ferma restando la vincolatività di tutte le sentenze inter partes nel caso deciso, ai sensi dell’articolo 46 CEDU, la Consulta ha posto una condizione alla estensione di tale forza vincolante erga omnes e, quindi, al recepimento nel diritto interno al di là della specifica controversia in cui esse sono state pronunciate: una pronuncia della Corte EDU può avere valore di res interpretata (sia per il giudice comune in sede d’interpretazione conforme, sia per la Corte Costituzionale) e può rappresentare un vincolo che trascende la fattispecie concreta dalla quale promana, quando è espressione di principi da questa costantemente espressi e tali da poter essere considerati, appunto, “diritto vivente”.

Tale approccio è stato fermamente respinto dalla Corte di Strasburgo che, nella sentenza di Grande Camera G.I.E.M. s.r.l. ed altri c. Italia sulla confisca urbanistica, rispondendo alla Corte Costituzionale, si esprime sul valore da attribuire nel diritto interno alle proprie pronunce ed afferma con fermezza che «le sue sentenze hanno tutte lo stesso valore giuridico» e che «il loro carattere vincolante e la loro autorità interpretativa non possono pertanto dipendere dalla formazione giudiziaria che le ha pronunciate»[1].

Alla luce di tale affermazione perentoria, la pronunzia di Grande Camera G.I.E.M. avrebbe potuto dissipare i dubbi interpretativi del giudice comune in merito alla individuazione della giurisprudenza “vivente” della Corte EDU, se non fosse che proprio la medesima sentenza offre fondati argomenti di conferma della validità dell’approccio della Consulta nella sentenza n. 49 del 2015. La sentenza G.I.E.M., in particolare, chiarisce, dopo un lungo percorso giurisprudenziale sviluppatosi con le pronunzie Sud Fondi e Varvara[2], la questione interpretativa cruciale che la confisca urbanistica, applicata a seguito di una declaratoria di prescrizione del reato, a determinate condizioni, non viola la Convenzione; quindi, da un lato, la sentenza G.I.E.M. ribadisce con forza che tutte le decisioni della Corte EDU sono vincolanti inter partes ed erga omnes come res interpretata, dall’altro, rappresentando l’esito della complessa vicenda che ha riguardato la confisca urbanistica e che si è sviluppata nelle pronunzie Sud Fondi-Varvara, al di là delle affermazioni di principio, costituisce la conferma che il “diritto vivente” della Convenzione può effettivamente non promanare da una singola pronuncia ma essere il frutto di un processo tutto in divenire, soggetto a progressive precisazioni, indotte anche da un dialogo costruttivo tra le Corti.

Su tale linea si pongono incondizionatamente le Sezioni Unite Genco che fanno notare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 49/2015, non aveva recepito i principi dettati nella sentenza Varvara c. Italia – che affermava che la confisca di terreni abusivamente lottizzati pretende che il reato non sia prescritto e che sia pronunciata una condanna – e non aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 44 co. 2 d.P.R. n. 380/2001 in quanto si trattava di principi non consolidati: «tali principi non si ascrivono, infatti, al diritto consolidato perché successivamente smentiti o fortemente limitati nella loro portata proprio dalla Grande Camera nel 2018, i cui esiti, differenti dal precedente pronunciamento, non avrebbero potuto vanificare gli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale nel frattempo eventualmente intervenuta, per loro natura definitivi e non suscettibili di revoca».

3. Carenza di portata generale della sentenza Contrada c. Italia

La Corte EDU ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 7 della Convezione, che sancisce il principio di legalità dei delitti e delle pene, affermando che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa contestato al ricorrente è stato «il risultato di una evoluzione giurisprudenziale iniziata verso la fine degli anni ottanta del secolo scorso che si è consolidata nel 1994 nella sentenza a Sezioni unite Demitry». Quindi, all’epoca in cui i fatti contestati al ricorrente sono stati commessi (1979-1988), «il reato in questione non era sufficientemente chiaro e prevedibile per lo stesso» che, quindi, «non poteva conoscere la pena in cui incorreva per la responsabilità penale derivante dagli atti da lui compiuti» (par. 75).

Le Sezioni Unite evidenziano da subito che la sentenza Contrada esprime un giudizio finale di violazione dell’articolo 7 CEDU in termini strettamente individuali, fondata sulla considerazione della imputazione levata al ricorrente, della difesa spiegata nel processo e delle risposte giudiziarie ottenute, senza specificare se la violazione riguardi il primo o il secondo periodo dell’art. 7 par. 1 CEDU, ossia se risieda nell’accertamento in sé di responsabilità penale, oppure nel titolo e nella connessa punizione, come sembra potersi desumere dall’inciso conclusivo della motivazione secondo cui il ricorrente «non poteva conoscere la pena in cui incorreva per la responsabilità penale derivante dagli atti da lui compiuti».

I giudici di legittimità negano che la sentenza europea abbia stigmatizzato il contrasto interpretativo sulla configurabilità quale fattispecie autonoma del concorso esterno in associazione mafiosa, con conseguente incertezza della sua illiceità penale e della pena conseguente, unico profilo sulla base del quale si potrebbe desumere dalla pronuncia europea una carenza di carattere strutturale del nostro ordinamento; osservano, infatti, che il giudizio espresso nella sentenza Contrada si sviluppa sia sul piano oggettivo, allorché rileva la carenza di sufficiente chiarezza del reato, che su quello soggettivo, per la ritenuta imprevedibilità della incriminazione da parte dell’imputato, con conseguente negazione della efficacia estensiva nei riguardi di altri soggetti condannati per il medesimo titolo di reato in epoca antecedente al 1994.

Un ulteriore argomento, tratto dai criteri orientativi della giurisprudenza costituzionale, che conduce le Sezioni Unite a negare portata generale alla pronunzia è quello della mancata espressione di un «diritto consolidato», dovuta al suo non inserirsi in un filone interpretativo uniforme ed all’assenza di decisioni precedenti per la medesima questione relativa alla fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa.

Inoltre, osservano i giudici di legittimità, come evidenziato anche da parte della dottrina, non è dato rinvenire nella giurisprudenza europea una univoca e costante impostazione interpretativa ed applicativa dei concetti di accessibilità e prevedibilità del diritto penale, intesi quale possibilità per il cittadino di conoscere anticipatamente il comando normativo penale e le conseguenze punitive in caso di trasgressione, entrambi requisiti qualitativi del principio di legalità[3].

In alcuni casi, è stato applicato un “criterio soggettivo” valorizzando qualifiche soggettive ed esperienze individuali dei ricorrenti[4]; in altri casi, è stato applicato un “criterio oggettivo” che si basa sul dato formale del contenuto precettivo della legge e della interpretazione giurisprudenziale già formatasi in precedenza[5]; in altri casi ancora, il criterio applicato è stato di tipo “evolutivo”, valorizzando l’evoluzione della considerazione sociale di un comportamento come antigiuridico e ritenendo prevedibile l’incriminazione anche se in contrasto con un testo normativo[6].

