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Camorra: alleanze e parentele che si pagano

Donatella D'Acapito il . Mafie

Foto: Newfotosud, Ggiacomo Di Laurenzio

(Foto: Newfotosud, Ggiacomo Di Laurenzio)

Un omicidio e un arresto per un vecchio delitto. Due casi diversi. Una sola criminalità: la camorra. Meglio, le varie facce della camorra, quelle messe in atto per la spartizione di affari e controllo delle piazze.

Sono circa le 3 del mattino del 18 settembre a Napoli, in via Ghisleri, zona centrale di Scampia, i killer si avvicinano a Nicola Notturno, 21enne figlio di Raffaele, capo degli Scissionisti, e fanno fuoco. Contro il ragazzo vengono esplosi almeno sette colpi, tanti quanti i bossoli poi trovati a terra dagli inquirenti. Quando arriva l’ambulanza Notturno respira ancora, ma non farà in tempo a raggiungere all’Ospedale San Giovanni Bosco per essere soccorso.

La vittima aveva precedenti penali, eppure sembra che la causa dell’agguato vada ricercata nel ruolo svolto dalla sua famiglia proprio negli equilibri criminali nell’area di Scampia. Il padre è Raffaele, arrestato nel 2012 dopo un periodo di latitanza. L’uomo, insieme al fratello Vincenzo, è a capo di uno dei gruppi degli scissionisti che si staccarono nel 2004 dal clan Di Lauro. I Notturno, infatti, si allearono con gli Abate e gli Abbinante contro i Di Lauro e i Vanella Grassi nello scontro per il controllo delle piazze di spaccio di Napoli.

A questo si deve aggiungere un elemento recente. Perché Nicola era il nipote di Gennaro Notturno, detto “’o Sarracino” che da qualche settimana sta collaborando con l’autorità giudiziaria. Le sue dichiarazioni si stanno rivelando importanti per fare luce sulla prima faida di Scampia a cui si era accennato, consumatasi fra il 2004 e il 2005 e che contò circa 80 morti, con la quale il gruppo Amato – Pagano arrivò alla scissione dai Di Lauro. Quella faida iniziata nel settembre di tredici anni fa proprio con un omicidio in via Ghisleri. La collaborazione di Gennaro sta permettendo agli inquirenti di ricostruire quello che è stato il ruolo dei capoclan Pagano e Amato, ritenuti i mandanti degli agguati contro i Di Lauro. Ma ‘o Sarracino sta parlando anche di droga e dei contatti che gli scissionisti hanno all’estero, e forse sono parole pesanti.

Un omicidio e un arresto, si era detto.

Pochi giorni prima a finire in manette è stato il 43enne Francesco Avolio, detto Tyson, elemento di spicco dell’alleanza di Secondigliano. Per lui c’è l’accusa di concorso in omicidio aggravato dalle finalità mafiose oltre all’importazione e detenzione illegale di armi da guerra.

Un fatto vecchio, risalente al 25 settembre del 1996. Siamo a Napoli e Avolio è alla guida della moto su cui viaggia il killer che ucciderà Gennaro De Roberto, uomo del clan Bellofiore Sebastiano. Il caso, classificato come un “cold case”, arriva a una svolta solo in tempi recenti grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.

De Roberto, che all’epoca godeva del regime di semilibertà, viene assassinato davanti al carcere di Secondigliano dove deve rientrare ogni sera. Il delitto era stato ordinato da Raffaele Bellofiore, che in quel periodo voleva passare col clan Longobardi – Beneduce, forse per una affronto subìto nell’ambito delle attività illecite che svolgeva nell’area flegrea.

Per l’omicidio lo scorso luglio viene arrestato come esecutore materiale Gennaro Trambarulo, detto “’o Pazzo”, che però sarà scarcerato dopo una ventina di giorni dal Tribunale del Riesame di Napoli. Trambarulo era stato indicato da pentiti e inquirenti come uno dei fedelissimi del clan Licciardi che, all’occasione, era al soldo anche delle famiglie afferenti all’alleanza di Secondigliano.

Due fatti diversi ma legati da un filo comune. Quello di parentele e alleanze che pesano e che si pagano sempre, anche a distanza di anni, e che contano quando c’è da stabilire (o ristabilire) il controllo del territorio. Logiche per cui “il nemico del mio nemico è mio amico”. Filosofia antica ma ancora molto attuale.

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