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La politica, le istituzioni e i media ai tempi del coronavirus

Pier Luigi Ermini il . Istituzioni, Società

mascherineUna settimana fa quando il virus ha fatto la sua comparsa in Italia mi ero illuso di istituzioni e politica che in una prima fase avevano assunto un atteggiamento responsabile, con governo e regioni che dialogavano e facevano scelte comuni, e una comunicazione che si era fatta più responsabile verso i cittadini.

Niente di più sbagliato e la dimostrazione lo sono stati i giorni da domenica a mercoledì compresi, nei quali quasi tutti hanno dato il peggio di sé.

Un premier che appare 16 volte in un giorno in televisione (domenica) con tanto di maglioncino e non nei suoi spazi istituzionali, ma alla Protezione Civile, luogo che di per sé, nell’immaginario collettivo, deputato ad affrontare tragedie ed emergenze, altro non può far scattare che agli occhi dell’opinione pubblica, non un semplice senso di paura, ma di vero e proprio panico. Due conferenze stampa al giorno, come in tempo di guerra, dove si danno “bollettini” che altro non fanno che trasmettere insicurezza e incertezza.

Il capo del maggior partito di opposizione che al momento dell’inizio dell’epidemia chiede frontiere chiuse, spazi aerei chiusi, porti nuovamente chiusi, contraddicendo se stesso (basta rivedere le sue dirette facebook dei primi giorni) oggi, con la richiesta di dimissioni del premier, reputandolo un incapace. Se fossero state seguite le sue idee e proposte, oggi saremmo un paese veramente isolato dal resto del mondo, dall’Europa (che pure ha le sue contraddizioni) con un’economia ancora più a pezzi.

Isolare alcune zone ha senso da un punto di vista medico e di controllo di una epidemia; una scelta giusta e condivisa dal mondo della scienza e della medicina perché in quei giorni, con un nemico sconosciuto, era l’unica strada da seguire. Ma è sotto gli occhi di tutti cosa l’isolamento di altre aree, soprattutto in Lombardia e in Veneto, ha prodotto a livello mediatico ed economico per il nostro paese.

Non bastavano un premier e un capo dell’opposizione a fare danno; a loro si è aggiunto un Presidente della Regione che in piena bufera mediatica e crisi collettiva non trova di meglio da fare che mettersi in diretta la mascherina dopo aver scoperto che una sua collaboratrice è stata contagiata. Un’immagine che farà il giro del mondo e che non ha certo aiutato chi in Lombardia, ad iniziare dal Sindaco di Milano e dagli imprenditori, chiedeva invece di abbassare i toni.

Così non poteva mancare anche una disputa tra Regioni e Governo: le Marche che chiudono le scuole senza un senso scientifico e medico, quando ancora non ci sono casi conclamati, o la Regione Toscana che invece è stata costretta a tornare indietro alle sue decisioni dopo una disposizione del governo sulle persone che dovevano essere messe in isolamento, se tornate dalle zone dove tutto è nato.

Non possiamo dimenticare i giornali che hanno favorito il diffondersi del panico con i loro titoli: “Coprifuoco – nord come in guerra” (Il Giornale del 24 febbraio), “Mezza Italia in quarantena – siamo un’emergenza” (La Repubblica del 24 febbraio), “Le vie del virus sono infinite – l’infezione si propaga in tutto il paese” (Libero del 25 febbraio), solo per fare alcuni esempi di giornali di diverse estrazioni politiche.

E le tv con la loro spasmodica attenzione mediatica (come per esempio la trasmissione di domenica su Rai Tre di Lucia Annunziata che ha enfatizzato quanto sta accadendo con la sua trasmissione prolungata fino alle 17) fatta di ore e ore interminabili di programmazione.

Alla fine di tutto questo “casino” non poteva mancare la classica richiesta di crisi di governo, di sostituzione del premier, di governissimo, in un momento in cui di ben altro c’è bisogno, non certo di altra incertezza in un sistema che già ha mostrato le sue falle.

Pensavo veramente che l’Italia una volta tanto potesse dare un’idea nuova e unita di sé, ma molto probabilmente sono stato un illuso e le reazioni degli italiani sono state le classiche conseguenze di istituzioni, politica e media che hanno dato veramente il peggio di sé nell’arco della settimana.

In questo marasma salvo tre cose, che possono essere anche indicative e costruttive per ciò che accadrà da domani.

Il ministro Speranza, che ha cercato un unione con le regioni, soprattutto con Lombardia e Veneto, firmando insieme ai loro governatori i primi provvedimenti, ha tenuto un profilo basso, ha messo accanto a sé come consulente uno dei maggiori esponenti della medicina italiana e mondiale, e ha continuato a lavorare in silenzio.

Il governatore Zaia, che ci lascia un grande senso delle istituzioni e del suo ruolo (indicativo il suo silenzio su quanto invece sta accadendo in Lombardia), ha tenuto unita la sua regione e non si è mai fatto prendere da eccessi comunicativi e politici.

Il giornale Avvenire che in questi giorni ha tenuto un profilo meno allarmistico, improntato alla speranza, dando spazio alle notizie positive e che oggi titola in prima pagina “C’è voglia di ripartire”.

Sì cari politici, care istituzioni e cari media, prendete spunto da questi tre esempi positivi perché il paese ha voglia di ripartire. Datevi da fare.

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