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Migranti: protezione internazionale e allontanamento dei “problematici”

Piero Innocenti il . Migranti

migranti-6Con il trascorrere dei giorni e con la diramazione di diverse circolari ministeriali esplicative sull’applicazione del decreto legge Salvini (per intenderci quello dell’ottobre scorso, sulla sicurezza e immigrazione, convertito dalla legge 1 dicembre 2018, n.132) si comprendono meglio alcune restrizioni introdotte dal provvedimento nella “giungla” di norme nazionali e comunitarie che hanno regolato (e regolano) l’immigrazione, nel suo complesso, nel recente passato.

Una ”giungla” legislativa, già difficile da penetrare  per molti studiosi e tecnici del “diritto delle migrazioni”, nella quale stanno per essere proiettati 169 funzionari amministrativi, personale “altamente qualificato”, destinati, in via esclusiva, alle Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale (previste dall’art.4 del decreto legislativo 25 gennaio 2008, n.25). L’obiettivo dichiarato è quello di velocizzare al massimo (“rapido abbattimento”) l’esame delle domande di protezione internazionale pendenti e, per conseguire ciò, l’art.9 comma 2 bis del decreto suindicato, ha previsto la possibilità, a decorrere dal primo gennaio scorso, della istituzione temporanea (otto mesi)  di ulteriori dieci Sezioni delle suddette Commissioni territoriali.

La finalità, non dichiarata, è quella di dare una bella “sforbiciata” alle richieste pendenti di protezione, riducendole al “minimo”, dopo aver già “ridimensionato” la protezione umanitaria, enucleando alcune tipologie di permessi di soggiorno “speciali” per esigenze di carattere umanitario (cure mediche, protezione sociale, situazione di calamità, sfruttamento del lavoratore straniero, atti di particolare valore civile). Si tratterà, poi, di vedere come si svolgerà il delicatissimo servizio cui sono chiamati i suddetti funzionari, la cui assegnazione è prevista entro febbraio prossimo, dopo soltanto quindici giorni di formazione teorico pratica presso la sede residenziale romana, nella ex Scuola Superiore dell’Amministrazione Civile dell’Interno.

Ma, tornando alla protezione internazionale, il decreto Salvini ha “ripescato” una norma comunitaria, (l’art.8 della Direttiva 2011/95/UE già peraltro recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo del 21 febbraio 2014, n.18 relativo alla “protezione interna al Paese di origine”) mai applicata in passato dagli altri Governi. In sostanza si stabilisce (art.10, comma 1 lettera a), che la Commissione territoriale debba rigettare la domanda di protezione qualora in una parte del Paese di origine ricorrano le seguenti condizioni: 1) il richiedente non ha fondati motivi di essere perseguitato o non corre il rischio effettivo di subire danni gravi o ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi; 2) può legalmente e senza pericolo recarsi in quella area ed esservi ammesso; 3)si può ragionevolmente supporre che vi si possa stabilire. Vi è, naturalmente, l’obbligo di acquisire informazioni precise e aggiornate ( penso all’UNCHR e all’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo) sulla situazione dell’area di provenienza del richiedente e su quella di eventuale ricollocazione.

Insomma, pare di  capire, che lo straniero debba tornare nel suo Paese se c’è una porzione del territorio considerata “sicura” anche se nella restante parte ci sono persecuzioni, lotte tribali, magari rivolte ecc..

La prova della ricorrenza delle suddette condizioni integrative  richiede, come si comprende bene, un attento esame della situazione personale e familiare del richiedente ed una approfondita valutazione delle informazioni sul Paese di origine, come sottolinea la nota di questi ultimi giorni della Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo (Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione-Ministero dell’Interno) inviata ai 37 Prefetti e altrettanti Presidenti delle Commissioni e Sezioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.

Sempre più difficile, dunque, e non solo da noi, ottenerla.

Gli “allontanamenti” dall’Italia dei cittadini comunitari “problematiciper l’ordine pubblico

Ai fini di un’azione di prevenzione generale più incisiva occorrerebbe prendere in considerazione anche la situazione che riguarda quei cittadini comunitari che delinquono nel nostro Paese.

