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Chi è quel Salvatore Giuliano che vuole morto Paolo Borrometi?

Valentina Tatti Tonni il . Sicilia

paolo-borrometiPaolo Borrometi, se dovessi spiegare a qualcuno che non ne sa nulla di mafia, chi è e che cosa fa Salvatore Giuliano, cosa diresti?

Direi che sta togliendo il presente e il futuro ai cittadini della sua realtà. Direi che è colui il quale con la sua attività commerciale e imprenditoriale, nella quale figurava come un umile operaio poiché l’aveva intestata al figlio, voleva tentare di inquinare una filiera straordinaria – qual è quella del pomodorino ciliegino di Pachino – in una filiera di mafia. Direi che è colui il quale continua ad imporre ai cittadini di Pachino, e più in generale ai cittadini della provincia di Siracusa, le estorsioni, il pizzo, che cerca di influenzare la politica ed eleggere sindaci a lui amici, non per il merito ma per la politica clientelare dei favori. Direi questo.

Era del 10 aprile 2018 la notizia di un omicidio sventato, anzi di sei omicidi sventati, un attentato in piena regola come non si vedeva dagli anni delle stragi. A ipotizzarlo e organizzarlo, un uomo, il padrino dei Giuliano di Siracusa, Salvatore, che probabilmente provato dai colpi di penna inferti dal giornalista modicano Paolo Borrometi, pur di farlo tacere non aveva trovato altra soluzione se non quello di farlo uccidere.

In febbraio la polizia aveva intercettato una telefonata in cui Giuseppe Vizzini, un fedelissimo di Giuliano diceva: “Devi colpire a questo, bum, a terra. (…) Ogni tanto un murticeddu vedi che serve… per dare una calmata a tutti”.

Il boss si dà il suo da fare e del gesto incarica gli assassini per antonomasia, quelli che da Calatabiano arrivano nella città di Catania e controllano Cibali con i Bonaccorsi, fanno affari con i Santapaola-Ercolano (a cui è a sua volta legato il gruppo Nardo-Aparo-Trigila) e con i Pillera-Puntina: sono i killer del clan Cappello. E’ a loro che Giuliano si rivolge per mettere a tacere Borrometi e la sua scorta, cinque uomini delle forze dell’ordine anche loro nel mirino della mafia e che per Borrometi da più di quattro anni sono come angeli custodi. Vi è legato a causa delle minacce, delle intimidazioni e di un’aggressione fisica subita proprio per quelle sue inchieste che hanno visto Salvatore Giuliano spesso protagonista.

Facile e sicuro per Giuliano affidarsi a loro, perché come si legge nella Relazione della Dia del primo semestre 2017 parlando di sodalizi in provincia di Siracusa “il clan Bottaro-Attanasio esercita il proprio potere nell’agglomerato urbano siracusano, ed è storicamente legato al clan catanese Cappello”, legame stringente di cui Giuliano fa parte controllando l’estremo sud, Pachino.

Dopo l’intercettazione il Pm della Dda Alessandro Sorrentino ha richiesto un’ordinanza di custodia cautelare al Gip di Catania Giuliana Sammartino. Ordinanza che è sfociata in un mandato di arresto per quattro persone tra cui Giuseppe Vizzini e i figli Andrea e Simone, quest’ultimo poi in giudizio insieme a Salvatore Giuliano per l’ennesima serie di minacce al giornalista.

Qualche giorno fa il Tribunale del Riesame di Catania ha confermato la veridicità dei rapporti tra Salvatore Giuliano e il clan Cappello nonché la linea diretta con lo sventato attentato.

Se digitiamo su Google il nome di Salvatore Giuliano, come per la ricerca di una qualsiasi persona, lui non compare. Al suo posto c’è un brigante eccellente facente parte di un’Onorata Società ben diversa dalla consorteria sanguinaria del nuovo millennio. Negli anni Quaranta il Giuliano che Google ci mostra è un uomo non molto colto, a tratti romantico che si diletta in sequestri di persona ed estorsioni con il benestare dell’allora capomafia di Monreale Ignazio Miceli. Morirà nell’estate del 1950 a Castelvetrano, oggi conosciuta dai più come patria del super latitante Messina Denaro.

