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“La storia dell’educazione alla legalità è la storia del nostro Paese”

Martina Mazzeo il . Giovani

legalita“Studiare la storia dell’educazione alla legalità nella scuola italiana è un po’ come studiare sotto una specifica prospettiva la storia stessa del Paese. Come riviverne il tratto più recente, passando tra i suoi momenti tragici e i momenti delle grandi speranze civili”. Così ha scritto Nando dalla Chiesa, direttore della ricerca sulla storia dell’educazione alla legalità nella scuola italiana, commissionata dal MIUR al centro di ricerca CROSS dell’Università degli Studi di Milano.

I risultati della ricerca sono stati presentati lo scorso 22 ottobre in Regione Lombardia alla presenza del Ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, del Rettore UNIMI Elio Franzini, del Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho, della presidente della Commissione Regionale Antimafia Monica Forte e della direttrice del dipartimento di Studi Internazionali, Giuridici e Storico-Politici Ilaria Viarengo.

Una storia che, sempre il direttore, ha definito “in filigrana” perché ripassandola “si rivedono gli eroi della Repubblica, il peso morale delle sconfitte, la voglia di reagire della parte migliore del Paese, la fioritura dell’associazionismo antimafia, le amministrazioni locali che suppliscono alle assenze di Stato, le confische dei beni mafiosi, le generazioni di testimoni, familiari di vittime soprattutto, le trasformazioni avvenute nella consapevolezza pubblica, indotte da questa medesima storia che scorre. Anche le nuove sensibilità ministeriali. Si vedono soprattutto decine di migliaia di insegnanti e centinaia di migliaia di studenti, dalle scuole elementari alle superiori, portatori di un’altra idea di democrazia e di istituzioni […]in un rincorrersi continuo di invenzioni e di progetti educativi, qua e là con le loro stanchezze di modelli di riferimento e di buone pratiche e – perfino – i loro cenni di ritualità. Ma complessivamente un grande fiume pedagogico che scorre nel cuore della società italiana, la quale purtroppo non sembra a sua volta avere percezione precisa di quanto le accade dentro”.

Il progetto ha impegnato il gruppo di ricerca dell’Osservatorio CROSS per due anni, tra il 2016 e il 2017, e ha preso le mosse da un protocollo di intesa tra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e l’Università degli Studi di Milano, che ha portato nell’anno accademico 2014-2015 alla istituzione, presso la facoltà di Scienze politiche, di un corso di Sociologia e metodi di educazione alla legalità. Originariamente prevedeva di includere in un campione sei regioni italiane: tre del Sud (Calabria, Campania e Sicilia), le stesse che per prime si sono dotate anche di una strumentazione legislativa di sostegno; e – con funzione di confronto – tre del Nord (Emilia-Romagna, Lombardia, e Piemonte), nelle quali si è storicamente registrata una più intensa attenzione e partecipazione rispetto ai temi dell’educazione alla legalità e dell’antimafia già dall’inizio del decennio Ottanta. Lo spettro della ricerca è stato poi ampliato con uno studio maggiormente sintetico dedicato alle esperienze di educazione alla legalità nell’intero paese.

Si tratta di una ricerca sul campo condotta principalmente attraverso interviste in profondità in cui hanno importanza primaria le fonti orali. Ciò per due ragioni: sia per supplire alla grave mancanza di materiale scritto sia perché i movimenti di lotta contro la criminalità organizzata di stampo mafioso sono tendenzialmente movimenti fatti “da” e “di” persone e in quanti tali traggono spinta e spirito innovativo proprio dall’iniziativa e dall’esperienza di singole individualità.

Andare nei luoghi, secondo il principio di Erodoto: vedere, incontrare, conoscere le persone, riuscire a costruirci una particolare confidenza, un legame di reciproca fiducia, passando anche intere giornate insieme. Sta qui la bellezza di questo lavoro: nell’avere coinvolto le persone, cioè di essere stata per molti testimoni un motivo per ripensare a sé, al lavoro svolto, finendo per trasformarsi in un impegno anche per loro dal momento che si chiedeva di documentare la propria testimonianza con materiale fotografico e iconografico. Per molti è stato un modo per rimettersi in discussione. Alcuni durante l’intervista si commuovevano, altri si riscoprivano nel loro ruolo e ne erano fieri o grati. Poi ci sono anche altri che invece non si sono resi disponibili, chi per disinteresse, chi per mancanza di tempo. Sappiamo che la nostra richiesta di intervista era onerosa e per questo vogliamo pubblicamente ringraziare tutte le persone a vario modo coinvolte.

Ma sappiamo anche che per noi è stato determinante raccogliere le testimonianze di quei soggetti che nella società più vasta non avevano e non avrebbero avuto voce. Questi sono stati gli insegnanti per noi, specialmente quei docenti (e quelle docenti) meridionali, tanto bistrattati da una opinione pubblica che li vede indolenti e pigri, “esclusi dai documenti ufficiali della storia” – come una volta ha osservato Ombretta Ingrascì – e che invece hanno silenziosamente scritto un pezzo della nostra storia nazionale recente, fatto innovazione didattica e pedagogica, difeso i valori della democrazia nei più alti momenti di scontro con il potere mafioso.

Quella che abbiamo cercato di ricostruire è quindi una storia di lotta, di conflitti, di resistenza, portata avanti da persone che credevano davvero che un altro mondo è possibile. “Inventori del presente” per usare le parole del sociologo Alberto Melucci. Persone che hanno combattuto nel loro tempo per inventare qualcosa che non c’era e che oggi, con un po’ di sufficienza, tendiamo a dare per scontata o a derubricare, se non addirittura a svilire, come contenuti inoffensivi o neutrali. Riscopriamola.

Vi rimandiamo alla lettura dell’introduzione della ricerca, scritta dal prof. Nando dalla Chiesa. A breve sarà disponibile la versione integrale.

Sintesi del rapporto di ricerca

 

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