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Il boss e il “cerchio magico” della massoneria

Rino Giacalone il . Sicilia

trapaniMatteo Messina Denaro, latitante da 9 mila giorni, la protezione funziona ancora

Quando una decina di anni fa il gruppo della “catturandi” della Squadra Mobile di Trapani cominciò a stringere il cerchio attorno alla latitanza del capo assoluto della mafia trapanese, cominciando ad indagare sulle connessioni tra mafia, politica e impresa, risultate per nulla infondate, si accorse che come per miracolo certi buchi creati attorno alla latitanza di Matteo Messina Denaro una volta aperti riuscivano a richiudersi in poco tempo.

Caduti nella trappola mafiosi “punciuti”, altri ne saltavano fuori, pronti a ricoprire i vuoti determinati dagli arresti prima e dalle condanne dopo. Stessa cosa per le imprese: ad ogni sequestro o confisca, Cosa nostra riusciva a trovare nel mondo dell’imprenditoria altre imprese disposte a servire il boss e far continuare a girare il sistema.

Altre indagini fecero scoprire come Matteo Messina Denaro dalla sua latitanza, cominciata nell’estate del 1993, era riuscito a creare una “sua” Cosa nostra. Mentre le indagini puntavano sulle “cerchie” conosciute, intanto sulla scia delle stragi del 1992 e del 1993 si era ricostituito un triangolo di rapporti stretti tra mafia, politica e impresa. Un triangolo che ricorda proprio uno dei tanti segni identificativi della massoneria. E infatti è la massoneria che ha fatto da amalgama ad questo nuovo patto, oggi ancora più che mai vivo e attivo. Tanto che Matteo Messina Denaro nella corrispondenza con Bernardo Provenzano – diventata non più segreta dopo la cattura di don Binnu che teneva l’archivio dei “pizzini” a portata di mano nel sua ultimo covo di Montagna dei Cavalli – quando questo gli chiedeva notizie sulle “famiglie” di Marsala, rispondeva dicendo che le operazioni antimafia e della Polizia avevano portato tutti in cella, “tra poco prenderanno anche le sedie”, ma “bisogna solo aspettare”.

Oggi in provincia di Trapani sono tornati a circolare molti di quei “picciotti” arrestati in quegli anni, hanno scontato le pene detentive per associazione mafiosa, alcuni hanno evitato le condanne all’ergastolo per gli omicidi, e sono parecchio bravi a tornare a presidiare il territorio. Si, è vero: molti sono oramai avanti negli anni, ma l’anzianità non è un ostacolo per continuare a fare i mafiosi.

Le più recenti indagini di Polizia e Carabinieri hanno provato che i vecchi boss non hanno alzato bandiera bianca. E che soprattutto non sono soli. Regge la cerchia degli insospettabili, degli imprenditori che hanno evitato gli arresti e i sequestri; ci sono certi politici, di piccolo e grande rango, che continuano a non rispettare la distanza di sicurezza dalla mafia. Ma ci sono i “fratelli” della massoneria, anzi a leggere certi rapporti giudiziari, alcuni citati nelle ultime relazioni semestrali della Dia e della Direzione nazionale antimafia, ci sono soprattutto loro. La commissione nazionale antimafia si è parecchio interessata a questa evoluzione del fenomeno mafioso, ha acquisito, sequestrandoli, gli elenchi delle adesioni alle logge di Sicilia e Calabria e non certamente a caso.

L’inchiesta della Procura di Reggio Calabria denominata “’Ndrangheta stragista” ha dimostrato che è storica, consolidata, la rete di relazione tra ‘ndrine e Cosa nostra grazie alle veicolazioni di contatti fatta dalle logge della massoneria. E i gran maestri della massoneria hanno reagito prima di smentire i sospetti, cosa che hanno fatto alzando la voce anche nei confronti dei giornalisti. E lo hanno fatto mettendosi a recitare l’antimafia. Belle sceneggiate.

Trapani e Castelvetrano in Sicilia ospitano le logge che più di altre fanno parte del sistema mafioso “targato” Matteo Messina Denaro. Negli Anni ’80, in una città buia come era – ed è – Trapani governava la loggia segreta Iside 2, quella alzata con i sigilli portati da Palermo dal commercialista Pino Mandalari, l’uomo di fiducia di Totò Riina. Oggi, nel 2017, a governare Trapani è un’altra loggia massonica. Una loggia super segreta, nascosta in un palazzo nel centro storico della città. Una loggia che copre tutta la provincia. La loggia porta il nome di “Gianni Grimaudo”, il famoso gran maestro della Iside 2 scomparso oramai da qualche anno. La lista precisa non si è trovata, ma l’articolazione sembra essere questa: ne fanno parte colletti bianchi, professionisti, uomini, ma anche donne, che siedono in posti importanti, capaci di arrivare da una parte fin dentro il Palazzo di Giustizia o dall’altra fin dentro il mondo degli affari, delle banche, della pubblica amministrazione e dell’informazione.

Trapani, ma anche Castelvetrano: una città incredibile dove il numero di logge massoniche presenti, di affiliazioni, sono altisonanti. A Trapani vige la regola di una mafia sommersa il ché non è una novità. C’era tra gli Anni ’70 e ’80; è tornata ad esserci dalla metà degli Anni ’90.

Un fatto che viene letto così dagli investigatori. Cosa nostra è governata da equilibri che reggono, non c’è bisogno di guerre o faide, la mafia sommersa poi serve perché ci sono affari da continuare a portare avanti. E le inchieste stanno facendo salti di qualità. Gli affari che Cosa nostra trapanese oggi gestisce non sono solo in Sicilia ma anche in diverse altre parti d’Italia, come in Lombardia dove le inchieste sugli appalti dell’Expo hanno visto saltare fuori nomi di imprenditori trapanesi, anzi “belicini“. Ci sono inchieste sui riciclaggi, sui soldi che la mafia ha guadagnato con la gestione in grandi appalti e nei traffici di droga, mai abbandonati, e finiti riciclati in banche svizzere.

Oggi è vero che tante cose sulla mafia si conoscono: sulla mafia trapanese si sono scoperti i gruppi di fuoco, i killer riservati, la potenza militare è stata quasi sgominata, qualche assassino è riuscito a farla franca, e oggi ci sono killer che vanno in giro vendendo i gustosi cannoli, ma nonostante sequestri e confische la mafia delle imprese continua a salvaguardare la sua consistenza. E la mafia delle imprese è quella che ha in mano le chiavi delle stanze dove avvengono gli incontri.

Forse anche le chiavi di quel palazzo dove a Trapani si cela la loggia segreta, custode delle notizie più riservate e compromettenti.

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