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Riflessione a freddo sull’inchiesta “Mondo di mezzo”

Lorenzo Picarella il . Mafie

mondo di mezzoLa valutazione della Cassazione di non ricondurre il sodalizio (o i sodalizi) di Buzzi e Carminati all’interno del perimetro del 416 bis c.p. ha suscitato, come prevedibile, molte reazioni.

Alcune di queste interpretano la suddetta decisione come un segnale di arretramento nel contrasto alla mafia, una sorta di sconfitta per l’antimafia.

Questo modesto e breve contributo vuole stemperare la visione negativa che si è creata attorno a questa vicenda e propone una diversa riflessione, finalizzata ad ampliare l’attuale dibattito sulle mafie.

Innanzitutto, bisogna far chiarezza sul fatto che la Cassazione non ha stabilito, con questa sentenza, che a Roma la mafia non c’è. La Suprema Corte si è pronunciata su specifici fatti, quelli riguardanti il gruppo di Carminati e Buzzi, che non coprono l’intera realtà criminale romana. Ci sono tuttora processi in corso in cui è contestato il 416 bis ad altre organizzazioni criminali operanti a Roma. Senza dimenticare che la VI sezione penale della Cassazione, quella che si è pronunciata su Mafia Capitale, non molto tempo fa aveva ribaltato la sentenza di Appello del processo al cosiddetto clan Fasciani, in cui veniva negata la mafiosità del gruppo.

Ad ogni modo, questa vicenda ripropone la perenne questione definitoria delle mafie, quella dei suoi confini, che si inserisce in un dibattito in cui il diritto e le scienze sociali discutono da molti anni. Premesso che non vi è coincidenza tra definizione sociologica e giuridica di mafia, le quali seguono logiche diverse, il dibattito dottrinale, interno alle due discipline qui richiamate, ha prodotto posizioni molto diverse circa la natura di Mafia Capitale.

Ci troviamo di fronte a una nuova evoluzione delle forme mafiose o a un uso degli strumenti giuridici antimafia per colpire fenomeni simili alle mafie, ma che mafie non sono? Il dibattito entro cui tale sentenza si inserisce può non trovare il consenso di alcuni, ma non deve sorprendere, visto che il caso si è dimostrato certamente controverso.

Bisogna, inoltre, sottolineare che la Cassazione ha riconosciuto l’esistenza di un sistema criminale corruttivo diffuso nella città di Roma. La qualificazione della mafiosità del sodalizio, ai sensi del 416 bis, è sì stata rigettata, ma non l’esistenza di un’associazione per delinquere. Il dibattito pubblico, tuttavia, è stato incentrato solo ed esclusivamente sull’etichetta da attribuire al gruppo criminale, dividendo con un’accetta tra quelli che sono “pro 416 bis” e quelli “contro 416 bis”.

Una semplificazione che non tiene conto della complessità dei fatti, nonché della funzione e dei limiti del diritto penale. Per quanto il tema definitorio delle mafie sia importante, non può essere l’unico oggetto di discussione e, comunque, dovrebbe essere riportato su livelli di approfondimento maggiori, nonché su un piano più laico e meno emotivo. Il rischio è quello di farci trascinare in una dialettica sterile e mistificatoria che riproduce una contrapposizione tra quelli che negano e supportano la mafia e coloro che invece la combattono.

Invece di concentrare l’attenzione sulla qualificazione giuridica data al gruppo di Buzzi e Carminati, si sarebbe dovuto dirigere il dibattito con altrettanto vigore sulle cause che hanno permesso il sorgere di tale sistema criminale. Sono state in larga parte ignorate le riflessioni che hanno cercato di accendere una luce sul tema della gestione del welfare a Roma.

L’azione penale è uno strumento fondamentale per il contrasto delle mafie, ma serve ragionare anche sul piano delle politiche pubbliche, altrimenti non si interverrà mai sui fattori di contesto che contribuiscono a creare condizioni per l’emersione di fenomeni criminali mafiosi o corruttivi. Non lasciamo che la vicenda di Mafia Capitale rimanga un’occasione persa per migliorare il dibattito sulle mafie.

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