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Cinemovel e percorso Memorie in Movimento

Luca Cereda il . Cultura, Giovani, Lombardia, Mafie, Società

IMG_20180718_213245 Negli anni ’90 un’operazione della questura, denominata “Operazione Wall Street”, ha portato al sequestro nel territorio lecchese di numerosi beni posseduti dalla criminalità organizzata. Tra questi una villetta a Galbiate, appartenente alla famiglia del potente boss nella ‘ndrangheta Franco Cocco Trovato. Dopo la confisca, il Comune di Galbiate ha risolto l’ipoteca che gravava sull’edificio, diventando così proprietario del bene.

Dal 2004, la villetta ospita il Centro Diurno Integrato per Anziani “Le Querce di Mamre”, gestito dalla Cooperativa lecchese “L’Arcobaleno”.

Entrando dal cancello principale lo sguardo è attratto dalla rappresentazione di una grande quercia che ricopre tutta la facciata. Questo albero ha un tratto caratteristico: la sua chioma è composta da tante parole, segni che fanno parte della storia di quel bene confiscato alla ‘ndrangheta e che danno voce al percorso di lotta per la giustizia sociale, obiettivo – come ricorda Don Luigi Ciotti – da perseguire attraverso lo strumento della legalità. Bellezza, uguaglianza, povertà, speranza, paura, fragilità, coraggio. Spicca tra di esse un nome in particolare: Memorie in Movimento.

MeMo – Memorie in movimento, inaugurato all’inizio del 2018, è un percorso multimediale ideato e realizzato da Cinemovel Foundation.

Gli studenti e gli insegnanti – l’idea è quella di aprire presto questo percorso anche ai cittadini privati – sperimentano un nuovo modello di avvicinamento ai temi della legalità, della memoria e dell’incontro tra generazioni. Grazie alla collaborazione con Rai Teche, le immagini in movimento, il linguaggio globale più condiviso oggi, diventano strumento e filo conduttore delle storie che i muri di questa palazzina raccontano ai giovani. Al centro del progetto c’è il bene confiscato alla famiglia ‘ndranghetista, poiché le sue pareti sono una traccia tangibile della presenza della ‘ndrangheta in Lombardia, e al tempo stesso esempio di “buona pratica” resa possibile dalla legge 109, la cosiddetta “Rognoni-La Torre”. Questa norma, su iniziativa di Libera, dal 1996 con il 416-bis prevede non solo la confisca dei beni per tutte le associazioni riconducibili a quelle di tipo mafioso ma anche il riutilizzo con scopi sociali. Come avviene nella villa di Galbiate.

Attraverso un processo partecipativo i ragazzi e gli ospiti del Centro Diurno sono coinvolti nella visione di un racconto multimediale che mira a far comprendere i fenomeni mafiosi, e ad illustrare il riscatto di individui e comunità. La forma della narrazione è quella di storie ed immagini in movimento che diventano strumento e filo conduttore che connette gli anziani del centro e il bene confiscato di Galbiate con i racconti fatti da giornalisti, autori e membri della società civile come Carlo Lucarelli, Pierfrancesco Diliberto (PIF), Giuseppe Marrazzo, Enzo Biagi e Don Luigi Ciotti, che spiegano e descrivono la lotta alla mafia ed i valori trasmessi dall’impegno di uomini come Pio La Torre e delle forze dell’odine ogni giorno. Al sud come al nord. Contro ogni tipo di mafi a e di atteggiamento mafioso.

Tra i contenuti ci sono anche delle interviste ai sindaci della cittadina del lecchese e ai membri del consiglio comunale che all’inizio degli anni duemila si sono trovati a dover affrontare una sfida davvero grande: la villa era stata svuotata dalla famiglia e lasciata in pessime condizioni, dovute anche dall’abbandono per quasi un decennio e su di essa pendeva un’ipoteca da riscattare. Inattivo, inoperoso ed infruttuoso: il rischio che la mafia avesse reso arido un posto che sia per diritto che per volontà di tutti doveva tornare alla collettività, era davvero altissimo.

Viene trasmessa quindi la testimonianza di un membro del consiglio comunale che racconta di come all’epoca, da più parti, si pensasse di vendere quella villa al fine di usare non il posto ma il ricavato per delle azioni utili alla cittadinanza. Fondamentale – ricorda – l’intervento di Don Luigi Ciotti che fece presente che innanzitutto quel bene era un simbolo, un simbolo potente che dimostra che se siamo uniti come comunità possiamo far nascere un progetto sociale, utile e per questo bello, laddove si progettavano assassini e si organizzavano scambi di droga. In uno dei primi sopralluoghi degli architetti del comune era stato rinvenuto un bunker nascosto ed interrato, covo e centro operativo della ‘ndrina dei Cocco Trovato. Inoltre, sottolineò ancora il fondatore di Libera, mettere quel bene, quel segno di legalità e di giustizia all’asta significa esporsi alla recupero mafioso del patrimonio confiscato attraverso prestanome.

