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Tratta esseri umani, i modesti risultati dell’operazione Sophia

Piero Innocenti il . Migranti

EUNAVFORLa Germania, dunque, ha deciso di ritirarsi dalla operazione navale EunavforMed-Sophia in svolgimento da oltre tre anni e mezzo nel Mediterraneo, motivando questa decisione con l’atteggiamento “intransigente” del nostro Governo sulla questione migranti.

L’operazione europea, a guida italiana, alla quale partecipano con assetti navali ed aerei 26 Nazioni, non per questo sarà meno incisiva  di quanto lo sia stato sino ad ora in relazione agli obiettivi che avrebbe dovuto conseguire sin dall’inizio, a metà del 2015.

Un sintetico riepilogo può aiutarci a comprendere meglio quanto avvenuto in questo arco temporale.

La missione EunavforMed doveva realizzarsi attraverso tre fasi, adottando “..misure sistematiche per individuare, fermare ed eliminare imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai passatori o dai trafficanti..” (art.2 della Decisione 2015/778del Consiglio dell’UE del 18 maggio 2015).

Alla fase uno, terminata poi nell’ottobre del 2015 e finalizzata “alla individuazione e monitoraggio della rete di migrazioni attraverso la raccolta di informazioni e il pattugliamento in alto mare di imbarcazioni sospette di essere usate per il traffico e la tratta di esseri umani, alle condizioni previste dal diritto internazionale..”, era seguita la fase due, che consentiva agli equipaggi delle navi impegnate nella operazione di procedere “..a fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti in alto mare di imbarcazioni sospettate  di essere utilizzate dai trafficanti…”.

Sarebbe stato possibile svolgere tali attività nelle acque territoriali e interne di uno Stato dopo una eventuale risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (non è stata mai adottata) o con il consenso dello Stato costiero (mai avuto dalla Libia, il Paese da dove sono partite, negli anni, la stragrande maggioranza delle imbarcazioni cariche di migranti).

Durante la fase uno, non risultano né scoperte né reti monitorate di migrazioni per il semplice motivo che queste sono operative sulla terraferma, in Libia e in diversi Paesi, anche del centro Africa, come è noto a chi segue queste vicende da anni. Le varie cellule che compongono l’articolato e diffuso sistema criminale che si occupa di trasferire i migranti da un paese all’altro, si possono individuare solo con lunghe, difficili indagini di polizia giudiziaria (non certo con il pattugliamento in alto mare) e con la collaborazione (modesta, spesso completamente assente) degli altri Paesi di origine e di transito dei migranti.

Più semplice, alla fine arrestare gli “scafisti”, quelli cioè che hanno pilotato le imbarcazioni (circa seicento negli ultimi tre anni, in prevalenza gambiani e tunisini) ed è stata attività, in prevalenza svolta a terra dal personale della Polizia di Stato, subito dopo gli sbarchi. Difficile individuare i capi (in Libia, diversi capi tribù gestiscono loro stessi il traffico di migranti), i facilitatori, gli addetti alla vigilanza a terra ecc..

Basta leggere i verbali delle “interviste” fatte dai funzionari di Frontex alle persone sbarcate sulle nostre coste, in cui vengono citati personaggi con anonimi Clay, Abdou, Mohamed, solo per citarne alcuni. A nulla servono i numeri dei cellulari contattati dai migranti per richiedere il “servizio” di trasporto in mare ( talvolta il pagamento avviene anche con il primitivo sistema hawala, basato sulla fiducia). Le schede, infatti, intestate a nomi fittizi, vengono usate per un paio di giorni e quindi buttate.

Resta anche il mistero di quali siano state le risoluzioni dell’ONU e quali consensi siano stati espressi dagli Stati costieri per indurre il Consiglio dell’UE a far passare, sin dall’ottobre del 2015, la transizione oltre la prima fase di EunavforMed che, comunque è stata anche impegnata nelle operazioni di soccorso in mare (ed in questo, di sicuro con risultati apprezzabili) in virtù di obblighi derivanti da Convenzioni internazionali alle quali non ci si può sottrarre.

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