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Noi la mafia la combattiamo, la Germania no

Gian Carlo Caselli il . Internazionale, Istituzioni, Mafie

die-weltQuel che sfugge a “Die Welt”. Sappiamo di avere grandi problemi, ma possiamo rivendicare con orgoglio di essere anche il paese dell’antimafia

Il quotidiano “Die Welt” si è esibito in una performance di rara aridità intellettuale e morale, sostenendo che il governo tedesco non deve cedere alle richieste avanzate dall’Italia per far fronte all’emergenza del Coronavirus. Ciò perché in Italia la mafia è forte e sta aspettando i nuovi finanziamenti a pioggia di Bruxelles. Per cui non si dovrebbero versare all’Italia fondi per il sistema sociale e fiscale ma solo per quello sanitario. E Bruxelles dovrà controllare che gli italiani li usino in modo conforme alle regole.

La dimostrazione che quando si è in guerra (frase ripetuta con tetra insistenza per la pandemia Coronavirus) la situazione può spingere a valutazioni nell’ottica di interessi egoistici, legati ad appartenenze politiche o geografiche. “Nemico” può allora diventare – piuttosto che il virus – “l’altro” da noi.  Solo così si può promuovere (come fa “Die Welt”) la tesi abietta che la solidarietà deve cedere alla sovranità nazionale.

Ora, è vero che i mafiosi hanno nel loro Dna di sciacalli-avvoltoi la specialità di approfittare delle disgrazie altrui. E poiché lo shock economico-finanziario del coronavirus ha messo in ginocchio molte attività che forse dovranno poi chiudere o fare una gran fatica a riprendersi, ecco un terreno fertile per i mafiosi. Forti di alcuni vantaggi “storici”, in particolare capitali a costo zero che assicurano un’incessante liquidità. Senza per questo escludere che i loro appetiti si rivolgano anche ai fondi europei (che per altro stiamo ancora aspettando…).

Ma un giornale che si rispetti (compreso “Die Welt”) dovrebbe sapere – basta informarsi – che l’Italia non sta di certo con le mani in mano. Il capo della Polizia Franco Gabrielli ha infatti costituito un “Organismo permanente di monitoraggio presso la Direzione centrale della Polizia Criminale”, affidandogli  il compito di procedere ad un’accurata e preventiva ricognizione a tutto campo dell’infiltrazione dell’economia mafiosa italiana ed europea. Come percorsi operativi del monitoraggio si indicano “i settori imprenditoriali e merceologici di elezione” delle mafie, insieme alle “modalità di penetrazione nei circuiti economici e finanziari” e ai “tentativi di condizionamento dell’attività deliberativa relativa agli appalti pubblici”. E la “cabina di regia”, oltre a tutte le Forze dell’ordine, dovrà coinvolgere gli organismi pubblici e privati capaci di fornire un apporto conoscitivo e analitico qualificato, in particolare le associazioni di categoria e d’impresa, gli osservatori del lavoro, gli uffici con sensori sull’andamento del mercato e della legalità, i centri sudi, i laboratori di indagine e inchiesta.

In realtà, “Die Welt” ragiona come il Candide di Voltaire e si illude che la Germania sia immune da infiltrazioni mafiose. Non è così. Tant’è che Europol (in questo caso proprio a trazione italiana) sta operando partendo dalla constatazione che i criminali  – mafiosi per primi – in tutt’Europa “hanno colto rapidamente [ogni] opportunità per sfruttare la crisi adattando i loro metodi operativi o impegnandosi in nuove attività illegali”.

La differenza fra l’Italia e la Germania che “Die Welt” ignora o nasconde è che noi  queste cose le sappiamo e cerchiamo di combatterle, mentre in Germania si preferisce spesso far finta di niente, perché – gira e rigira – pecunia non olet.

Noi, anzi, sappiamo di esser purtroppo un paese con gravi problemi di mafia, ma possiamo rivendicare con orgoglio di essere anche il paese dell’antimafia.

Non solo per il prezzo altissimo pagato subendo un’infinità di vittime innocenti. Anche per essere all’avanguardia  sul versante dell’organizzazione del contrasto (con strutture specializzate come la Dia e le Procure antimafia, nazionale e regionali). E poi per la legislazione antimafia, che da noi può contare – non così in Germania – sullo strumento indispensabile del reato associativo. Di cui  Giovanni Falcone diceva che senza di esso, pretendere di combattere la mafia sarebbe come voler fermare un carro-armato con una cerbottana.

Ma il nostro vero fiore all’occhiello, ovunque studiato e imitato, è l’antimafia sociale o dei diritti: quella che paga in termini di lavoro e iniziative economiche libere; quella che materializza la legalità come vantaggio per la collettività, attraverso la restituzione di ciò che le mafie le hanno tolto.

Anche questo, piaccia o no a “Die Welt”, è l’Italia.

Huffington Post, il blog di Gian Carlo Caselli

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