“Allora ho capito” – dice sorridendo il consigliere comunale: ho capito il valore di quel luogo e l’impegno che tutto il territorio doveva mettere al servizio della rinascita di quel luogo.

Ora, al posto del bunker c’è una palestra attrezzata per gli anziani del centro, e quel luogo, da spazio occulto si è trasformato nel posto più luminoso della struttura, con le sue empie vetrate che danno direttamente sul giardino della villa. Il bunker è il segno tangibile del passaggio della mafia ed allo stesso tempo è la testimonianza di come il ‘Noi’ di una comunità vinca sull’’io’, sulla corruzione e l’egoismo della mafia e degli atteggiamenti mafiosi che portano alla corruzione ed alla collusione ancora oggi. Per questo il centro “Le Querce di Mamre” ed il percorso di MeMo hanno un valore emblematico: sono memoria in movimento.

IMG_20180718_203112“MeMo è il risultato di un percorso avviato da Cinemovel nel 2006 – così parla Elisabetta Antognoni, presidente di Cinemovel – con le prime tappe di Libero Cinema in Libera Terra, il Festival di cinema itinerante contro le mafie. Porta con sé le tracce dei chilometri percorsi in tredici anni di cinema itinerante sui beni confiscati, degli incontri vissuti lungo il cammino e di un agire di frontiera tra tradizione e innovazione, tra nuove tecnologie e comunicazione sociale. MeMo rappresenta un nuovo modello di coinvolgimento per le scuole, facilitando l’avvicinamento ai temi e il confronto tra generazioni. L’obiettivo comune, con la Cooperativa L’Arcobaleno e i partner del progetto, è dar voce a un bene confiscato, avviando un dialogo tra gli studenti del territorio e le storie di riscatto dalla violenza mafiosa”.

Nel parco dell’ex villa mafiosa è allestito un altro ‘segno’ di legalità: di fianco al maxi-schermo assemblato con maestria e perizia tecnica, c’è il furgone di Cinemovel – Libero Cinema in Libera Terra che per il tredicesimo anno attraversa l’Italia, e non solo, per oltre 8000 chilometri diventando così il simbolo della memoria in movimento. Sul quello schermo a Galbiate così come nei tanti paesi attraversati dalla carovana, vengono proiettati film e documentari tra cui “L’ordine della cose” di A. Segre, “Rifiutopoli. Veleni ed Antidoti” e “Prima che la notte” di D. Vicari sulla storia Pippo Fava, giornalista ed editore de ‘I Siciliani’, ucciso dalla mafia catanese.

A Galbiate va in scena “Oltremare” di L. Bianconi. Quella che racconta questo film è una storia in bianco e nero, ma non per questo poco attuale: la narrazione ha origine nell’Italia degli anni ’30, nel piccolo paese di Borgo Tossignano, non lontano da Imola, che vede una parte dei suoi abitanti emigrare nelle Colonie dell’”Impero Italiano d’Africa”, spinti dalla miseria o dallo spirito di avventura. Convinti dalla propaganda fascista del mito della terra promessa, vanno a prendersi il loro “posto al sole”. Ma il sogno si spezza dopo qualche anno soltanto di duro lavoro. La seconda guerra mondiale provoca la perdita delle Colonie, costringendo alcuni alla prigionia nei campi di lavoro inglese e obbligando altri a ritornare a Borgo, malvisti e senza più nulla.

La loro epopea è svelata dalle parole, dalle memorie scritte e dalle centinaia di fotografie di alcuni abitanti. La storia si dispiega in un percorso intimo che offre una parola a lungo taciuta.

Il film porta a esplorare quel pezzetto di Italia che questi uomini e donne hanno portato con sé in Africa. Le tracce che vi hanno lasciato. Piccole vicende personali si intrecciano con gli eventi drammatici della grande Storia, che emerge puntualmente attraverso le immagini d’archivio.

Queste immagini ci riportano necessariamente ad oggi, dove il migrante è un numero, un oggetto che si può spostare o che si deve respingere perché di quegli “oggetti” ce ne sono già troppi. Il racconto che prende forma in quelle lettere ed in quelle testimonianze ci offre l’occasione di ricordare che ogni migrazione, degli italiani in Etiopia ed Eritrea in quegli anni ed il successivo ritorno in patria senza più nulla se non il marchio di ‘reietti’, così come quelle di oggi hanno un denominatore comune: le storie di uomini e donne, esseri umani che si muovono nella Storia più grande. Donne e uomini in cerca di un sogno, di una speranza, di un’occasione di lavoro, di vita, un’opportunità che li obbliga a muoversi e a spostarsi, a sradicarsi, a rischiare tutto.

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