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Le dichiarazioni dei redditi degli italiani

Rocco Artifoni il . Economia

redditiChe i redditi dichiarati dai contribuenti italiani non siano del tutto veritieri è noto a tutti, poiché il fenomeno dell’evasione fiscale è particolarmente elevato in Italia. D’altra parte, proprio i dati ufficiali possono aiutare a capire quanta distanza esiste tra le dichiarazioni formali e la realtà effettiva. Anche per questa ragione sono comunque significative le statistiche recentemente pubblicate dal MEF  (Ministero dell’Economia e delle Finanze) e dal SISTAN (Sistema Statistico Nazionale) sulle dichiarazioni presentate lo scorso anno relative ai redditi del 2015.

Anzitutto va detto che nel 2015 hanno presentato una dichiarazione al fisco 40.770.277 contribuenti (+ 0,13% rispetto al 2014). Il reddito complessivo ammonta a circa 833 miliardi di euro. Più della metà (455 miliardi) viene erogato dallo Stato: 325 miliardi per pensioni, prestazioni assistenziali, sostegno al reddito e rendite Inail; altri 130 miliardi corrispondono agli stipendi della pubblica amministrazione. L’analisi dei dati mostra che i contribuenti con reddito inferiore a 20.000 euro sono diminuiti di 255.676 unità, mentre quelli che hanno presentato dichiarazioni con redditi superiori ai 20.000 euro sono aumentati di 309.405. Il reddito medio è stato di 20.690 euro (+1,9% rispetto al 2014). Anche tenendo conto dell’inflazione, che nell’anno ha registrato una crescita dello 0,5%, si può dire che la condizione reddituale degli italiani nel 2015 è leggermente migliorata rispetto all’anno precedente.

Suddividendo l’Italia in macroregioni, si vede che l’area geografica con reddito dichiarato più elevato è il nord. In particolare nel nord-ovest il reddito medio pro-capite è di 23.640 euro (con un aumento del 2,11% rispetto al 2014), mentre nel nord-est è di 22.060 euro (con un aumento del 2,21%). A seguire c’è il centro Italia con un reddito medio di 21.530 euro (+ 1,39%), le isole con 16.490 euro (+1,01%) e il sud con 16.380 euro (+1,80%). Il fatto che in tutte le macro regioni il dato sia in aumento è sicuramente positivo, ma i dati mostrano anche l’evidente disparità tra nord e sud dello “stivale”, accentuata dai tassi di crescita più elevati al nord. A confermare questa tendenza sono anche i dati specifici dei territori: la regione con reddito medio più elevato è la Lombardia (24.520 euro), seguita dalla provincia autonoma di Bolzano (22.860 euro), mentre la Calabria ha il reddito medio più basso (14.780 euro).

Anche l’analisi delle diverse tipologie di contribuenti evidenzia aspetti importanti. A dichiarare i redditi più alti sono i lavoratori autonomi con 38.290 euro in media, con un incremento del 7,6% rispetto al 2014. Seguono gli imprenditori a contabilità ordinaria con 35.740 euro pro-capite, con un aumento record del 14,4%. I redditi dei lavoratori dipendenti (e assimilabili) si fermano a 20.660 euro medi, con una diminuzione dello 0,2% rispetto all’anno precedente. In realtà questa tipologia comprende situazioni molto diverse: i lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato (circa 16 milioni) hanno un reddito medio pari a 23.068 euro, mentre quelli a tempo determinato (circa 4,8 milioni di persone) dichiarano un reddito medio di 9.633 euro. Gli imprenditori a contabilità semplificata dichiarano mediamente 18.579 euro (+ 8,6%), mentre i redditi da partecipazioni societarie sono in media di 17.020 euro (+ 6,1%). Infine, ci sono i pensionati con un reddito pro-capite di 16.870 euro (+ 1%). Le statistiche consentono – si legge nel documento del MEF – «di osservare la lieve flessione del reddito medio da lavoro dipendente, mentre è consistente la crescita dei redditi d’impresa e da lavoro autonomo, influenzata dall’introduzione del regime forfetario rivolto alle partite Iva con dimensioni economiche ridotte: la fuoriuscita dalla tassazione ordinaria di imprenditori e autonomi di piccole dimensioni, che dichiarano normalmente redditi bassi, determina infatti fisiologicamente un aumento del reddito medio dichiarato dei soggetti a Irpef ordinaria».

