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Politica contro magistratura: è sempre attrazione fatale

Gian Carlo Caselli il . Giustizia, Istituzioni

magistrati-770x400Le bordate di Matteo Renzi contro la procura di Firenze non sono leggere. Si parla di invasione di campo nella sfera politica; di vulnus per la democrazia; di “avvertimento”; di quelli che hanno arrestato i miei genitori; di denunzie penali del procuratore capo…

E la tesi che non sarebbe un attacco alla magistratura ma una difesa della politica, appare più che altro una modesta “excusatio (non petita)”. Emerge infatti – e va ben oltre le critiche, sempre legittime – un “pregiudizio ostile” nei confronti di chi, facendo il suo dovere, risulta scomodo per certi interessi.

Un pregiudizio che ha nella nostra storia “illustri” precedenti, a opera di chi non sa cogliere la “novità” della Costituzione democratica: l’abbandono esplicito della concezione (dominante per oltre un secolo) dell’unità del potere e del primato in esso della politica, con conseguente soggezione della giurisdizione.

A discostarsi da questo quadro, già nel 1994, fu Silvio Berlusconi, quando Forza Italia (così Salvatore Lupo, L’evoluzione di Cosa nostra: famiglia, territorio, mercati, alleanze, in “Questione Giustizia”, n. 3/2002)  andò “all’assalto della magistratura [che allora] era sulla cresta dell’onda. Non si capì perché! Se fosse solo un problema di consenso un uomo politico non avrebbe fatto quella operazione. [Fu fatta] per il futuro perché occorre che questa gente, che siete voi magistrati, non ci siate più”.

Sta di fatto che ne seguì – secondo Andrea Camilleri –  il tentativo di limitare in tutti modi “le funzioni della Giustizia o addirittura di disconoscerne  il valore di primo requisito delle istituzioni sociali, [con] una violenta, distruttiva, totalizzante, vera e propria guerra  mossa su molteplici fronti e adoperando tutti i mezzi leciti e soprattutto illeciti, dalle frecciate quotidiane della calunnia, del dileggio, dello scherno, alle mine antiuomo delle dissennate proposte di leggi tendenti sostanzialmente all’assoggettamento della Giustizia alla politica, o meglio, all’interesse politico di una sola persona”.

Non sappiamo se il tempo di Berlusconi sia davvero scaduto. In ogni caso,  persiste l’idea di una Giustizia valida per gli altri, ma mai per sé, con i suoi  corollari rovinosi, tra cui la definitiva rimozione della ormai obsoleta “questione morale”.

Il malvezzo della delegittimazione del controllo di legalità ha fatto proseliti e per molte forze politiche è difficile resistere (ogni volta che la magistratura indaga su ipotesi di deviazioni del potere) all’attrazione fatale di evocare il sempreverde scontro fra politica e magistratura, come se davvero fossimo in presenza di due fazioni contrapposte, ciascuna col proprio obiettivo di parte. Ma in questo modo si offre un pessimo esempio.

Il giudice “parziale” è per definizione un “non giudice”. E se ad avvalorarne l’esistenza, parlando o alludendo a forme di persecuzione giudiziaria, sono uomini politici di primo livello, col peso che loro deriva dalle cariche ricoperte, ogni cittadino soccombente in una causa civile o condannato in un  processo penale si sentirà autorizzato a credere e dire che ciò è avvenuto non per colpe sue (o al limite per errore), ma per la  prevenzione se non peggio del giudice avuto in sorte.

Con quali effetti devastanti sul sistema è facile immaginare. Effetti che investono anche il potere politico, che ne risulta propenso a richiedere “servizi” più che decisioni imparziali, manifestandosi perciò intollerante verso i magistrati indipendenti e gelosi di tale status. Un’anomalia del nostro sistema, sottolineata da Alessandro Galante Garrone rilevando che “a volte non basta, per un giudice, essere onesto e professionalmente preparato. In certe situazioni storiche, per poter ricercare e affermare la verità, con onestà intellettuale, bisogna essere combattivi e coraggiosi”.

Huffington Post, il blog di Gian Carlo Caselli

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