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Le varie facce delle mafie nella relazione della Dia

Piero Innocenti il . Mafie

diaLa recente presentazione in Parlamento della relazione della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) da parte del ministro dell’Interno Marco Minniti, non è sembrata arrivare in un momento particolarmente favorevole/opportuno, e cioè alla vigilia delle vacanze estive, quando deputati e senatori sono poco disponibili – con le dovute eccezioni – a leggere e ad approfondire un elaborato di 300 oltre pagine, inclusi gli allegati.

Non è da escludere, naturalmente, che qualche assistente possa sintetizzare in un paio di cartelle le parti che più possono interessare, in relazione ad aree territoriali di particolare rilevanza, singoli parlamentari. Quello che mancherebbe, in questa ipotesi, sarebbe la visione complessiva di uno scenario criminale nazionale che continua ad essere drammatico.

Verrebbe da suggerire, allora, di non andare a leggere, tutto d’un fiato, come qualcuno frettolosamente potrebbe fare, le “conclusioni” del rapporto (da pagina 246 a pag.269) incluse le “strategie di contrasto”, ma di procedere ad una lettura/studio graduale dei vari capitoli (undici) a partire dall’analisi del fenomeno, fino alle proiezioni territoriali ed estere delle mafie, ai loro profili evolutivi, al tema delicatissimo degli appalti pubblici, alle attività di prevenzione sul sistema finanziario a scopo di riciclaggio.

La DIA, a distanza di poco più di un quarto di secolo dalla sua istituzione avvenuta con la legge n.410 del 30 dicembre 1991, fornisce un resoconto, a cadenza semestrale negli ultimi anni, dell’attività svolta e dei risultati conseguiti contro le mafie (italiane e straniere) con interessanti analisi e interpretazioni delle realtà mafiose e con una puntuale elencazione delle operazioni di contrasto svolte sul territorio.

L’aspetto più allarmante è che, nonostante la sistematica azione di contrasto svolta ormai da molti anni nei confronti delle mafie dalle forze di polizia e dalla magistratura, le potenzialità criminali, militari, finanziarie, di queste siano comunque enormemente cresciute. Da questo l’opinione sempre più diffusa della invincibilità delle mafie, di una guerra perduta dello Stato (nonostante diverse battaglie vinte), e di una terrificante abitudine che si è andata facendo strada ad una sorta di “convivenza” con la criminalità mafiosa. Criminalità che continua a controllare rilevanti porzioni del nostro territorio, con incredibili proiezioni all’estero per reimpiegare il denaro prodotto dalle molteplici attività criminali, in primis dal traffico di sostanze stupefacenti.

Così, nella relazione della DIA, Cosa nostra è sempre presente in Germania, Belgio, Olanda, Spagna, Malta, Albania, Stati Uniti, Canada e, anche dopo la morte di Bernardo Provenzano, il padrino storico, “..l’organizzazione è ancora molto vitale, con un approccio pragmatico rispetto al business, finalizzato ad investimenti profittevoli di denaro sporco, alla creazione di imprese “pulite” per garantire solide posizioni ai propri eredi..”. Se dal traffico di stupefacenti si ricavano ingenti profitti, sono sempre le estorsioni lo strumento principe con cui cosa nostra manifesta il suo “..potere coercitivo e intimidatorio su collettività e mercati, nonché su settori nevralgici delle pubbliche amministrazioni”. Uno scenario sempre “..più inquietante di sistematiche e perduranti vessazioni ai danni di un gran numero di commercianti e imprenditori locali ovvero  di operatori economici impegnati nella realizzazione di lavori pubblici” (dalla ordinanza di custodia cautelare del gip di Palermo con l’operazione “Grande Passo 4”).

La mafia calabrese si conferma la più potente di quelle italiane e la più diffusa a livello mondiale. L’emersione poi di una struttura direttiva segreta della ‘ndrangheta nella operazione “Mamma Santissima”, svolta dai carabinieri giusto un anno fa, pone ulteriori interrogativi sugli intrecci istituzionali dell’organizzazione. Una mafia “versatile e opportunista” che in Europa continua a concludere strabilianti “affari” nella ristorazione, nel commercio, nel traffico di titoli finanziari, nel turismo, nella contraffazione del denaro, ricorrendo alle estorsioni, all’usura, fornendo rifugio ai latitanti. Impressionanti i numeri delle ‘ndrine (230) e degli affiliati (almeno 1.800) soltanto in Germania, emersi già alcuni anni fa con diverse inchieste tra cui Crimine, Crimine 2, Solare 3, con la presenza di rappresentanti delle varie cosche a Krefeld, Munster, Hannover, Berlino, Colonia, Dresda, Duisburg,  Dusserdolf, Lipsia, Erlangen, Francoforte, Norimberga, Bochum, Friburgo, Ludwigburg, Monaco, Tubinga, Stoccarda, Mannheim, Sieburg, Detmold, Ravensburg, Saarbrucken. Altre significative presenze della ‘ndrangheta si segnalano in Inghilterra e Irlanda (con le cosche Trimboli di Platì, Aracri di Crotone e Fazzari di Rosarno), in Belgio e Olanda (le cosche Nirta-Strangio di San Luca, Commisso di Siderno, Bellocco di Rosarno, Sità di Mammola, Ascone di Rosarno e Lazzarino di Bianco), in Portogallo (Di Giovine di Reggio Calabria, Pelle-Vottari-Romeo di San Luca), in Svizzera (Piromalli di Gioia Tauro, Bellocco di Rosarno, Gallico di Palmi, Fazzari di Rosarno, Ferrazza di Mesoraca), in Romania (i Valle di Milano, gli Alvaro), in Bulgaria (la cosca Vrenna-Bonaventura, Di Stefano), in Montenegro (De Stefano), in Francia (la presenza di ben quattro locali a Tolone, Clermont Ferrand, Menton, Nizza) e, infine, in Spagna ( osche di Maesano-Paviglianiti-Pangallo, Piromalli-Noè, Ferrazzo, Trimboli-Marando-Barbaro, Cicero).

Mafia calabrese, un tempo mafia popolare, oggi finanziaria e massonica, divenuta sempre più “globale” e silenziosamente pericolosa per la tenuta democratica del nostro e di molti altri paesi, nella perdurante generale disattenzione politica.

La potenza economica della criminalità organizzata

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