Nella sentenza Contrada, evidenziano le Sezioni Unite, la Corte EDU ha fatto applicazione di una combinazione di criteri, quello soggettivo incentrato sulla condotta processuale del ricorrente, e quello oggettivo, basato sulla assenza di una norma chiara e precisa e di una interpretazione giurisprudenziale univoca, risolvendo con «inedito rigore» una vicenda che avrebbe avuto un ben diverso epilogo se fossero state valorizzate qualifiche soggettive ed esperienze individuali del ricorrente o se fosse stato valorizzato il criterio della evoluzione sociale o ancora il necessario ruolo evolutivo e specificativo della interpretazione giurisprudenziale, quale fattore ineliminabile di progressiva chiarificazione delle norme giuridiche, contentamente affermato dalla giurisprudenza europea.

4. La ragionevole prevedibilità nell’ambito dei conflitti sincronici di giurisprudenza

Un aspetto che incide notevolmente sul giudizio di «atipicità» della pronuncia Contrada c. Italia formulato dalle Sezioni Unite, ed impedisce di considerarla di portata generale, è che la pronunzia si caratterizza per non aver tenuto conto di quanto affermato dalla stessa giurisprudenza europea con riguardo al necessario ruolo evolutivo e specificativo da assegnare all’interpretazione giurisprudenziale.

Invero, l’analisi della giurisprudenza europea disvela che la prevedibilità, ai sensi dell’art. 7 della Convenzione, non contrasta affatto con il concetto di evoluzione giurisprudenziale ma, anzi, lo presuppone.

La prevedibilità sincronica, che consiste nel poter prevedere le conseguenze giuridiche delle proprie condotte sulla base della legge esistente, nella giurisprudenza europea presuppone, infatti, il ruolo essenziale dell’interpretazione giurisprudenziale.

Sin dalle prime pronunzie sul tema, la Corte EDU ha costantemente affermato che l’articolo 7 della Convenzione, richiede che un reato «deve essere chiaramente definito dalla legge» in modo che l’individuo possa «conoscere, dalla formulazione della lettera della norma pertinente e, se necessario, usando la sua interpretazione da parte dei tribunali, quali atti e omissioni comportano la sua responsabilità»[7].

Poiché l’assoluta precisione nella redazione delle leggi è impossibile, la “prevedibilità” non deve essere interpretata come “assoluta certezza”. Il diritto, infatti, afferma la Corte EDU, deve potersi adattare alle mutevoli situazioni concrete ed all’evolversi della società[8]. Le norme, a tale scopo, utilizzano formule più o meno “vaghe”, la cui interpretazione ed applicazione dipendono dalla pratica[9].

La Corte di Strasburgo riconosce, pertanto, il ruolo essenziale della interpretazione da parte dei giudici nazionali, affermando che è loro responsabilità dissipare ogni dubbio sull’interpretazione delle norme giuridiche[10].

È in questa dimensione che si apprezza il ruolo centrale dei giudici quali garanti della prevedibilità di reati e sanzioni in quanto, come è stato autorevolmente affermato, «la prevedibilità della norma giuridica deve dunque essere ricercata nella dialettica tra la lettera della legge e la sua applicazione, in modo particolare dai giudici»[11].

Il ruolo della giurisprudenza è valorizzato dalla Corte di Strasburgo alla luce delle inevitabili carenze qualitative della legge scritta, che impongono un’opera chiarificatrice mediante l’interpretazione sia per dare corpo alle «clausole generali»[12] che per chiarire i «punti dubbi»[13].

La funzione chiarificatrice della giurisprudenza è così centrale che è ribadita dalla Corte EDU perfino in tema di reati politici, nonostante si tratti di un settore dove è più stringente l’esigenza di porre un argine all’arbitrarietà del potere repressivo statale; essa ha, infatti, affermato, ad esempio, che «una certa flessibilità può essere richiesta per permettere alle giurisdizioni interne di determinare se una pubblicazione debba essere intesa quale propaganda separatista contro l’indivisibilità dello Stato»[14].

La Corte EDU si accontenta, inoltre, di una “prevedibilità relativa” in quanto afferma che la precisione che ci si può attendere da una norma penale può effettivamente variare in base a diversi fattori quali «il testo considerato, il campo di applicazione e la qualità dei suoi destinatari»[15].

Ad esempio, nella sentenza Cantoni c. Francia del 15.11.1996, la Corte EDU ha ritenuto che un elemento costitutivo del reato in esame era «ragionevolmente prevedibile», anche se la sua definizione giuridica era «piuttosto generale» (par. 32) e la giurisprudenza che lo riguardava non era convergente (par. 34). La Corte EDU si rifiuta, inoltre, di condannare la tecnica legislativa delle clausole generali: certamente, afferma, tale tecnica «spesso lascia zone d’ombra ai confini della definizione», ma di per sé considerati «questi dubbi (…) non sono sufficienti a rendere una disposizione incompatibile con l’articolo 7» (par. 32). Per il giudice europeo, il reato deve essere «sufficientemente chiaro» nella «grande maggioranza dei casi»; i «dubbi nei casi limite» (par. 32) non sono contrari al requisito della prevedibilità. La condizione di prevedibilità, pertanto, non richiede che emerga un’unica soluzione, ma è soddisfatta qualora siano possibili diverse soluzioni. In ogni caso, ai professionisti è richiesta una particolare attenzione nel valutare i rischi connessi alla propria attività professionale: «Ciò è particolarmente vero per i professionisti, abituati a dover esercitare grande cautela nell’esercizio della loro professione. Pertanto, ci si deve attendere che prestino particolare attenzione nella valutazione dei rischi che la stessa comporta» (par. 35).

Prevedibilità relativa significa che la valutazione della chiarezza di una norma penale va valutata tenendo conto anche delle «qualità soggettive dei suoi destinatari»[16].

Ad esempio, nel caso Streletz, Kessler e Krenz c. Germania del 22.3.2001, alcuni leader della Germania dell’est, che erano stati condannati dopo la riunificazione tedesca per reati commessi sotto il regime della Repubblica democratica tedesca, avevano affermato che era «assolutamente impossibile per loro prevedere che un giorno, a seguito di un cambiamento della situazione politica, avrebbero potuto essere considerati penalmente responsabili» (par. 77). Questo argomento non ha convinto i giudici di Strasburgo perché, nonostante la prassi contraria, considerata la loro posizione, «ovviamente non potevano ignorare la Costituzione e legislazione della RDT, né gli obblighi internazionali e le critiche internazionali al suo regime di sorveglianza delle frontiere» (par. 78).

La Corte EDU fa, quindi, applicazione anche di un criterio di valutazione soggettivo della prevedibilità, valorizzando le conoscenze e l’abilità di analisi dei ricorrenti. In altri termini, essa chiarisce che la qualità della legge non va valutata in astratto, ma la chiarezza e la precisione della norma vanno valutate in concreto per come si applica alle persone interessate. Ogni disposizione deve essere inserita nel suo contesto storico-sociale e interpretata secondo un metodo sistematico.

