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“Sconfiggere le mafie è un dovere della Repubblica”

Piero Innocenti il . Mafie

mafia“Sconfiggere le mafie è un dovere della Repubblica” ha detto il presidente Mattarella, un paio di giorni fa, in occasione dell’anniversario degli omicidi di Pio La Torre e di Rosario Di Salvo. Avrei completato la frase aggiungendo che sarebbe (stato) un dovere impedire che continuino (continuassero) ad aggiungersi altre mafie nel già drammatico panorama criminale del nostro paese, diventato “quello più appetibile per i criminali” (si veda la Relazione conclusiva della Commissione parlamentare Antimafia presentata a febbraio 2018).

Avrei anche sottolineato il dovere di dare le necessarie risorse umane e materiali alle forze di polizia e alla magistratura per tentare di arginare almeno le mafie, vecchie e nuove, neutralizzando i politici corrotti, assicurando lavoro a chi vive in territori trascurati da decenni, dove boss e capetti si sono spartiti il controllo di città e di intere regioni. Il Lazio e la Capitale inclusi.

Bisogna leggere il meticoloso terzo rapporto sulle “Mafie nel Lazio” (curato dall’ Osservatorio Tecnico-Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio) presentato alcuni giorni fa a Roma, con cui si da conto della situazione straordinariamente drammatica sulla presenza dei clan mafiosi nella Capitale e in provincia. Intanto ci si chiede come sia stato possibile lasciar marcire le tante situazioni di illegalità e di crescita di criminalità emerse solo negli ultimi anni, dopo  pazienti e coordinate indagini svolte da alcuni settori della polizia giudiziaria e coordinate da  magistrati della Procura Distrettuale.

Si può ragionevolmente pensare a distrazioni, sottovalutazioni, impreparazioni di responsabili e subordinati di alcuni dei vari uffici e comandi territoriali delle forze di polizia? Per quale motivo, per troppo tempo, anche in sede giudiziaria, la presenza delle mafie ad Ostia è stata negata? (sul punto anche Rosy Bindi, ex presidente della Commissione parlamentare Antimafia dopo la missione ad Ostia nel corso del 2017). Come è stata possibile l’espansione, nella Capitale e lungo il litorale, dei vari clan dei Fasciani, degli Spada, dei Triassi, dei Pagnozzi, dei Senese, dei Casamonica, dei Tassone, della famiglia Gambacurta? È stato il diffuso clima di intimidazione e di omertà tra i cittadini a impedire qualsiasi tentativo di scoprire questa palude criminale che stava soffocando la città? Chi e cosa hanno reso possibile la nascita e lo sviluppo di quel complesso e stratificato sistema criminale emerso nelle indagini del “Mondo di Mezzo”? Come è stato possibile per quella banda di criminali imperversare impunemente per anni “senza trovare resistenza ed alcun baluardo di legalità”?

Il rapporto sulle Mafie nel Lazio, con il consueto rigoroso approccio già manifestato nelle passate edizioni, senza ricorrere a contorsionismi verbali e a valutazioni soggettive o analisi sociologiche, offre la chiave di lettura per capire qualcosa di più sulle mostruosità criminali romane e avere risposte a queste domande. Lo fa citando sentenze, provvedimenti giudiziari, in molti casi definitivi, fatti storici accertati. Anche per questo sarebbe importante, a mio avviso, leggere e commentare il rapporto nelle scuole secondarie, per rendere consapevoli i giovani.

Il controllo del narcotraffico, in generale, continua a rappresentare il movente principale nella lotta tra bande e clan ed il rapporto vi dedica un’apposita sezione di una ventina di pagine (“Narcotraffico internazionale e piazze di spaccio”). Dunque, sono diversi i “narcoquartieri” romani dove si spacciano stupefacenti in ogni ora della giornata. Zone controllate da “una galassia di gruppi criminali che, in rapporti anche con importanti famiglie di camorra e ‘ndrangheta, si sono divise, in una logica puramente mafiosa vie e piazze di spaccio”. Tra i fatti sbalorditivi segnalati nel rapporto quello del clan di Serafino Cordaro che controlla gran parte delle attività illecite a Tor Bella Monaca, il cui volto è ben impresso sul muro di un immobile di proprietà comunale nel quartiere. Un murales che sta lì da molto tempo e che non è stato mai rimosso, come ha sottolineato Michele Prestipino, procuratore aggiunto di Roma e che rappresenta “motivo di grandissimo prestigio criminale” in un quartiere dove si imporrebbero interventi straordinari, non solo di polizia, per riaffermare l’autorità statale. Situazioni parimenti allarmanti anche a Montespaccato,a Pigneto, a Primavalle, solo per citare alcune zone della Capitale, dove girano, quotidianamente, “parecchi chili di cocaina” (già oltre 2,5 ton di stupefacenti sequestrati a Roma e provincia nei primi quattro mesi del 2018). Con il narcotraffico, poi, questi gruppi criminali hanno  assimilato il metodo mafioso dai contatti avuti con i clan più strutturati, ampliando il giro di affari per praticare recupero crediti, usura, estorsioni.

Una situazione che, mette in guardia questo terzo rapporto, è andata peggiorando rispetto a quanto segnalato nel precedente documento di appena due anni fa e dalla quale non si vede, al momento, alcuna via di uscita.

Troppe mafie in giro, troppa sottavalutazione politica

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