Gli imprenditori sono circa 1,8 milioni (-9,9% rispetto al 2014), di cui 1,7 milioni in regime di contabilità semplificata (93%), mentre soltanto 133.000 adottano la contabilità ordinaria. Il consistente decremento del numero degli imprenditori è dovuto soprattutto all’introduzione del regime forfetario, che prevede una tassazione agevolata del 15%. Il 45% dei soggetti dichiara un reddito d’impresa inferiore a 15.000 euro e solo lo 0,8% un reddito superiore a 150.000 euro. Il reddito d’impresa in contabilità semplificata, pari a 27,8 miliardi di euro, subisce un decremento dell’1,3% rispetto al 2014. Il reddito medio è di 19.280 euro (+8,3% rispetto al 2014). Invece il reddito d’impresa in contabilità ordinaria, pari a circa 4,8 miliardi di euro, subisce un incremento del 2,6%. Il valore medio è di 42.780 euro (+11,9% rispetto al 2014).

Se si considera il reddito medio complessivo degli imprenditori il valore si attesta a 22.430 euro (+9,5% rispetto al 2014). Tenendo conto che il reddito complessivo medio dei lavoratori dipendenti è di 22.860 euro, si deduce che i dipendenti abbiano mediamente redditi superiori agli imprenditori. Semplificando l’analisi, verrebbe da dire che i datori di lavoro dichiarano meno dei loro dipendenti, ma correttamente gli autori del documento pubblicato dal MEF segnalano che «il confronto tra le differenti categorie reddituali deve tener conto sia delle diverse norme fiscali per la loro determinazione sia delle singole peculiarità. In particolare, non è possibile dai dati pubblicati comparare il reddito degli imprenditori con quello dei “propri dipendenti”: la definizione di imprenditore non può essere assunta come sinonimo di “datore di lavoro” in quanto tra gli imprenditori sono compresi coloro che non hanno personale alle loro dipendenze». In effetti, i dipendenti con datore di lavoro persona fisica (oltre 1,8 milioni di soggetti) dichiarano un reddito medio di 9.700 euro, mentre i loro datori di lavoro (oltre 613.800 soggetti) dichiarano un reddito medio da attività economica pari a 31.493 euro. Rispetto all’anno precedente si riscontra una crescita del 12,8% del reddito medio degli imprenditori, mentre è pressoché stabile quello dei lavoratori dipendenti.

Nel 2015 i titolari di partita Iva che hanno presentato la dichiarazione dei redditi sono oltre 3,8 milioni (-2,5% rispetto al 2014), così suddivisi: imprenditori (46,9% pari a 1,8 milioni di soggetti), lavoratori autonomi (23,1% pari a oltre 879.000 soggetti), agricoltori (10,8% pari a circa 412.000 soggetti) e contribuenti in regime fiscale di vantaggio o forfetario (19,1% pari a oltre 728.000). Dall’analisi per attività economica emerge che in pochi settori si concentra il 73% dei titolari di partita Iva e precisamente: attività professionali e scientifiche (22,8%), commercio all’ingrosso e al dettaglio (21,2%), agricoltura, silvicoltura e pesca (11,4%), costruzioni (9,1%) e sanità ed assistenza sociale (9,0%). La contrazione dei contribuenti con partita IVA è particolarmente accentuata nel settore delle costruzioni (-6,9% pari a 25.400 soggetti), delle attività manifatturiere (-5,5% pari a 10.800 unità) e del commercio all’ingrosso e al dettaglio (-4,9% pari a 41.400 contribuenti). In controtendenza il settore della sanità ed assistenza sociale che registra un aumento di dichiarazioni (+2,1% pari a 7.000 soggetti). Rispetto al 2014 il settore con maggiore incremento del reddito, in termini assoluti, è quello delle attività finanziarie ed assicurative (+8,4%).

Considerando i redditi più alti dei titolari di partita IVA, si può notare che tra i 19.076 promotori finanziari, ben 5.033 dichiarano un reddito superiore a 100.000 euro. Per i farmacisti il dato in percentuale è ancora più alto: su 10.188 gestori di farmacie, 3.753 dichiarano redditi superiori a 100.000 euro. Tra i contribuenti con reddito prevalente da attività autonoma (655.000 soggetti), se si considerano i redditi complessivi maggiori di 100.000 euro (più di 78.400 soggetti), emerge che il 51% opera negli studi medici o legali. Rilevante anche la presenza di redditi alti nelle attività professionali svolte in forma associata: si tratta di 12.750 soggetti che dichiarano oltre 100.000 euro. In particolare svolgono attività nei seguenti settori: studi legali (5.103), commercialisti (3.207) e studi notarili (676). La correlazione tra redditi elevati e determinate professioni è evidente.