Nell’opinione concordante del giudice Zupančič nella sentenza Streletz, Kessler e Krenz c. Germania, viene messo in rilievo come la “soggettivazione” della condizione di prevedibilità sincronica non dovrebbe, tuttavia, avere l’effetto di introdurre la scusante dell’errore soggettivo sulla legge penale come difesa, per aver fatto affidamento su una determinata interpretazione del diritto penale.

Tale aspetto troverà maggiore chiarezza in seguito; ad esempio nel caso Soros c. Francia, la Corte EDU ha affermato il principio secondo il quale, in materia penale, l’imputato, in caso di dubbio, deve prevedere il rischio che la sua condotta possa essere ritenuta illecita e, di fronte a questo rischio, deve astenersi dall’agire perché, se non si astiene, deve sopportare le conseguenze delle sue azioni[17].

In definitiva, quindi, la Corte europea si accontenta di una prevedibilità sincronica “ragionevole” che significa che l’imputato deve essere in grado di «valutare, in misura ragionevole, nelle circostanze concrete del caso, le conseguenze di una condotta determinata»[18].

Solo in questo modo si può garantire la prevedibilità delle conseguenze penali della condotta senza rinunciare, al tempo stesso, al ruolo fondamentale dell’interpretazione giudiziaria, al fine di consentire al diritto di evolvere.

Se non si ammettesse che la giurisprudenza possa chiarire margini di incertezza interpretativa delle norme e si affermasse il principio di irretroattività dell’interpretazione giurisprudenziale in malam partem, sin quando non sia ‘consolidata’ da una sentenza delle Sezioni unite, si raggiungerebbe un risultato aberrante in quanto risulterebbe contraria all’art. 7 CEDU qualunque pronuncia di condanna adottata in una situazione di incertezza giurisprudenziale; allo stesso tempo, essendo interdetta dall’art. 7 CEDU qualsiasi condanna per fatti commessi prima che si possa dire raggiunto un sufficiente grado di ‘consolidamento’ della giurisprudenza, tale ‘consolidamento’ non potrebbe mai verificarsi[19].

Peraltro, come evidenziato dalle Sezioni Unite Genco, nel nostro ordinamento, contrassegnato dal valore non vincolante del precedente e dall’efficacia meramente persuasiva dell’interpretazione giurisprudenziale, un eccessivo irrigidimento del criterio della prevedibilità dell’esito processuale contrasterebbe con l’art. 101 comma 2 Cost., che vuole i giudici soggetti soltanto alla legge, e finirebbe per limitare i poteri decisori del giudice di legittimità. La possibilità di un sindacato ex post sulla legittimità della condanna, considerato nell’ottica del principio di legalità convenzionale come inteso nella sentenza Contrada, costituirebbe, inoltre, un freno al dibattito giuridico ed alla evoluzione del diritto vivente nella sua accezione fornita dalla giurisprudenza costituzionale la quale è coerente con quella che emerge dalla giurisprudenza della Corte EDU.

La concezione europea del ruolo della giurisprudenza, come ben evidenziato dalle Sezioni Unite, appare infatti del tutto sovrapponibile all’accezione di ‘diritto vivente’ fornita dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 276/1974) la quale postula la funzione di «mediazione accertativa della giurisprudenza, nel senso che deve riconoscersi ai giudici un margine di discrezionalità, che comporta una componente limitatamente ‘creativa’ della interpretazione, la quale, senza varcare la ‘linea di rottura’ con il dato positivo ed evadere da questo, assume un ruolo centrale nella precisazione del contenuto e della latitudine applicativa della norma e assolve sostanzialmente una funzione integrativa della medesima» (Cass. Sez. Un. n. 18288 del 12.1.2010, Beschi).

5. L’affermazione che il concorso esterno è fattispecie di “creazione” giurisprudenziale

Le Sezioni Unite mettono in rilevo anche la sussistenza di «plurimi profili di criticità» della sentenza Contrada che le fanno assumere un «carattere peculiare», «condivisibilmente definito atipico da parte della dottrina», e che impediscono di ritenere che l’applicazione del concetto di prevedibilità in essa contenuto sia esportabile nei riguardi di altri soggetti già condannati irrevocabilmente per la stessa fattispecie e, nello specifico, del ricorrente Genco.

Una delle maggiori criticità è, come evidenziato anche nelle note di udienza del Procuratore Generale, l’errore di prospettiva che commette la sentenza Contrada c. Italia nell’affermare che la fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa è di “creazione” giurisprudenziale e nel considerare la tesi accolta dalla sentenza Demitry alla stregua di un mutamento normativo in malam partem e non quale tappa di una evoluzione nell’interpretazione della disposizione di legge vigente, coerente con l’essenza stessa della fattispecie tipizzata dagli artt. 110 e 416-bis c.p.

Si tratta di un aspetto messo in evidenza anche dalla Cassazione nella sentenza n. 43112/2017 che, nel dare piena esecuzione alla pronuncia europea nei confronti del Contrada, ha ribadito che «il nostro ordinamento non conosce la creazione di matrice giurisprudenziale di fattispecie incriminatrici e che il principio di irretroattività delle norme penali è principio fondante del nostro sistema penale, assistito da garanzia costituzionale».

L’attribuire ad una pronunzia delle Sezioni Unite una funzione “formante” della regola applicata, al pari di un atto legislativo, infatti, non si concilia né con il principio di riserva di legge in materia penale, sancito dall’art. 25 co. 2 Cost., né con l’esistenza di una base normativa ben chiara, dalla quale muoveva l’interpretazione giurisprudenziale, data dalla combinazione dell’art. 110 con l’art. 416-bis c.p.

Le Sezioni Unite ripercorrono in sintesi gli aspetti principali dell’evoluzione giurisprudenziale del concorso eventuale nei reati associativi, evidenziando che l’ammissibilità del concorso nel reato necessariamente plurisoggettivo è il risultato di un percorso che, dall’epoca postunitaria, si è sviluppato mediante plurimi riconoscimenti giudiziari, sia con riferimento all’associazione a delinquere che a quella di tipo politico eversivo. Tale percorso era giunto, già alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, a riferire i medesimi concetti anche alla associazione di tipo mafioso introdotta con L. 646/1982 (es. Cass. n. 3492 del 16.3.1988, Altivalle). Inoltre, nella prima sentenza del giudice di legittimità nella quale era stato esaminato il concorso in associazione mafiosa (Cass. n. 8092 del 4.7.1987, Cillari) erano stati rielaborati dei principi già affermati nella giurisprudenza della Cassazione nei decenni precedenti a partire dalla pronunzia Muther (Cass. sez. I, n. 1569 del 27.5.1969, Muther).

