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La nuova comunità e il doveroso riconoscimento dei migranti

Pierluigi Ermini il . Giustizia, Migranti, Società

migrantiLavoratori-755x491Questa pandemia ci chiede di costruire una nuova società, basata su maggiori diritti e doveri e minori diseguaglianze.

E’ quanto viene proposto anche nel patto #Giustaitalia, un vero e proprio manifesto per far ripartire l’Italia uscendo dalla cultura dell’emergenza e affermando quella delle regole.

Un’idea di paese che chiede anche alla politica di rinnovare se stessa attraverso la lettura attenta di quello che accade intorno a noi.

In questi giorni di inizio di Fase 2 e di piccole riaperture, in attesa dell’uscita del nuovo Decreto che dovrebbe stanziare fondi per il mantenimento della nostra realtà produttiva e sociale, il dibattito politico cerca di affrontare anche il tema delle assunzioni di cittadini stranieri irregolari, con la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato ed il relativo regolare permesso di soggiorno provvisorio, per quanto riguarda soprattutto lavoratori agricoli, colf e badanti.

Un mondo sommerso di persone che si è ampliato con l’aumento dei clandestini causato dalle leggi sicurezza del precedente governo giallo-verde e che la diffusione del Covid-19, ha reso come vere e proprie mine vaganti disseminate lungo il nostro territorio da nord a sud.

Regolarizzare queste persone secondo il mio modesto parere, è prima di tutto un atto di giustizia sociale e dunque solo per questo motivo necessario e indispensabile in uno stato di diritto. Non è un caso che il Patto #Giustaitalia espressamente richiami in un punto specifico questa necessità.

Ma oggi, in epoca di pandemia e di disastro economico, diventa anche un vantaggio sociale per il nostro paese. Perché per prima cosa regolarizzare le loro posizioni da un punto di vista lavorativo vorrebbe dire riconoscere a queste persone un domicilio anche anagrafico e il diritto alla sanità pubblica.

Il controllo anagrafico è la prima forma di controllo che uno stato serio deve avere nei confronti di chi vive sul proprio suolo proprio per garantire la sicurezza dei cittadini. Insieme al luogo dove si vive e si lavora è necessario attuare un controllo sanitario, che si realizza solo se le persone si regolarizzano e si dà loro la possibilità di avere un’assistenza sanitaria.

Anagrafe e sanità sono dunque i primi due vantaggi per tutti noi grazie all’emersione dei cittadini stranieri irregolari e spesso “invisibili” che oggi girano per le nostre strade e vengono “sfruttate” sui campi e in altri lavori per pochi soldi.

Vorrebbe dire anche combattere le organizzazioni criminali, perché poter lavorare in modo regolare, vuol dire evitare forme di sfruttamento, ricatti e illegalità che ancora dominano in settori in mano alla criminalità soprattutto mafiosa.

Da questo punto di vista è veramente clamoroso l’autogoal segnato da chi, fautore della sicurezza, ha effettuato scelte così improvvide come quella di creare clandestini. Basta riflettere su quanta “manovalanza” quasi gratuita abbiamo offerto in questi anni alle organizzazioni criminali.

C’è poi un altro aspetto che riguarda invece più da vicino il nostro welfare. I lavoratori stranieri regolarizzati pagherebbero i relativi contributi e dunque diventerebbero un aiuto e un sostegno per le casse così vuote dell’Inps e per il nostro stato sociale. Lo diceva qualche tempo fa Tito Boeri ex presidente Inps (certo non espressione dell’allora maggioranza giallo-verde) e lo ripete oggi Pasquale Tridico (nominato dall’allora governo Lega – 5 Stelle nel 2019), attuale presidente dell’Inps che in una recente intervista a La Stampa si dice “favorevole a una regolarizzazione dei migranti, perché i numeri parlano chiaro: il contributo degli immigrati regolari non è irrilevante per i conti previdenziali”.

E’ chiaro a tutti ormai che la regolarizzazione degli stranieri oggi clandestini che lavorano al nero nei nostri campi e in molte nostre case, prive di permesso di soggiorno, è un favore che facciamo soprattutto a noi stessi. Un esempio di come necessità economiche e minori diseguaglianze siano un vantaggio per tutta la nostra comunità.

Sapere chi sono le persone che ci stanno accanto, dove vivono, dove lavorano, rendere degli estranei persone che hanno un nome e un domicilio, portatrici di doveri e di diritti è sempre più una necessità etica ed economica. Si tratta di uomini e donne che ci parlano di storie, di sentimenti ed emozioni, di sogni e speranze, ci spingono a guardale e ad ascoltarle, lavorano con le loro mani e le loro capacità  e si trasformano da persone invisibili a visibili, concrete, reali.

In una democrazia tutto questo è il sale della dignità umana e il livello minimo di una sana e proficua convivenza. Anche e ancor di più oggi in questi tempi duri di pandemia, di rinascita e di ricostruzione.

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