Il contributo di solidarietà, introdotto nel 2011 e prorogato per il triennio 2014-2016, prevede un prelievo del 3% da applicare sulla parte di reddito complessivo eccedente 300.000 euro lordi annui. In realtà non rientrano nel calcolo dell’imponibile i redditi a tassazione separata, per esempio quelli sottoposti a cedolare secca per gli affitti. L’analisi per classi di reddito complessivo evidenzia che soltanto lo 0,08% dei contribuenti (pari a oltre 34.000 soggetti) dichiara redditi maggiori di 300.000 euro. Si tratta di redditi da lavoro dipendente (44,9%), da lavoro autonomo (17%), da partecipazione (14,2%), da capitale (5%), d’impresa (1,5%), da pensione (2,8%), e da fabbricati (2,7%) . L’ammontare complessivo del contributo di solidarietà nel 2015 è stato pari a 294 milioni di euro (+6,5% rispetto al 2014), pari a circa 9.072 euro in media. Non essendo stato prorogato, il contributo non troverà più applicazione a partire dall’anno d’imposta 2017. In questo caso emerge chiaramente l’approssimazione del sistema tributario italiano, che chiama contributo di solidarietà (applicato a fasi alterne) quella che invece potrebbe essere considerata una stabile aliquota fiscale progressiva nella logica dell’art. 53 della Costituzione. Senza contare che per tutti i contribuenti tra 75.000 e 300.000 euro viene applicata la stessa aliquota (43%), il che non pare equo, trattandosi di redditi molto differenti.

I soggetti che versano un’imposta sui redditi sono 30,9 milioni (il 76% del totale contribuenti), pari a 155,2 miliardi di euro per un valore pro capite di 5.020 euro. Di conseguenza, quasi 10 milioni di contribuenti non pagano tasse sul reddito. Si tratta, ad esempio, di persone con compensi limitati, compresi nelle fasce di esonero, oppure di contribuenti che fanno valere detrazioni tali da azzerare l’imposta lorda. Inoltre, considerando i contribuenti la cui imposta netta è interamente compensata dal bonus 80 euro, i soggetti che di fatto non versano le imposte sui redditi sono circa 12,2 milioni. Analizzando la distribuzione dell’imposta per classi di reddito complessivo si evidenzia che i contribuenti con redditi fino a 35.000 euro (84,2% del totale contribuenti che versano l’imposta) dichiarano il 45,1% dell’imposta netta totale, mentre il restante 54,9% dell’imposta netta totale è dichiarata dai contribuenti con redditi superiori a 35.000 euro (15,8% del totale dei contribuenti). I soggetti con un reddito complessivo maggiore di 300.000 euro dichiarano il 5,1% dell’imposta totale. Dai dati si può dedurre che circa il 30% dei contribuenti non paga le imposte, perché non ha sufficiente capacità contributiva. Da questo fatto bisognerebbe partire per strutturare una riforma fiscale capace di intervenire più efficacemente in una logica redistributiva, fondata sugli art. 2 e 3 della Costituzione.

L’addizionale regionale Irpef ammonta nel 2015 a 11,8 miliardi di euro (+4,1% rispetto al 2014), mentre quella comunale è pari a 4,7 miliardi di euro (+5,0% rispetto al 2014). I dati mostrano un significativo aumento della tassazione regionale e locale, ma in modo alquanto diversificato tra i diversi contesti territoriali. Infatti, l’addizionale regionale media varia dal minimo di 230 euro nella provincia autonoma di Bolzano al massimo di 620 euro nel Lazio. Analogamente l’addizionale comunale media varia dal minimo di 60 euro nella provincia autonoma di Bolzano al massimo di 250 euro nel Lazio. In particolare consistenti variazioni in aumento si sono riscontrate nella regione Lazio (+14,2%), Piemonte (+8,5%), Liguria (8,5%), mentre variazioni in diminuzione si sono registrate nella provincia autonoma di Bolzano (-18,0%) e nella regione Calabria (-1,2%).