In base a questi rilievi, le Sezioni Unite affermano che i contrasti interpretativi, considerati dalla Corte EDU, non avevano pregiudicato la prevedibilità della possibile punizione per le condotte agevolatrici o di rafforzamento di un sodalizio di stampo mafioso ma, al contrario, costituivano il fondamento giuridico di un dovere di informazione mediante qualsiasi utile accertamento e, nella persistenza dell’incertezza, di astensione in via prudenziale dalla commissione di comportamenti che vi era il rischio incorressero nella contestazione dello stesso reato, rischio tanto più percepito con chiarezza dall’agente quanto più specifico è il patrimonio di conoscenze ed esperienze individuali di tipo professionale.

Un ulteriore aspetto sfuggito ai giudici europei, che le Sezioni Unite evidenziano, è che sia la sentenza Cillari che quelle successive, tutte richiamate nella sentenza Contrada, avevano risolto negativamente il tema della autonomia concettuale del concorso esterno in associazione di stampo mafioso non perché le condotte di agevolazione o comunque di ausilio alla vita ed all’operato dell’organizzazione compiute dall’estraneo integrassero comportamenti leciti ma perché ricompresi nella nozione di partecipazione. L’oscillazione giurisprudenziale non prevedeva, quindi, un’alternativa assolutoria del comportamento serbato, rispetto alla incriminazione a titolo di concorso esterno in associazione mafiosa.

Infatti, per la giurisprudenza che affermava la configurabilità del concorso eventuale nel reato associativo di stampo mafioso, l’elemento di discrimine era dato dall’affectio societatis, vale a dire l’essersi o non essersi verificato l’ingresso del soggetto nel sodalizio, l’esserne divenuto parte (Cass. n. 3492/1988, Altivalle; n. 9242/1998, Barbella; n. 2902/1993, Turiano).

La teoria che escludeva la configurabilità del concorso eventuale in associazione mafiosa, tendeva a sostituire all’elemento dell’affectio societatis quello del contributo dato alla vita dell’associazione considerato un factum concludens della “partecipazione”; in altri termini, per la tesi negazionista, chiunque forniva volontariamente e consapevolmente un contributo causale alla conservazione ed al rafforzamento dell’associazione criminosa, ne diveniva automaticamente “partecipe” perché il suo contributo era di per sé costitutivo dell’affectio societatis (Cass. n. 8092/1987, Cillari; n. 8864/1989, Agostani; n. 2348/1994, Clementi).

Di conseguenza, non potevano residuare dubbi né incertezze sul carattere illecito della condotta e sulla sua rilevanza penale sicché l’unico esito del tutto imprevedibile era l’assoluzione, senza riflessi pregiudizievoli neanche sul piano sanzionatorio – di “prevedibilità della pena” – stante il medesimo trattamento sanzionatorio del partecipe e del concorrente eventuale.

La sentenza Demitry, erroneamente letta quale mutamento normativo in peius, era stata una tappa di una evoluzione giurisprudenziale del tutto coerente con l’essenza della fattispecie tipizzata dagli artt. 110 e 416-bis c.p. e del tutto prevedibile e consentita dalla Convenzione nel significato attribuitole dalla Corte EDU la quale ha, fino ad ora, sanzionato unicamente gli interventi decisori dei giudici nazionali aventi carattere radicalmente innovativo e, quindi, imprevedibile[20].

Le Sezioni Unite richiamano sul punto la giurisprudenza di legittimità delle sezioni semplici che, secondo un criterio che appare del tutto conforme a quello indicato dalla giurisprudenza europea, chiamate a pronunciarsi in relazione a decisioni assunte dalle SU in un momento successivo alle condotte delittuose, ha costantemente individuato l’overruling non consentito, perché non prevedibile dall’imputato, unicamente nei casi di radicale innovazione della soluzione giurisprudenziale, inconciliabile con le precedenti decisioni, e l’ha invece escluso qualora la soluzione offerta si colloca nel solco di interventi già noti e risalenti di cui costituisca uno sviluppo prefigurabile, pur nel contrasto di opinioni che rende l’esito sanzionatorio possibile, anche quando non accolto dall’indirizzo maggioritario (Cass. n. 13178/2018 dep. 2019; n. 41846/2018; n. 37857/2018; n. 47510/2018; n. 31648/2016).

6. Le diverse opzioni ermeneutiche della sentenza Contrada e l’incertezza del contenuto della decisione

Le Sezioni Unite negano la portata generale della sentenza Contrada per la sua natura atipica ed eccentrica rispetto alla stessa giurisprudenza della Corte EDU nonché per i plurimi profili di criticità con riferimento alla considerazione del diritto interno.

La sentenza Contrada, potenzialmente dirompente per le sue possibili conseguenze, non solo per la rilevanza del tema del concorso esterno in associazione mafiosa ma, soprattutto, per l’impatto sul principio di legalità, non è stata all’altezza di queste potenzialità.

È stato efficacemente affermato che la Corte EDU, incorrendo in una «confusione semantica», abbia «mescolato un po’ imprevedibilità, incertezza e carenza di tipicità» ed abbia, «applicato al diritto non tassativo e incerto la “sanzione” di quello imprevedibile perché nuovo e retroattivo»[21].

Questa «confusione semantica» si è innestata su una giurisprudenza europea la quale, come rilevato da parte della dottrina, fa riferimento a criteri di volta in volta diversi (soggettivo, oggettivo, evolutivo) per valutare la prevedibilità in diritto penale[22].

È sufficiente ripercorrere alcune delle numerose analisi della più attenta dottrina per notare che della sentenza Contrada sono state date letture anche molto diverse tra loro.

A mero titolo esemplificativo, vi è stato chi ha ritenuto che la Corte EDU abbia censurato «il difetto di prevedibilità delle conseguenze penali del fatto, dal punto di vista di Bruno Contrada al momento della commissione delle condotte per le quali è stato condannato»[23].

Altri autori hanno, invece, ritenuto che la sentenza abbia espresso «un giudizio di insufficiente determinatezza/tipicità della norma prima del 1994, ancorato ad un parametro oggettivo e formale», escludendo che venga in rilevo il profilo soggettivo del fatto, tanto da essere superfluo qualsiasi accertamento funzionale a stabilire se nell’imputato fosse stato sussistente, all’epoca dei fatti, quel deficit soggettivo di prevedibilità degli effetti della condotta[24].

Altri studiosi hanno affermato che «il problema di prevedibilità qui non riguardi la rilevanza penale dei fatti commessi, ma – più alla radice – la stessa “base legale” (legislativa o giurisprudenziale, questo non importa per la Corte), cioè la qualificazione giuridica del fatto»[25].

L’una o l’altra opzione ermeneutica non è irrilevante in quanto, qualora venga accertata una violazione di diritto penale sostanziale, la “vocazione” erga omnes della pronunzia, in linea di principio, dovrebbe rendere tendenzialmente più facile l’attivazione di rimedi processuali anche a favore di chi, pur non avendo adito la Corte EDU, versa in una situazione analoga al ricorrente vittorioso. Qualora, invece, venga in rilevo la dimensione soggettiva della prevedibilità, intesa quale possibilità di prevedere le conseguenze penali del fatto dal punto di vista del singolo, appare più difficile sostenere l’estensibilità ad altri dei principi di una sentenza europea; invero nella legalità ‘costituzionale’ la prevedibilità di cui all’art. 7 CEDU è veicolata attraverso il principio di colpevolezza e, di conseguenza, l’applicazione della sentenza europea presuppone la rivisitazione del giudizio ricostruttivo del fatto di reato e della colpevolezza del suo autore.

