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Peppino Basile inserito nell’elenco delle vittime innocenti di mafia

Marilù Mastrogiovanni il . Corruzione, Criminalità, Giustizia, Mafie, Politica, Puglia

il-sistema-libro-peppino-basile-di-mastrogiovanni-765x510Il Tacco d’Italia ha portato avanti in totale solitudine una campagna d’informazione durata 11 anni. Oggi passiamo la staffetta ai piccoli “figli di Peppino”.

Chi ha ucciso Peppino Basile?

Chi sono i mandanti, chi sono gli esecutori? In quale contesto è maturato il suo assassinio? A chi ha dato fastidio? Adesso con più forza possiamo pronunciare, tutti insieme, queste domande, Peppino Basile è stato inserito nel lungo elenco delle “vittime innocenti delle mafie” che sarà letto il 21 marzo prossimo a Padova, in occasione della “Giornata della memoria e dell’impegno” promossa da Libera.

Con il mio giornale, il Tacco d’Italia, non ho mai smesso di chiedere Verità e Giustizia per Peppino Basile, ucciso con decine di pugnalate dinanzi alla porta di casa sua, nella notte tra il 14 e il 15 giugno di 11 anni fa.

Quello che ho pubblicato dopo, è stato il frutto di un impegno costante e fastidioso: una spina nel fianco della Procura di Lecce.

Ho pubblicato numeri speciali monotematici, un libro, servizi televisivi. Ho fatto arrivare nel Salento colleghi da tutta Italia, di tutti i network. Più di recente, ho lanciato una petizione che ha raccolto quasi 35.000 firme.

Le persone attorno al Tacco e attorno a me, via via si sono rese evanescenti, i rapporti si sono sfilacciati. Chi chiedeva Verità e Giustizia ha cominciato a chiedere un “favore” ai politici, e quando il favore è stato ottenuto, la mente s’è distratta a tal punto da dimenticare Peppino.

C’è invece chi non si è piegato, come Gianni D’Agata e Francesco D’Agata del “Comitato Pro Basile”, che hanno mantenuto l’impegno “per non dimenticare” con azioni forti, chiedendo al Ministero di Grazie e Giustizia sindacati ispettivi presso la Procura di Lecce. C’è chi come Vito Rizzo, portavoce del Comitato Io Conto, nato all’indomani dell’omicidio di Peppino, non ha mai smesso di ricordare e di chiedere “conto”: ogni anno in occasione dell’anniversario della morte ha tappezzato tutto il paese di Peppino, Ugento, con dei manifesti in cui chiedeva Verità e Giustizia.

Vito Rizzo ha pagato caro il suo impegno, ma può guardarsi allo specchio e può guardare negli occhi le sue figlie. Come caro l’ha pagato don Stefano Rocca, infangato con accuse inesistenti, isolato, esiliato dalla chiesa solo perché durante la messa chiedeva ai suoi cittadini di parlare, di rompere il muro di omertà.

Gli altri invece hanno portato fiori sulla tomba, nella speranza di sotterrare anche la memoria. Non sapendo che la memoria e le inchieste, quando si fondano sulla Verità dei fatti, hanno gambe proprie.

Quella memoria è stata alimentata da tante ragazze e ragazzi del Salento: nelle scuole, nelle piazze, da diversi anni si approfondisce la storia di Peppino, si leggono le inchieste che noi del Tacco d’Italia abbiamo fatto con la sua collaborazione. Perché Peppino, da consigliere comunale d’opposizione (nelle liste di Italia dei Valori) era un whistleblower, una fonte qualificata e nascosta del Tacco: con Peppino abbiamo realizzato inchieste investigative importanti, per cui ci siamo fatti non pochi nemici e abbiamo pagato prezzi altissimi. Quello che è accaduto in quegli anni, le difficoltà, le minacce, l’ostinazione, gli scoop, li trovate nel documentario di Rai1 “Cose nostre – Scacco al Tacco”.

