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La “favoletta” del c.d. decreto bis e la realtà dell’ordine pubblico

Piero Innocenti il . Criminalità, SIcurezza

Tra le sconcertanti dichiarazioni che mi è capitato di leggere e di sentire in questi giorni a proposito dell’annunciato c.d. decreto bis sulla sicurezza del Ministro dell’Interno, ci sono le osservazioni fatte dal vice ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Edoardo Rixi nella intervista rilasciata al Corriere della Sera del 18 maggio scorso.

Alla domanda di cosa fosse “indispensabile approvare” nella ipotetica imminente riunione del Consiglio dei Ministri, l’esponente del Governo ha fatto deciso riferimento al “sicurezza bis” precisando che “è un provvedimento fondamentale a contrastare mafie e criminalità organizzata”.

Così, mentre a Napoli anche il  Ministro dell’Interno prometteva “un piano nazionale unitario contro le mafie”, sono andato a rileggermi lo schema del decreto legge in questione “recante disposizioni urgenti in materia di ordine sicurezza pubblica” pensando ad una mia imperdonabile disattenzione in occasione della prima lettura di alcune ore prima.

Dodici articoli in tutto senza, tuttavia, trovare tracce evidenti di lotta alle mafie e alla criminalità organizzata.

Immaginando che il provvedimento possa essere presentato subito dopo le imminenti lezioni europee, quando sarà, forse, più chiaro anche lo scenario politico nazionale, diamo conto, sinteticamente, di cosa tratta il decreto.

Con l’art. 1 si apportano modifiche al testo unico sull’immigrazione ed in particolare all’art 12 prevedendo sanzioni amministrative (di modesta efficacia deterrente) comminate dai Comandi delle Capitanerie di Porto a quelle navi che, soccorrendo migranti in mare,disobbediscono alle varie autorità (dello Stato di bandiera, di quelle responsabili delle varie aree Sar ecc..) con l’eventuale sospensione della licenza nel caso “di gravi e reiterate violazioni”.

Con l’art.2 si  modifica una norma del codice della navigazione (un Regio Decreto del 1942) prevedendo che sia il Ministro dell’Interno a limitare o vietare il transito di navi “nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica” informando semplicemente il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.

L’art.3 modifica la norma del C.P.P. in tema di attribuzioni del procuratore della Repubblica distrettuale sui delitti indicati nell’art.12 del testo unico relativi al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, mentre con l’art.4 vengono stanziati fondi per il triennio 2019/2021 per le operazioni sottocopertura per il contrasto all’immigrazione clandestina, anche in relazione all’eventuale concorso di poliziotti di altri Stati, con cui vi siano appositi accordi in tal senso.

L’art. 5 del decreto legge modifica alcuni articoli del TULPS (un Regio decreto risalente al 1931) prevedendo, tra l’altro, la reclusione fino ad un anno nelle ipotesi in cui i manifestanti a riunioni pubbliche commettano danneggiamenti (art.635 c.p) o peggio ancora, devastazioni (art.419 c.p.).

Inasprimento di pena (art.6) per coloro che, sempre in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, si “oppongano” al p.u. o all’incaricato di un pubblico servizio che compie un atto di ufficio o di servizio.

Con l’art.7 viene prevista l’istituzione di un Commissario straordinario per eliminare i ritardi (notevoli) che si rilevano (da tempo) nella esecuzione di condanne definitive.

L’art. 8 apporta alcune modifiche al codice penale sempre in tema di manifestazioni in luogo pubblico con relativi inasprimenti di sanzioni penali.

I rimanenti articoli sono “ininfluenti” rispetto al tema della sicurezza fatta eccezione per l’art.10 con cui si prevede l’incremento di 500 militari delle Forze Armate in occasione delle Universiadi di Napoli 2019.

Insomma, di norme finalizzate a combattere le mafie e la criminalità organizzata nessuna traccia.

Più sicurezza per vivere più tranquilli

“I reati quest’anno sono diminuiti del 15%. Nel dettaglio: rapine -20%, furti -15%, estorsioni -16%, omicidi – 12%, tentati omicidi -16%, violenze sessuali – 32%”. Sono alcuni dei dati forniti dal Ministro dell’Interno nell’intervista al Corriere della sera del 15 maggio scorso, in piena campagna elettorale.

I dati statistici annuali sull’andamento della delittuosità in Italia (elaborati dal Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale Polizia Criminale- Dipartimento della Pubblica Sicurezza-Ministero dell’Interno), di norma vengono pubblicizzati a metà dell’anno dopo quando si sono “stabilizzati” ed è, quindi, possibile un raffronto plausibile con quelli degli anni precedenti.

La tradizione, tuttavia, vuole che anche nel periodo di ferragosto ci sia la presentazione, sempre da parte del Ministro dell’Interno, del bilancio provvisorio sulle attività svolte ed i risultati conseguiti dalle forze di polizia sui fronti della prevenzione e  della repressione dei reati.

L’obiettivo resta sempre quello di evidenziare i risultati positivi da parte del Governo sul fronte della sicurezza che rimane quello tra i più sensibili per la collettività, soprattutto quando ci sono competizioni elettorali e bisogna rastrellare consensi. Competizioni che, come noto, sono piuttosto frequenti nel nostro Paese.

La situazione non è, tuttavia, tutta “rose e fiori” come si vorrebbe far credere. I dati statistici in questione si riferiscono, come già detto in precedenti occasioni, alle denunce presentate dai cittadini alla polizia o al pubblico ministero e non ai reati effettivamente consumati ed è (dovrebbe) esser noto che, spesso, chi è vittima di un reato evita di denunciarlo per vari motivi che vanno dal timore alla scarsa entità del danno subito, alla presenza sul territorio, vicino al cittadino, di un ufficio di polizia cui rivolgersi, alla vergogna, alla (quasi) certezza che la denuncia non porterà alla identificazione e punizione del responsabile che vuol dire diffidenza verso la giustizia.

I dati forniti nella intervista suindicata sono generici, parziali e se si fosse entrati nel dettaglio, per esempio nella categoria generale dei furti denunciati precisando quelli in abitazioni, avremmo avuto un quadro decisamente meno entusiasmante perché, nel primo trimestre del 2019, sono aumentati in alcune regioni.

E lo stesso vale per i borseggi, per le rapine in strada e per quelle in esercizi commerciali, per lo spaccio di stupefacenti, per lo sfruttamento della prostituzione. Ed in questi due ultimi ambiti criminali gli stranieri continuano ad avere un ruolo predominante (per inciso oltre il 30% dei detenuti nelle carceri italiane è straniero, dieci punti in più rispetto alla media europea).

Ci troviamo, alla fine, con dati che indicano una “criminalità legale”, quella cioè di cui si dispone di una traccia ufficiale (la denuncia) e di una “criminalità reale”, molto più ampia, senza alcuna traccia ma che incide sulla vita dei cittadini rendendo il Paese meno sicuro di quello che si vorrebbe far credere citando semplicemente alcuni dati statistici.

Anche su questo bisognerebbe riflettere per elaborare strategie anticrimine più efficaci.

Sulla sicurezza pubblica e le ordinanze prefettizie

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