Le diverse letture che sono state date della sentenza Contrada e le difficoltà interpretative che ha posto mettono in evidenza un suo difetto di origine, costituito dalla non adeguata motivazione degli snodi fondamentali del percorso decisionale, la quale si ripercuote inesorabilmente sull’incertezza del contenuto della decisione.

L’efficacia persuasiva delle sentenze si misura sulla base della motivazione, la quale «è appunto quella parte ragionata della sentenza che serve a dimostrare che la sentenza è giusta perché è giusta»[26].

La stessa giurisprudenza di Strasburgo ci insegna che la motivazione soddisfa l’esigenza di dimostrare alle parti che le loro argomentazioni sono state prese in considerazione e valutate, in questo modo contribuendo ad una ben più «consapevole accettazione della decisione»[27].

7. «Sviluppo giurisprudenziale distinto e posteriore» vs. «continuità con la giurisprudenza precedente»

Un primo essenziale passaggio logico della sentenza che non è sufficientemente chiarito è quello che riguarda la tappa fondamentale dell’evoluzione giurisprudenziale che ha riguardato i profili dogmatici dell’istituto del concorso esterno con riferimento al reato di cospirazione politica mediante associazione di cui all’art. 305 c.p. (Cass. sez. I, 27.5.1969, Muther) ed alla banda armata (Cass. n. 1475 del 07.06.1977, Cucco; n. 588 del 10.03.1978, Zuffada; n. 617 del 25.10.1983, Arancio); su questo aspetto importantissimo, la Corte EDU si limita ad affermare che questa giurisprudenza «non riguarda il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, che è oggetto del presente ricorso, ma dei reati diversi» ed è quindi irrilevante ai fini della evoluzione della giurisprudenza sul concorso esterno in associazione di tipo mafioso, il quale «è stato oggetto di uno sviluppo giurisprudenziale distinto e posteriore rispetto a questi ultimi» (par. 71).

Considerato che la Corte EDU ha attribuito alla giurisprudenza interna una vera e propria funzione “formante” del precetto penale, sarebbe stato appropriato che tale affermazione fosse preceduta da un’analisi del contenuto di quella giurisprudenza, per stabilire se fosse prevedibile per il soggetto agente una propria futura condanna per concorso esterno o addirittura per partecipazione e se – nell’ottica di una giurisprudenza che contribuisca a “formare” il precetto – quelle sentenze avessero contribuito alla ‘tassativizzazione’ della fattispecie.

Se fosse stata effettuata tale analisi, si sarebbe potuto agevolmente verificare che il principio di diritto fissato dalla sentenza Muther del 1969 è stato recepito dalla giurisprudenza che ha ritenuto configurabile il concorso esterno con riferimento all’associazione di tipo mafioso[28]; dunque, sarebbe stato necessario chiarire perché è stato ritenuto che si trattasse di uno «sviluppo giurisprudenziale distinto e posteriore» e per quale motivo, invece, non vi sarebbe stata una «continuità della giurisprudenza precedente relativa al reato penale così come contestato al ricorrente»[29]. In definitiva, non è stato chiarito perché la giurisprudenza precedente è stata considerata del tutto irrilevante ai fini della prevedibilità[30].

Prescindendo dall’analisi contenutistica della giurisprudenza antecedente, la Corte EDU incorre, quindi, in un errore di prospettiva – che si innesta su quello commesso a monte nel ritenere la fattispecie di “creazione” giurisprudenziale – e che costituisce il vero vizio di origine della pronunzia: non aver considerato tutta la giurisprudenza anteriore ed aver individuato nella sentenza Cillari del 1987 (Cass. n. 8092 del 4.7.1987) quella in cui, «per la prima volta, la Cassazione ha menzionato il concorso esterno in associazione mafiosa», sentenza nella quale, peraltro, la Cassazione «rifiutò l’esistenza» di un tale reato (par. 67 sent. Contrada).

Anche su questo aspetto, la pronunzia europea prescinde da un’analisi contenutistica della giurisprudenza sul concorso esterno in associazione mafiosa, limitandosi ad una classificazione dei precedenti sulla base della loro data di emissione rispetto al tempo del commesso reato, come se il giudizio di “prevedibilità” possa prescindere da un esame approfondito del contenuto di quelle pronunzie e possa essere ridotto ad una mera catalogazione temporale (par. 67 e 68 sent. Contrada).

Nell’ambito di un’analisi approfondita della giurisprudenza sul concorso esterno, non si sarebbe potuto fare a meno di argomentare sul fatto che proprio la sentenza Cillari, come le sentenze successive che negavano la configurabilità del concorso esterno, prevedeva quale alternativa la punibilità a titolo di concorso in associazione mafiosa. Ciò avrebbe comportato, per il giudice europeo, l’adempimento dell’onere motivazionale anche sui motivi per i quali ciò non avrebbe avuto alcuna incidenza sulla prevedibilità delle conseguenze della condotta del soggetto agente.

8. Prevedibilità e principio di colpevolezza

Un ulteriore aspetto del percorso motivazionale della sentenza Contrada che alimenta il dubbio che lo stesso sia compromesso da una non piena consapevolezza del sistema nazionale di riferimento è quello in cui si afferma che «la doglianza del ricorrente relativa alla violazione del principio della prevedibilità della legge penale, sollevata dinanzi a tutti i gradi di giudizio», «non è stata oggetto di un esame approfondito da parte dei giudici nazionali, essendosi questi ultimi limitati ad analizzare in dettaglio l’esistenza stessa del reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso nell’ordinamento giuridico interno senza tuttavia stabilire se un tale reato potesse essere conosciuto dal ricorrente all’epoca dei fatti a lui ascritti» (par. 73).

In realtà, dagli atti della procedura interna non emerge che la doglianza relativa alla prevedibilità del reato di concorso esterno nei termini dell’art. 7 CEDU sia mai stata sollevata dal ricorrente dinanzi alle giurisdizioni nazionali. La doglianza sollevata nei vari gradi di giudizio è, invece, quella relativa al mancato rispetto dei principi di tassatività e tipicità della fattispecie incriminatrice, sulla quale le giurisdizioni interne hanno ampiamente motivato.

L’equivoco di fondo che emerge da tale affermazione è di estrema rilevanza perché affermare che le giurisdizioni interne non hanno motivato sulla “prevedibilità” equivale a dire che esse non hanno in alcun modo motivato sull’elemento soggettivo del reato, affermazione che, oltre a non corrispondere al vero, secondo quanto emerge dalla lettura delle sentenze nazionali, fa dubitare che la sentenza europea non prenda in considerazione i principi fondamentali dell’ordinamento interno, nel quale la “prevedibilità” nel senso dell’art. 7 CEDU è veicolata attraverso il principio di colpevolezza.