Per anni siamo rimasti inascoltati, finché un po’ di polvere depositata sui fatti li ha fatti brillare ancora più vividi, come quando un improvviso raggio di luce colpisce i granelli di pulviscolo sospesi nell’aria e tu vedi quello che prima non vedevi, ma era lì.

Le studentesse e gli studenti del Liceo Rita Levi Montalcini di Casarano (Le) due anni fa per la manifestazione del 21 marzo hanno sfilato con il nome di Peppino Basile sugli striscioni, riconoscendolo vittima innocente di mafia. L’anno dopo altre scuole, anche scuole medie ed elementari, hanno studiato le sue battaglie, hanno parlato di speculazioni edilizie nel parco regionale di Ugento, hanno parlato della discarica di Burgesi, di smaltimento di rifiuti pericolosi e tossici quale il pcb fatto per le aziende del nord da altre aziende riconducibili ai clan della sacra corona unita.

Attraverso la memoria di Peppino le scuole stanno riuscendo a lavorare sul senso civico dei bambini e sul concetto di “bene comune”, facendo sì che il bene comune venga riconosciuto nella quotidianità, nel vissuto, nelle spiagge, nel mare, negli ulivi, nei beni architettonici. In una parola: nella Bellezza.

Nei suoi comizi Peppino diceva che “qui non c’è la mafia, c’è il sistema”“Il Sistema” è il libro in cui ho raccolto le inchieste realizzate dal Tacco con la collaborazione di Peppino Basile.

All’indomani della sua morte siamo andati alla ricerca delle sue piste, ripercorrendole, analizzandole tutte con occhi nuovi. Con Ada Martella e Giancarlo Colella abbiamo passato al setaccio appalti, bandi, incarichi. Abbiamo aperto armadi della vergogna grandi quanto l’intero palazzo comunale ugentino. Mi sono riletto i verbali dei consigli comunali dell’ultimo anno prima della sua morte e ho pubblicato i passaggi più inquietanti: dialoghi densi di frasi minacciose, denigratorie, con cui si irrideva “il masaniello di Ugento”.

La sua è stata una morte annunciata e le piste, per chi ha occhi per vedere, arrivano fin dentro al Palazzo. Ho analizzato oltre 300 verbali di persone sentite dagli inquirenti per avere sommarie informazioni su quello che stavano facendo in quei pochi minuti subito prima e subito dopo l’assassinio. Per vedere quanto fosse verosimile il quadro accusatorio della Procura, tracciando un puzzle degli spostamenti degli abitanti del paese da cui emergeva che l’ipotesi non reggeva.

“Dovrete passare sul mio cadavere”, disse Peppino in uno dei suoi ultimi discorsi pubblici. Quindici giorni prima della sua morte comparvero sui muri di Ugento le frasi “Peppino devi morire”, “Peppino morte”, e lui la sera prima di essere ucciso fece un sopralluogo all’impianto di stoccaggio realizzato con soldi pubblici e mai utilizzato, vandalizzato dopo la sua morte, ma integro e pronto per partire quando l’abbiamo fotografato noi. Abbiamo anche pubblicato le foto dei camion dell’allora Geotec, la ditta della famiglia Rosafio-Scarlino, la famiglia del boss Pippi Calamita, che usava quell’impianto, chiuso e inagibile, come fosse roba sua.

Da oggi si cambia passo.

Da oggi tutti devono chiedere senza paura Verità e Giustizia per Peppino. Come già da anni fanno tanti bambini e bambine, studenti e studentesse con i loro docenti.

Senza paura loro lo fanno da anni.

Peppino non aveva figli.

Quei bambini e quelle bambine possono a pieno diritto essere considerati gli eredi naturali delle sue battaglie per il bene comune. E non credo che quei piccoli “figli di Peppino” si faranno zittire.

Il futuro è loro.

Qui, tutti gli articoli su Peppino Basile

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