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Il cancro della criminalità organizzata

Piero Innocenti il . Criminalità

pistola1Quando si parla di criminalità organizzata transnazionale non ci si riferisce a un semplice problema di ordine pubblico e di sicurezza sociale, sia pure da gestirsi a livello internazionale, ma a una realtà che sta mettendo in pericolo la sopravvivenza delle democrazie, delle istituzioni e delle strutture della società civile di molti paesi del mondo. Nessuna delle molteplici facce del fenomeno può essere sottovalutata o trascurata: le prospettive sono minacciose, preoccupanti. Nel nostro paese, poi, unico al mondo, dove convivono quattro mafie tradizionali, tra cui quella calabrese, ritenuta tra le più poderose, due “mafiette“, quella del Gargano e della Basilicata e alcune organizzazioni straniere accreditate per conseguire definitivamente il “titolo” di mafie, la situazione è ancor più drammatica.

Proviamo a delineare un bilancio partendo dal primo approccio con la criminalità organizzata che è senz’altro quello dell’azione di contrasto, del controllo repressivo, di polizia. Stando alle informazioni che si possono attingere dalle relazioni degli organismi competenti, a livello interno (DNAA, DIA, DCSA, SCO del Dipartimento della Pubblica Sicurezza) e nelle sedi di confronto internazionale (UNODC, Europol), la situazione non è rosea. L’efficienza delle forze di polizia nell’ambito dei singoli paesi, al di là della buona volontà degli individui o dei successi sporadici e isolati, che possono far perdere di vista la massa dell’iceberg che permane sommersa, non riesce a controllare se non una percentuale minima delle attività illecite che si svolgono, anche nelle nazioni ritenute più civili, ricche e organizzate. In queste i problemi possono consistere, riduttivamente, nella pluralità (per altri versi necessaria) e nella conseguente frammentazione operativa degli organismi competenti, nelle carenze del coordinamento tra loro, nelle carenze degli organici, nella inadeguatezza della preparazione del personale, delle tecniche di investigazione e di controllo, nella insufficienza degli stanziamenti di bilancio e così via. Ma queste, che sono deficienze già relativamente gravi, diventano passivi enormi nei paesi del terzo e quarto mondo, dove i mezzi finanziari sono particolarmente inconsistenti e il grado d’istruzione degli uomini è minimo.

Un discorso molto simile può svilupparsi per quanto riguarda il piano legislativo: i codici penali dei singoli paesi, come d’altronde i sistemi di valori, le sensibilità di ciò che è bene e male (a livello legale oltre che etico), le culture, insomma, divergono notevolmente. Ciò significa che le definizioni dei reati, le sanzioni, le procedure, le possibilità di collaborazione giudiziaria tra Stati diversi, anche se ci sono accordi e convenzioni, sono variabili che dipendono da fattori e ostacoli contingenti che non sempre si riesce a controllare o a rimuovere. Siamo ancora in alto mare, per esempio, sulle normative, a livello internazionale, in tema di trasparenza del sistema finanziario, sulle procedure per il congelamento dei beni di provenienza illecita, per la loro confisca, sulle convenzioni per i procedimenti di estradizione (talvolta basati su semplici “cortesie diplomatiche”).

Non bastano poi le leggi e i regolamenti, occorre la volontà di attuarli e un sistema giudiziario efficiente. E qui, come al solito, i problemi sono gravissimi nei paesi più poveri o che solo di recente hanno acquisito strutture democratiche. Per non parlare di quelli in cui vigono sistemi autoritari, dittatoriali, a volte primitivi e violenti, dove i diritti umani vengono calpestati ogni giorno e non esiste praticamente una legalità qualsivoglia, ma il semplice esercizio della forza bruta da parte del potere.

Perché le leggi siano giuste, perché magistrati e poliziotti possano adempiere al loro dovere, sono necessarie condizioni politiche ottimali (la continua litigiosità politica nel nostro paese contribuisce certamente allo sbando che si sta vivendo) e istituzioni caratterizzate da un grado soddisfacente di (reale) democrazia. Anche dove le Costituzioni garantiscono l’esercizio dei diritti civili e politici fondamentali, è ben noto come le mafie (e le mafiette locali) riescono spesso a instaurare un condizionamento delle politiche nazionali e regionali, oltre che a corrompere parlamentari, funzionari della pubblica amministrazione, banchieri, imprenditori, giudici e poliziotti. Ed è su questo cancro della corruzione che occorrerebbe concentrare il vero bombardamento chemioterapico (una forte azione repressiva,senza sconti per nessuno) e sperare nel miracolo di una società rigenerata davvero.

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