La “prevedibilità” della legge penale nel senso dell’art. 7 CEDU, infatti, costituisce un fondamento del sistema penale interno e trova espressione nel combinato disposto degli artt. 27 co. 1 e 3, 25 c. 2, 73 co. 3, Cost..

Alcuna di queste norme viene, però, menzionata nella parte della sentenza dedicata al «diritto interno pertinente» – che cita unicamente gli artt. 110, 416 e 416-bis c.p. – desumendosi da ciò che la condanna dell’Italia per un caso di mancanza di prevedibilità della legge penale è stata pronunziata prescindendo dal considerare le norme giuridiche interni pertinenti.

In particolare, il comma primo dell’art. 27 Cost., interpretato in relazione al comma terzo dello stesso articolo ed agli artt. 2, 3, commi 1 e 2, art. 73, comma 3, e 25, comma 2 Cost., non soltanto richiede la colpevolezza dell’agente rispetto agli elementi più significativi della fattispecie tipica (e, cioè, una relazione psichica tra il soggetto e il fatto), ma anche l’effettiva possibilità di conoscere la legge penale (e, cioè, un rapporto tra soggetto e legge), possibilità che rappresenta un ulteriore necessario presupposto della rimproverabilità dell’agente e, dunque, della responsabilità penale.

Il rapporto tra prevedibilità della legge penale e rimproverabilità dell’agente, quale fondamento della responsabilità penale, trova espressione nel momento intellettivo del dolo, che consiste nella rappresentazione degli elementi che integrano la fattispecie oggettiva, tra i quali rientrano anche tutti gli aspetti che fondano la rilevanza giuridica delle situazioni di fatto richiamate dalla fattispecie; il che non significa che il soggetto agente, per rispondere a titolo di dolo, debba conoscere l’esatto significato giuridico di ogni elemento normativo delle fattispecie penali, essendo sufficiente che egli ne abbia la c.d. conoscenza parallela nella sfera laica, che cioè egli ne conosca la portata secondo il senso comune.

La disciplina del dolo va individuata negli artt. 5, 42, 43, 44, 47, 59 c.p., complesso di norme che, in via positiva o negativa, disciplinano la rilevanza o la irrilevanza della rappresentazione e volizione degli elementi costitutivi del reato, e che concorrono a determinare gli elementi che devono essere conosciuti e voluti affinché si abbia responsabilità penale a titolo di dolo.

Il nostro sistema penale riconosce, inoltre, come evidenziato dalle Sezioni Unite Genco, l’efficacia scusante dell’errore inevitabile della legge penale, come elaborata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 364 del 1988, che ha dichiarato l’art. 5 c.p. parzialmente illegittimo nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale «l’ignoranza inevitabile». Secondo l’elaborazione costituzionale, al fine di qualificare l’ignoranza della legge penale come “inevitabile” occorre far riferimento a criteri oggettivi (ad es. obiettiva oscurità del testo, assicurazioni erronee, repentino mutamento della giurisprudenza) e soggettivi, dovendosi tenere conto anche delle particolari condizioni e conoscenze del singolo soggetto.

La Consulta ha, in proposito, affermato che, sebbene non sia configurabile un autonomo dovere di conoscenza delle singole leggi penali, sui destinatari dei precetti incombono (in base all’art. 2 Cost.) doveri di attenzione, informazione, diligenza, strumentali all’osservanza dei medesimi, e dall’adempimento o meno di tali doveri dipende la qualificazione dell’ignoranza della legge come inevitabile (e, dunque scusabile) ovvero come evitabile (e, pertanto, inescusabile).

In applicazione di questi principi, la giurisprudenza di legittimità, richiamata dalle Sezioni Unite Genco, ha escluso la colpevolezza quando l’errore di diritto sia dipeso da ignoranza inevitabile della legge penale, non giustificata da alcuna pacifica posizione giurisprudenziale che abbia indotto nell’agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria condotta; al contrario, si è esclusa la possibilità di invocare l’ignoranza inevitabile della legge penale, a fronte di difformi orientamenti interpretativi accolti nelle pronunzie dei giudici, poiché lo stato di incertezza impone al soggetto di astenersi dall’agire e di condurre qualsiasi utile accertamento per conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia, anche attraverso la mediazione applicativa della giurisprudenza (Cass. n. 2506/2016, dep. 2017; n. 46669/2011; n. 6991/2011; n. 28397/2004; n. 4951/1999, dep. 2000).

Si tratta di principi generali che costituiscono l’ispirazione di fondo del nostro sistema penale e che appaiono, peraltro, in piena sintonia con quelli sanciti dalla giurisprudenza europea in tema di “prevedibilità ragionevole”, relativamente alla quale, come si è visto, viene affermata l’esigenza di valutarne la sussistenza tenendo conto delle circostanze del caso concreto e delle particolari conoscenze del soggetto agente che, qualora ricopra una determinata qualifica professionale, deve prestare particolare attenzione e, se del caso, far ricorso al consiglio degli esperti e, in caso di dubbio, astenersi dall’agire a pena di assumersi il rischio delle conseguenze penali della sua condotta (supra par. 4).

9. Coerenza con la sostanza del reato e prevedibilità ragionevole

Anche a quest’ultimo proposito, occorre constatare che nella sentenza europea non vi è alcun riferimento alle circostanze del caso concreto e alle particolari conoscenze del soggetto agente, solitamente prese in grande considerazione dalla Corte EDU, la quale è innanzitutto giudice del caso concreto.

Ad esempio, non sono state prese in considerazione le specifiche competenze professionali del ricorrente, che agiva a stretto contatto con quella stessa autorità giudiziaria che faceva le prime applicazioni giurisprudenziali dell’istituto del concorso esterno ai fatti di criminalità mafiosa. In tal modo, la pronunzia non ha potuto chiarire per quale motivo il ricorrente versava in una situazione di ignoranza inevitabile della legge penale e non avrebbe, invece, dovuto prestare una particolare attenzione nella valutazione dei rischi connessi alle condotte poste in essere[31].

Manca nella sentenza europea anche il riferimento al contesto storico in cui sono maturate le condotte, nonostante il periodo di tempo in cui si collocano i fatti (1979-1988) era stato caratterizzato da avvenimenti di enorme rilevanza: a titolo meramente esemplificativo, erano gli anni (1981-1984) della seconda guerra di mafia, degli omicidi di uomini delle istituzioni (nel 1982 l’on. Pio la Torre e il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; nel 1983 i giudici Giangiacomo Ciaccio Montalto e Rocco Chinnici; nel 1988 il giudice Antonino Saetta); gli anni in cui prendeva corpo la lotta alla mafia con l’emanazione nel 1982 della legge Rognoni-La Torre, che introduceva l’art. 416-bis c.p. e la confisca dei patrimoni di provenienza illecita, e con l’inizio il 10.2.1986 del maxi processo a cosa nostra con 475 imputati, che si concludeva il 16.12.1987. Tali fatti, che costituiscono il contesto storico nel quale si collocano le condotte della cui rilevanza penale si doveva valutare la prevedibilità e dei quali si trova traccia nelle sentenze della procedura interna, che costituiscono la base della decisione della Corte sovranazionale, non sono stati valutati dal giudice europeo.