Nel 2015 le deduzioni ammontano a 34 miliardi di euro (+1,8% rispetto al 2014) e si suddividono tra la deduzione per abitazione principale (8,7 miliardi di euro) e gli oneri deducibili (25,3 miliardi di euro). Rispetto al 2014 gli oneri deducibili subiscono un incremento del 2,7%, imputabile prevalentemente alla previdenza complementare (+14,3%) e ai contributi previdenziali ed assistenziali (+0,8%). Le detrazioni ammontano a 66,1 miliardi di euro (-0,13% rispetto al 2014) e sono composte prevalentemente da: detrazioni per redditi da lavoro dipendente e pensione (63,0%), carichi di famiglia (19,4%), oneri detraibili al 19% (8,2%), spese per recupero edilizio (7,1%) e spese per il risparmio energetico (1,6%). Il confronto con l’anno precedente evidenzia incrementi delle detrazioni per oneri deducibili al 19% (+4,2%), per spese di recupero edilizio (+14,8%) e per arredo di immobili ristrutturati (+60%). Si riscontra invece una riduzione delle detrazioni per interventi di risparmio energetico (-23%).

Di particolare interesse è l’analisi dei dati relativi agli oneri detraibili al 19% (per un ammontare di 28,2 miliardi di euro), per i quali si rileva un incremento del 4,0% rispetto al 2014. L’analisi delle componenti mostra la generale diminuzione delle spese sostenute per interessi passivi relativi a mutui per abitazione principale (-5,6%) e delle spese per assicurazioni sulla vita (-4,3% rispetto al 2014), mentre aumentare i costi per la sanità (+4,6%). Le spese per istruzione subiscono un incremento del 32%, passando da 1,8 miliardi a 2,3 miliardi di euro, poiché la detrazione è stata estesa – seppure con limiti di spesa – anche alla frequenza di scuole dell’infanzia e della scuola primaria. Le detrazioni al 26% per le erogazioni liberali a favore di Onlus registrano un significativo aumento rispetto all’anno precedente (+25,5%).

Complessivamente nel 2015 i contribuenti hanno pagato 172 miliardi di euro di imposte sui redditi, ma considerando il bonus (introdotto dal Governo Renzi) di 80 euro, di cui hanno beneficiato oltre 11 milioni di persone (il 27,3% dei dichiaranti) per uno sgravio di 9 miliardi, l’imposta effettiva si riduce a 163 miliardi. Guardando in dettaglio, 20,9 milioni di lavoratori dipendenti (51,2% dei dichiaranti) pagano 103 miliardi di euro, pari al 60% del totale. L’80,4% dei dipendenti dichiara un’imposta netta positiva per un valore complessivo di 92,8 miliardi di euro (59,8% del totale dell’imposta netta dichiarata) ed un valore medio di 5.530 euro. I pensionati sono 14,8 milioni (36,2% delle dichiarazioni), ma 3,3 milioni non pagano tasse a causa di redditi molto bassi. Nel 2015 i pensionati hanno pagato 59,6 miliardi di euro di imposta sui redditi pari al 34,7% del totale. Escludendo lavoratori dipendenti e pensionati, restano 5,1 milioni di contribuenti, di cui soltanto la metà dichiara redditi positivi. Di questi il 78% dichiara redditi fino a 15.000 euro lordi l’anno e paga un’imposta media di circa 173 euro. Il 15% di contribuenti detiene redditi tra 15.000 e 35.000 euro e paga un’imposta media di circa 1.516 euro. Il rimanente 7% paga il 72% dell’Irpef di categoria. Il totale dell’imposta sui redditi pagata da questi contribuenti è pari a 9,4 miliardi di euro, cioè il 5,5% del totale del gettito Irpef del 2015, pur rappresentando il 12,5% dei dichiaranti.

I dati dei redditi presentati lo scorso anno confermano la criticità del nostro sistema fiscale. Il problema più rilevante resta la mancanza di un vero contrasto d’interessi, che consente oggettivamente alle categorie che ne hanno la possibilità di dichiarare importi inferiori per pagare meno imposte e per beneficiare delle agevolazioni collegate al reddito. I dati delle dichiarazioni continuano ad evidenziare un sistema fiscale distorto, in cui l’equità resta una chimera.

Analisi dei dati Irpef 2015

La redistribuzione del reddito in Italia

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