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Antonio Iosa, un partigiano della legalità

Lorenzo Frigerio il . Giustizia, Memoria

Antonio IosaAntonio Iosa se ne è andato, al termine di un’ultima e silenziosa battaglia, quella condotta per riacquistare la salute perduta e ormai irrimediabilmente compromessa in questi ultimi mesi.

Iosa è stato per decenni un protagonista della vita pubblica della città di Milano: vittima del terrorismo rosso – fu gambizzato dai brigatisti il 1 aprile 1980 – si era anche impegnato in politica, prima nella Democrazia Cristiana e poi nel Movimento per la Democrazia – La Rete.

Antonio è stato soprattutto un uomo dotato di passione civile straordinaria, che trasfuse nell’animazione culturale della città di Milano (e non solo), a partire dalle attività del Circolo Carlo Perini, fondato nel 1962 nella periferia urbana, oggi divenuto Fondazione Carlo Perini, per finire all’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo.

Da oggi siamo tutti più soli, perché viene meno una voce libera, un partigiano della legalità, un testimone autentico dei valori costituzionali, impegnato per ben sessant’anni a insegnare con le parole e con i fatti la democrazia ad intere generazioni, compresa la mia.

Uno dei primi incontri pubblici a cui partecipai, infatti, fu proprio una conferenza da lui organizzata a Quarto Oggiaro con la presenza di Leoluca Orlando. Non ricordo se era il 1989 o il 1990, ma poco cambia perché da quel momento ebbi l’occasione di incontrarlo nuovamente nelle tante iniziative promosse a Milano e dintorni dalla Rete, il movimento guidato appunto dal sindaco di Palermo e che allora vedeva tra le sue file Nando dalla Chiesa, Antonino Caponnetto, Claudio Fava, Carlo Palermo e tanti altri uomini e donne con i quali avrei poi stretto legami importanti all’interno del movimento antimafia dei decenni successivi alle stragi.

Antonio non interveniva sempre in quei dibattiti, molti dei quali organizzava in perfetta solitudine, anzi erano più numerose le volte in cui ascoltava in silenzio e prendeva con pazienza appunti. Quando però interveniva, si creava subito silenzio e attenzione, perché tutti, in particolare quelli che erano giovani come me, sapevano che le sue parole sarebbero state da imparare e mandare a memoria.

Non aveva un carattere facile e non si nascondeva dietro troppi giri di parole. Se una scelta qualsiasi non lo convinceva, lo diceva senza fronzoli, anche a costo di andare contro il pensiero della maggioranza: lo fece nella DC e anche nella Rete, mai guidato da ambizioni o tornaconti personali, ma sempre per spirito di servizio alla causa in cui credeva.

Nei decenni recenti, fu critico nei confronti del pieno recupero alla vita civile degli ex terroristi, pur partecipando a percorsi di mediazione con alcuni di loro, incoraggiati anche dal Cardinale Carlo Maria Martini, perché voleva che avessero innanzitutto priorità di parola le vittime. Anche in questo caso, non era la sua una battaglia personale, ma piuttosto la profonda convinzione che andasse data piena cittadinanza prima alle ragioni delle vittime di terrorismo, mafie e stragismo e dei loro familiari, spesso e volentieri abbandonate all’oblio.

Era un uomo profondamente innamorato della sua famiglia e del suo Paese: basterebbe questa considerazione a spiegare la forza inarrestabile che lo spingeva ad andare avanti ogni giorno, nonostante i pesanti postumi dovuti all’evento traumatico subito. Passava ore intere al telefono e al computer per assicurarsi che tutti fossero informati delle iniziative e delle manifestazioni programmate. Politici, giornalisti, dirigenti e iscritti di associazioni erano i destinatari delle sue periodiche email o comunicazioni, alle quali non si poteva non rispondere che positivamente, visto l’entusiasmo che sapeva trasmettere.

La sua priorità, anche recentemente, erano i ragazzi nati negli ultimi decenni, perché temeva che la lontananza cronologica delle più terribili vicende di sangue legate a terrorismo e mafie fosse un ostacolo, non solo alla piena conoscenza della storia del nostro Paese, ancora oggi profondamente influenzato da quanto accadde allora, ma anche ad una loro consapevole cittadinanza. Per questo è sempre andato nelle scuole di ogni ordine e grado per portare la sua storia e quella delle altre vittime, suscitando sempre attenzione e mobilitazione nei giovani.

Antonio mi aveva fatto un grande regalo, più di un decennio fa, quando mi disse che sarebbe stato il caso nella nostra comunicazione di passare dal “lei” al “tu”, in ragione dell’amicizia e della comunanza di ideali costruitasi nel tempo. Per me fu un grande onore poterlo considerare tra gli amici, visto che da lui avevo imparato a volere bene alla democrazia e alle istituzioni.

Iosa mancherà tantissimo a me, a tanti di noi, perché viene meno un baluardo della vita civile, una boa sicura alla quale aggrapparsi per chiedere un consiglio o un parere, quando ci sono decisioni importanti da prendere.

Quanti hanno apprezzato le sue doti e hanno avuto il privilegio di camminare con lui, sanno anche però che Antonio non avrebbe consentito di indulgere troppo sul passato, anche straziante, ma avrebbe chiesto di rialzarsi e ricominciare da capo, con rinnovata energia.

Per questo, caro Antonio, asciugate le lacrime, si riparte e da oggi i tuoi valori, le tue battaglie saranno ancora di più i nostri valori, le nostre battaglie.

Grazie per quanto hai fatto per tutti noi, grazie perché sei stato un custode fedele della memoria, un testimone autentico dell’impegno.

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