In questo modo non è stato chiarito se, alla luce del contesto storico della Palermo dei primi anni ottanta del secolo scorso e delle specifiche competenze del soggetto agente, il risultato interpretativo della giurisprudenza in tema di concorso esterno in associazione mafiosa potesse essere considerato «coerente con la sostanza del reato e ragionevolmente prevedibile»[32].

10. La “prevedibilità” della qualificazione giuridica del fatto e della pena conseguente

Un ulteriore aspetto della sentenza europea che rivelerebbe una sorta di irrigidimento dei parametri finora utilizzati in tema di prevedibilità è quello della mancanza di prevedibilità della qualificazione giuridica del fatto e della pena conseguente, che verrebbe fatta rientrare nel parametro di tutela dell’art. 7 CEDU, prospettiva che non sembra del tutto coerente con la giurisprudenza europea.

Appare, infatti, che la sentenza Contrada, nel confondere i piani della imprevedibilità, incertezza e carenza di tipicità, faccia riferimento anche ad una mancanza di prevedibilità della qualificazione giuridica del fatto.

In più punti, la sentenza europea richiama la circostanza che l’opzione alternativa che sarebbe stata coltivata dal ricorrente nella sua linea difensiva era quella del favoreggiamento, quasi a voler accreditare la tesi che, poiché le condotte contestate e già accertate avrebbero potuto essere astrattamente qualificate come favoreggiamento, egli non poteva prevedere le conseguenze in termini di sanzione delle sue condotte (si vedano par. 15, 18 e par. 20 della sentenza).

A questo proposito si deve osservare che, in linea di principio, la prevedibilità della qualificazione giuridica del fatto non sembra possa essere fatta rientrare nell’ambito di tutela dell’art. 7 CEDU, rientrando, invece, piuttosto nella tutela dell’articolo 6 CEDU, parr. 1 e 3, lett. a) e b) che impone che l’imputato venga informato in tempo utile dell’accusa a suo carico e che è strettamente connesso all’esercizio del diritto di difesa nel processo. Anche in questo caso, peraltro, la Corte EDU adotta un approccio piuttosto flessibile in quanto non nega che le giurisdizioni interne possano procedere ad una riqualificazione giuridica del fatto in corso di causa, ma impone unicamente che l’imputato ne venga informato in tempo utile per esercitare la propria difesa[33].

La prevedibilità, nel senso indicato dall’art. 7 CEDU, non può, infatti, essere fatta dipendere dalle difese spiegate nel processo e deve necessariamente essere valutata al momento della condotta.

In ogni modo, per quanto riguarda la situazione concreta del caso Contrada, dalla lettura delle sentenze emerge che l’ipotesi del favoreggiamento non è stata coltivata sin dall’inizio nella linea difensiva dell’imputato. Tale ipotesi venne ipotizzata dalla Corte di appello di Palermo nella sentenza di assoluzione del 4.5.2001 a margine del proprio percorso argomentativo e senza un’adeguata motivazione, e, pertanto, censurata dalla pronuncia della Cassazione del 12.12.2002 che ha annullato tale sentenza. La Corte di Cassazione ha sottolineato, infatti, che, come ben evidenziato nella pronuncia di primo grado «in varie parti della sentenza, es. pagg. 540 e 544 ss., e conclusivamente a pag. 1726», «l’imputato nel corso del dibattimento ha sempre negato in modo fermo e deciso non solo qualsiasi collusione, ma anche qualunque rapporto di conoscenza anche a livello ‘confidenziale’ con esponenti di cosa nostra» (Cass. n. 15756/2002, dep. 2003).

L’ipotesi alternativa del favoreggiamento, comunque, sia pur coltivata da un certo momento in poi in via subordinata, non è stata ritenuta in alcun modo fondata dai giudici interni che, nel caso di specie, hanno affermato che l’unica ipotesi alternativa era quella della partecipazione (Cass. n. 542/2007, dep. 2008).

Anche su questo aspetto si deve, purtroppo, rilevare la lettura parziale della giurisprudenza nazionale in quanto nella sentenza Contrada viene riportato il passaggio della pronuncia della Cassazione del 2002 (par. 15), che spiega in diritto la differenza tra concorso esterno e favoreggiamento, ma non anche la parte della motivazione in cui l’ipotesi del favoreggiamento è stata ritenuta destituita di fondamento nel caso concreto.

11. Conclusioni e prospettive

La sentenza delle Sezioni Unite n. 8544/2020 rappresenta l’ultima parola dei giudici di legittimità sui “fratelli minori” di Contrada e conferma la tendenza, già emersa nella giurisprudenza interna, di totale chiusura rispetto all’estensione a soggetti diversi dal ricorrente degli effetti della sentenza Contrada c. Italia del 2015, ritenuta atipica ed eccentrica rispetto alla stessa giurisprudenza della Corte EDU nonché affetta da rilevanti criticità rispetto alla considerazione del diritto interno.

La questione, invece, non è ancora conclusa per la Corte di Strasburgo, la quale deve pronunciarsi su alcuni casi ancora pendenti in tema di concorso esterno in associazione mafiosa[34]. Si dovrà, quindi, attendere le prossime pronunzie sul tema per capire se la Corte EDU confermerà l’approccio della sentenza Contrada oppure se chiarirà i molti punti lasciati oscuri dalla stessa, anche magari rimettendo la decisione alla Grande Camera.

L’auspicio è che le criticità evidenziate in più sedi possano costituire per il giudice europeo uno stimolo per meglio chiarire i principi affermati non solo sul concorso esterno in associazione mafiosa ma, soprattutto, sulla questione di carattere generale della prevedibilità in materia penale, in presenza di conflitti giurisprudenziali, anche considerato che tra legalità “costituzionale” ed “europea” non vi è, in realtà, alcuna antinomia[35].

* Giudice del Tribunale di Milano

Fonte: Questione Giustizia

Corte Cass SSUU Sentenza n.08544_2020

Note

[1] G.i.e.m. s.r.l. e altri c. Italia [GC], 28.6.2018, n. 1828/06, 34163/07, 19029/11, par. 252.

[2] Sud Fondi s.r.l. ed altri c. Italia, 20.1.2009, n. 75909/11; Varvara c. Italia, 29.10. 2013, n. 17475/09.

[3] S.DE BLASIS, Oggettivo, soggettivo ed evolutivo nella prevedibilità dell’esito giudiziario tra giurisprudenza sovranazionale e ricadute interne, in Dir. pen. cont., 4/17, p. 142.