In particolare, sarebbe opportuno rivedere la disciplina  legislativa che prevede l’adozione di provvedimenti di “allontanamento” per motivi, appunto, di prevenzione generale, basati su una minaccia effettiva e attuale. La materia è regolata dalla direttiva comunitaria 2004/38 relativa al diritto dei cittadini dell’UE e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, dal d.lgs 6 febbraio 2007 n°30 e successive modifiche, dalla legge 2 agosto 2011 n°129 di conversione del d.l.23 giugno 2011 n°89.

Si tratta, come si può intuire, di materia delicata che vale la pena di esaminare, sia pure sinteticamente, perché non sono pochi i cittadini di alcuni Paesi dell’UE che commettono anche gravi delitti in Italia e che potrebbero (dovrebbero) essere destinatari di solleciti “allontanamenti” mentre, in realtà, per una procedura farraginosa, estremamente garantista e anche per risorse umane della polizia di stato insufficienti, tali provvedimenti, in generale, vengono poco adottati.

Dando uno sguardo ai dati di alcune Questure, emerge che, nel decorso anno, tali provvedimenti si contano sulle dita delle mani ( in alcuni casi non si contano neanche) mentre, in realtà, i potenziali destinatari potevano essere di gran lunga superiori. Quantomeno per i provvedimenti di allontanamento per “motivi imperativi di pubblica sicurezza” e quelli per “altri motivi di ordine pubblico o pubblica sicurezza”. Quanto ai primi, adottati dal Prefetto del luogo di residenza o di dimora dell’interessato ( dal Ministro dell’Interno se si tratta di un minore o di una persona che ha soggiornato in Italia nei dieci anni precedenti), deve trattarsi di comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e sufficientemente grave ai diritti fondamentali della persona.

In questa situazione, per valutare l’effettiva pericolosità, si deve tener conto di eventuali condanne ( provenienti anche da un giudice straniero) per uno o più delitti non colposi, di eventuali condanne che comportano la privazione della libertà per pene pari o superiore a tre anni, dell’appartenenza a taluna delle categorie  indicate nell’art.1 del D.l.vo 6 settembre 2011 n°159 ( noto come Codice antimafia), di eventuali misure di prevenzione o provvedimenti di allontanamento adottati da autorità straniere. Relativamente alla seconda tipologia di provvedimenti suindicati, si tratta di persone che non rientrano nelle fattispecie sopra citate ma la cui permanenza sul territorio nazionale comporta un rischio grave e attuale per la società civile. Provvedimenti, questi ultimi, che proprio in relazione ai presupposti generici richiesti sembrerebbero di più facile adozione. Ma non è così.

Dovendo rispettare molteplici principi (quello di proporzionalità tra l’allontanamento e la condotta censurata, di  motivazioni che non siano di ordine economico né esterni al comportamento individuale dell’interessato ecc..) e valutare la “situazione di fatto” in cui si trova il cittadino comunitario (durata del soggiorno in Italia, età, situazione familiare ed economica, stato di salute, il livello di integrazione sociale e culturale in Italia ecc..), si comprende come sia davvero complicato adottare un provvedimento del genere.

Se, poi, a questi presupposti giuridici si sommano quelli connessi alla situazione generale delle risorse umane nelle varie Questure che nelle situazioni in questione debbono provvedere alla vigilanza dei cittadini comunitari accompagnati in ufficio in attesa della “trasferta” nella sede della Sezione specializzata del Tribunale per la convalida del provvedimento (competenza introdotta dal d.l. n°13/2017, convertito dalla legge n°46/2017) per proseguire, poi, all’eventuale trasferimento in un aeroporto per rendere effettivo l’allontanamento, si comprende bene come tutto questo renda davvero problematico l’intero iter e, scoraggi, alla fine anche l’attenzione degli organismi di polizia sui cittadini comunitari “problematici” per la sicurezza e l’ordine pubblico.

Immigrazione: dallo SPRAR al SIPROIMI

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