Il Giuliano di oggi è un altro che senza pena macchia il cognome che porta. Ben più si addiceva alle vesti di un altro uomo che di nome però faceva Boris e la cui professione in polizia era proprio quella di indagare la mafia che, infatti, senza esitazione, lo assassinò a Palermo nel luglio del 1979.

Al massimo il Giuliano di oggi può cercare di dividersi la gloria con i Giuliano di Forcella, a Napoli, regno di camorra, ma neanche la genesi osa spingersi più in là.

No, il Salvatore Giuliano che intendiamo noi è a capo del clan che porta il suo nome, nonché dal 2016 investito della carica di reggente, capo provvisorio, dal boss del clan Trigila, Antonio detto Pinuccio Pinnintula che scontando l’ergastolo in una telefonata gli passa il testimone.

Salvatore Giuliano e i suoi compari al consueto controllo delle piazze di spaccio, all’usura e ai trasporti annettono anche il business dell’ortofrutta. Sappiamo dal giornale on-line LaSpia.it che nel 2013 Simone Vizzini, figlio di Giuseppe, e Gabriele Giuliano, figlio di Salvatore, crearono una società agricola denominata “La Fenice”. Tra i dipendenti della Srl c’era proprio il boss Giuliano che dopo una ventina d’anni scontati in carcere per “associazione mafiosa, droga, armi ed estorsioni” torna in libertà con lo sconto di pena proprio in quell’anno.

Come conferma il V Rapporto sulle Agromafie del 2017 stilato da Eurispes e Coldiretti, in collaborazione con le varie forze dell’ordine, “la criminalità organizzata, per sua stessa natura, si infiltra nel tessuto sociale e produttivo del territorio, precludendone la crescita e limitandone le prospettive”. I mafiosi nati contadini pensano di diventare imprenditori di successo proprio nella filiera agroalimentare, come a riappropriarsi del latifondo, si sono insinuati all’interno della nascente industria aumentandone i profitti. Ma non c’è favore che tenga se si idolatra la paura e si calpesta il futuro. Nel 2016 il rapporto Eurispes vede nella graduatoria provinciale dell’intensità del fenomeno dell’Agromafia nel settore agroindustriale Siracusa piazzarsi al trentesimo posto su centosei province considerate, preceduta a scendere da Ragusa, Trapani, Enna, Messina, Agrigento, Catania, Caltanissetta e Palermo al quarto posto. Tutte accumunate da un livello di infiltrazione criminale nell’agroindustria superiore alla media nazionale, il tutto ampiamente agevolato dai porti marittimi che costituiscono indubbia “opportunità di crescita, approvvigionamento e distribuzione per le organizzazioni criminali presenti”. Dal 2011 al 2015 compreso si è potuto calcolare un indice cosiddetto di permeabilità alle agromafie che in sostanza analizza quali regioni e province sul territorio nazionale sono più o meno vulnerabili alle infiltrazioni criminal-mafiose. Ne è risultato che le regioni più colpite, gravate anche dalle situazioni socio-economiche, si trovano nel Mezzogiorno e nelle isole. In Sicilia il grado è molto alto nelle province di Caltanissetta, Agrigento, Trapani, Siracusa, Enna e Ragusa. La presenza degli immigrati ha poi favori lo sfruttamento lavorativo, un dato rilevato soprattutto a Siracusa, Catania e Ragusa. Ovviamente l’infiltrazione risulta essere più forte laddove la vulnerabilità locale lo permetta.

Attualmente Salvatore Giuliano ha diversi processi aperti: una con il figlio Gabriele che secondo la Dda di Catania lo vedrebbe indagato per minacce di morte, tentata violenza privata aggravata dal metodo mafioso; una con “l’ex sindaco di Pachino, Paolo Bonaiuto e con due consiglieri comunali in carica, quali Salvatore Spataro e Massimo Agricola, del reato di concussione in concorso”. Con l’elezione di Spataro a consigliere comunale, Giuliano evidentemente sperava di ottenere favori, come era accaduto con Giuseppe Vizzini nel 1997 (arrestato durante il mandato e poi assolto). Intanto ad illuminare i suoi affari, il 23 aprile 2018, nel comune di Pachino è stata nominata dal Prefetto di Siracusa Giuseppe Castaldo la Commissione Antimafia con l’obiettivo di verificare l’eventuale infiltrazione mafiosa negli atti ufficiali.

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