[4] X e Y c. Francia, 1.9.2016, n. 48158/11; Soros c. Francia, 6.10.2011, n. 50425/06; Pessino c. Francia, 10.10.2006, 40403/02; Groppera Radio AG c, Svizzera, 28.3.1990, n. 10890/84.

[5] Sunday Times c. Regno Unito, 26.4.1979, n. 6538/74; Kokkinakis c. Grecia, 25.5.1993, n. 14307/88; Cantoni c. Francia, 15.11.1996, n. 17862/91; Del Rio Prada c. Spagna, 21.10.2013, n. 42750/09.

[6] S.W. c. Regno Unito, 22.11.1995, n. 20166/92; C.R. c. Regno Unito, 22.11.1995, n. 20190/92; Muller ed altri c. Svizzera, 24.5.1988, n. 10737/84.

[7] Kokkinakis v. Grecia, 25.5.1993, n. 14307/88, par. 52.

[8] Ezelin c. France, 26.4.1991, n. 11800/85, par. 45.

[9] Si veda tra le altre: Sunday Times c. Regno Unito (n. 1), 26.4.1979, n. 6538/74, par. 49; Rekvényi c. Ungheria [GC], 20.5.1999, n. 25390/94, par. 34; Ziliberberg c. Moldavia (dec.), 4.5.2004, n. 61821/00; Galstyan c. Armenia, 15.11.2007, n. 26986/03, par. 106; Primov e altri c. Russia, 12.6.2014, n. 17391/06, par. 125.

[10] Kruslin c. Francia, 24.4.1990, n. 11801/85, par. 29; Kopp c. Svizzera, 25.3.1998, n. 23224/94, par. 59; VgT Verein gegen Tierfabriken c. Svizzera, 30.6.2009, n. 24699/94, par. 52; Mkrtchyan c. Armenia, 11.1.2007, n. 6562/03, par. 43; Vyerentsov c. Ucraina, 11.4.2013, n. 20372/11, par. 54.

[11]F.SUDRE, J.P.MARGUENAUD, J.ANDRIANTSIMBAZOVINA, A.GOUTTENOIRE, M. LEVINET, Les grands arrêts de la Cour européenne des droits de l’homme, Parigi, 2019.

[12] Kokkinakis c. Grecia, 25.5.1993, n. 14307/88, par. 40.

[13] S.W. c. Regno Unito, 22.11.1995, n. 20166/92, par. 36.

[14] Başkaya e Okçuoğlu c. Turchia, 8.7.1999, n. 23536/94 e 24408/94, par. 39.

[15] Cantoni c. Francia, 15.11.1996, n. 17862/91, par. 35; Soros c. Francia, 6.10.2011, 50425/06, par. 53; Groppera Radio AG e altri c. Svizzera, 28.3.1990, n. 10890/84, par. 68.

[16] Başkaya e Okçuoğlu c. Turchia, cit., par. 37; Streletz, Kessler, e Krenz c. Germania, 22.3.2001, nn. 34044/96, 35532/97 e 44801/98, par. 88-89.

[17] Soros c. Francia, 6.10.2011, n. 50425/06, par. 55-62. A. TAMIETTI, Le principe de légalité aux termes de l’article 7 de la Convention européenne des droits de l’homme, in European criminal law and human rights, 3/2015.

[18] Cantoni c. Francia, 15.11.1996, n. 17862/91, par. 35. P. BEAUVAIS, Le droit à la prévisibilité en matière pénale dans la jurisprudence des cours européennes, in Archives de politique criminelle, n. 1/2007.

[19] M.DONINI, Il caso Contrada e la Corte EDU. La responsabilità dello Stato per carenza di tassatività/tipicità di una legge penale retroattiva di formazione giudiziaria, in Riv. it. dir. proc. pen., fasc. 1, 2016, pag. 346; G.LEO, Concorso esterno nei reati associativi, in Diritto penale contemporaneo, 9.1.2017; E.NICOSIA, Il caso Contrada e il concorso esterno in associazione mafiosa davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in www.sidi-isil.org, 21.5.2015.

[20]Del Rio Prada c. Spagna, cit., par. 116; Dragotoniu e Militaru-Pidhorni c. Romania, 24.5.2007, nn. 77193-77196/01, par. 44; Vasiliauskas c. Lituania, 20.10.2015, n. 35343/05, par. 181; Kokkinakis c. Grecia, cit. par. 52.

[21] M. DONINI, op. cit.

[22] S. DE BLASIS, op. cit.

[23] F. VIGANÒ, Il caso Contrada e i tormenti dei giudici italiani: sulle prime ricadute interne di una scomoda sentenza della corte EDU, in Dir. pen. cont., 26.4.2016.

[24] F. FALATO, L’efficacia estensiva delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. A proposito dei potenziali epiloghi della Cassazione nel caso dei fratelli minori di Bruno Contrada, in Arch. pen., 2/2019. Analoga opinione è espressa da M. DONINI, op. cit.

[25] C. SOTIS, “Ragionevoli prevedibilità” e giurisprudenza della Corte Edu, in Questione giustizia, Trimestrale, n. 4/2018.

[26] P. CALAMANDREI, Problemi generali del diritto e del processo, vol. I, cap. IV, in Opere giuridiche, Roma ried. 2019, cit. pag. 664.

[27] Taxquet c. Belgio [GC], sent. del 16.11.2010, n. 926/05, par. 91 ; Felloni c. Italia, 6.2.2020, n. 44221/2014, par. 25.

[28] G. TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, Milano, 2008, p. 400.

[29] Pessino c. Francia, 10.10.2006, n. 40403/02.

[30] La elaborazione del concorso eventuale nei reati associativi si muove in un medesimo ordine di idee nel caso del terrorismo e della mafia; in tal senso, si veda ad esempio: F. PALAZZO, La sentenza Contrada e i cortocircuiti della legalità, in Dir. pen. proc., 9/2015, p.1063.

[31] Cfr. ad es. Başkaya e Okçuoğlu c. Turchia, cit.; Streletz, Kessler, e Krenz c. Germania, cit.; Soros c. Francia, cit.

[32] Tra le tante: S.W. c. Regno Unito, 22.11.1995, n. 20166/92, par. 36; Camilleri c. Malta, 22.1.2013, n. 42931/10, par. 37; Streletz, Kessler, e Krenz c. Germania, cit. par. 50; Delbos e altri c. Francia (dec.) n. 60819/00; Varvara c. Italia, cit. par. 55.

[33] Drassich c. Italia (n. 1), 11.12.2007, n. 25575/04; Drassich c. Italia (n. 2), 22.2.2018, n. 65173/09.

[34] Lo Sicco c. Italia, n. 14417/09 comunicato il 5.7.2016; Dell’Utri c. Italia, n. 3800/15 comunicato il 16.11.2017.

[35] F. VIGANÒ, Il nullum crime conteso: legalità ‘costituzionale’ vs. legalità ‘convenzionale’, in Dir. pen. cont., 5.4.2017.

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