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Bologna: il carcere della Dozza ospita Marisa Fiorani

Marco Mangianti * il . Giustizia, Memoria

marisa fioraniÈ una storia che sconvolse il Salento quella di Marcella di Levrano, quando il 5 aprile 1990, all’età di 25 anni, in un bosco fra Mesagne e Brindisi venne ritrovato il suo corpo privo di vita, sfigurato da violenti colpi di pietra e abbandonato da più di dieci giorni. Sua madre, Marisa Fiorani, oggi, 12 novembre 2019, dopo più di 29 anni, è qui davanti a noi detenuti per raccontarci quei fatti che sconvolsero la sua già tortuosa vita e tutta la comunità salentina.

Marisa ha deciso con grande forza d’animo che la storia di sua figlia non doveva essere dispersa nel tempo, per mantenerne vivo il ricordo e per ridare speranza a chi come noi vive in una condizione opposta a quella della vittima, aiutandoci a confrontarci apertamente su quei percorsi che fino ad oggi le istituzioni hanno per lo più ignorato, e cioè le strade di riconciliazione e di consapevolezza su cui ognuno di noi dovrebbe camminare per guardare la sofferenza delle vittime dei reati e per vivere così pienamente il senso della pena che stiamo scontando. L’incontro è stato realizzato grazie all’associazione “Libera” ed alla Prof.ssa Emanuela Tarantini che da tempo collabora con l’area educativa dell’istituto per realizzare incontri fra noi e la società esterna.

Mamma Marisa già da ragazza vive sulla sua pelle la crudeltà di una relazione crudele, decidendo dopo anni di soprusi e vessazioni di crescere da sola le sue tre bambine, allontanandosi dal marito e da una Brindisi ostile e tropo retrograda per una donna sola. Si stabilisce a Mesagne, a 25 km dal capoluogo salentino. Nonostante le difficoltà economiche riesce a non fare mancare nulla alle sue figlie, impartendo loro una corretta disciplina e avviandole a percorsi scolastici a cui lei, in passato, aveva dovuto rinunciare e che proprio per questo non vuole manchino anche a loro.

Tutto sembra funzionare, e le ragazze emergono nella vita e nello studio grazie alle loro capacità e ai sacrifici della mamma. Ma qualcosa comincia a non andare: Marcella, la secondogenita, ragazza fino a quel momento “modello”, al secondo anno di scuola superiore, una sera non torna a casa, venendo ritrovata due giorni dopo completamente fatta di eroina. Nonostante gli sforzi e le inascoltate richieste di aiuto della madre, Marcella viene cacciata da scuola, entrando in un vortice che la inghiottisce velocemente, e la fa entrare in contatto con elementi di spicco della malavita locale, della cui organizzazione viene via via a stretta conoscenza. Il calvario di madre e figlia si trascina per quattro lunghi anni, fino a che Marcella, rimasta incinta, decide di “ripulirsi” dalla droga per il bene della bambina, che nasce nel 1984.

La storia passata sembra solo un brutto capitolo chiuso, ma l’ombra della droga riavvolge Marcella quando il “padre” di sua figlia dimostra di non avere nessuna intenzione di essere un vero padre per la bimba appena nata, diventando anche violento nei confronti della compagna. Dopo un periodo trascorso ancora una volta nel “tunnel”, Marcella capisce che è necessario tagliare di netto con quel mondo, per il bene suo e della figlia che sta crescendo.

Riprende il percorso di disintossicazione e nel frattempo inizia a collaborare con la Polizia, fornendo informazioni sul giro che prima frequentava e che ora si sente in dovere di contrastare. Le persone coinvolte erano nel frattempo diventate membri della Sacra Corona Unita, e per questo il rischio diventa elevatissimo.

Marcella ha l’abitudine di segnare tutto su un’agendina sin da quando era ragazzina. Forse per questo qualcuno decide di intervenire, per evitare che i fatti, gli orari ed i nomi lì appuntati finiscano nelle mani sbagliate. Viene quindi prelevata dalla propria abitazione e condotta nel bosco, in contrada “Lucci”, a circa metà strada fra Mesagne e Brindisi. Viene uccisa a colpi di pietra in volto ed abbandonata, perché questa è la morte riservata agli infami.

“Non fa niente per me, ma ti prego, dopo pensa alla mia bambina…”. Queste le parole lasciate nell’agenda di una vita, segno di una storia terribile e di un delitto atroce, avvenuto nel salentino a fine anni 80. Marisa, al termine del racconto dell’omicidio della figlia, rimane in piedi davanti a una platea di detenuti attoniti e ammutoliti, fiera, in assoluta compostezza; con gli occhi lucidi esorta tutti a prendere coscienza del male e ad attivarci per ristabilire il nostro futuro, con la semplicità e la dolcezza con la quale una madre esorta i propri figli.

I riscontri positivi, da parte nostra, non tardano ad arrivare, e dopo un lungo applauso di stima, tanti di noi si avvicinano al palco per esprimere cordogli ma soprattutto ammirazione, e lo fanno anche per quelli che rimangono in silenzio non riuscendo a esprimere le emozioni che li attraversano. Anche il dr. Ziccone, responsabile dell’area educativa, sale sul palco per un intervento, visibilmente commosso per la storia e per come è stata raccontata, sottolineando che ognuno di noi è chiamato ad impegnarsi per riappropriarsi della propria dignità morale e sociale, con percorsi di responsabilizzazione e mai dimenticando le vittime dei reati. Molti detenuti, al termine dell’incontro, hanno abbracciato Marcella come fosse la loro mamma; la tristezza è accompagnata dalla voglia di ricominciare, con la speranza di una vita migliore, grazie a questa testimonianza potente che Marisa ci ha regalato.

* Bandieragialla.it

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