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Sulla legalizzazione delle droghe leggere

Piero Innocenti il . Senza categoria

marijuana-vaso-ok-755x515Nelle ultime settimane, in Italia ma anche in altri paesi, il tema della legalizzazione delle droghe (di alcune) è tornato di attualità, perché ritenuto essenziale per contrastare le grandi organizzazioni del narcotraffico e attenuare, così, anche la violenza collegata al traffico e allo spaccio degli stupefacenti. Negli ultimissimi giorni, poi, si è fatto nuovamente sentire il “fronte dei magistrati” in parte attestato sulla linea della legalizzazione, limitata alla cannabis, come scelta obbligata per sconfiggere i clan. Già nel febbraio del 2015, il procuratore nazionale antimafia Roberti, nella relazione al Parlamento, sottolineava “..l’inadeguatezza di ogni sforzo repressivo  (..) nel contrasto alla diffusione dei cannabinoidi (..) con il totale fallimento dell’azione repressiva”.

Più recentemente (5 maggio scorso), Roberti è tornato ancora sul tema puntualizzando di vedere con favore una legge che attribuisca, in esclusiva, ai Monopoli di Stato, la coltivazione, lavorazione e vendita della cannabis e dei suoi derivati. Di avviso completamente diverso Gratteri, procuratore delle Repubblica di Catanzaro, secondo cui la “cannabis legale oltre ad essere immorale non servirebbe e colpire le mafie”. Forti perplessità sulla legalizzazione arrivano anche dal sostituto procuratore Maresca della DDA di Napoli. Si tratta, dunque, di un tema delicatissimo, complesso, dalle tante sfaccettature, in relazione al quale analisi, ipotesi, deduzioni e considerazioni devono basarsi su dati incontestabili. Ma è altrettanto sicuro che, per raccogliere, gestire, analizzare e interpretare i dati, bisogna applicare correttamente metodi scientifici. Occorrono, poi, onesti ricercatori perché i risultati su devianza, droghe, tossicodipendenza possono essere usati in modo strumentale, soprattutto quando sono programmati per supportare aspetti operativi di politiche sociali o per favorire iniziative legislative. E, si sa, proprio in questo periodo, un progetto di legge sulla materia è tornato in Commissione parlamentare per ulteriori, sollecitati approfondimenti. Il dibattito sulla legalizzazione delle droghe riaffiora, di tanto in tanto, riacquistando un certo vigore, in concomitanza con le relazioni di importanti organismi nazionali e internazionali, previste, di  norma, ai primi di giugno di ogni anno. Intendo riferirmi ai rapporti dell’UNODC (World Drug Report) sulle droghe che circolano nel mondo (l’ultimo rapporto, del 2016, indica in 247milioni le persone che hanno fatto uso di droghe nel mondo), a quello dell’EMCDDA (l’osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze di Lisbona)già annunciato per il 7 giugno p.v., a quello italiano della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (Ministero dell’Interno) che fornisce un quadro esauriente (non solo nazionale) del contrasto al narcotraffico effettuato dalle nostre forze di polizia e dalle dogane.

Ricordiamo, intanto, che per legalizzazione, in generale, si intende un mercato in cui si realizza la libera produzione, distribuzione e consumo della sostanza, ma con tassazione e controlli dello Stato anche per ridurne gli effetti nocivi. L’argomento, tuttavia, è stato sempre affrontato in modo ideologico e, quindi, con i giudizi e pregiudizi delle varie fazioni politiche. Qualsiasi approccio ai temi della tossicodipendenza ha sempre determinato aspre contrapposizioni tra i proibizionisti e gli antiproibizionisti, mettendo da parte valutazioni scientifiche o utilizzandole in modo distorto e utilitaristico. Il dibattito sulla legalizzazione va avanti da quasi settant’anni, alternando momenti di grande clamore ad altri di sostanziale indifferenza. Fu il sociologo americano Alfred R. Lindesmith che, negli anni Quaranta del secolo scorso, occupandosi di tossicomani, argomentò sulla legalizzazione delle droghe, sostenendo che le sanzioni penali erano inopportune per le persone affette in modo cronico e recidivo da tossicodipendenza. Le sue valutazioni furono criticate a livello federale e praticamente ignorate. Il dibattito riacquistò vigore nel 1988 quando molti osservatori fecero rilevare il fallimentare, costoso e inutile proibizionismo federale che aveva contribuito ad alimentare enormi profitti per i narcotrafficanti, a sovraffollare le carceri, ad indurre i consumatori a commettere reati per procurarsi le droghe, a corrompere giudici, politici, poliziotti. In Italia, l’antiproibizionismo ha avuto momenti di vivacità con l’entrata in vigore della legge 162/1990 ( la c.d. Iervolino- Vassalli) e dopo l’esito referendario del 1993 che depenalizzava il consumo personale di stupefacenti. Personalmente ritengo che una eventuale modifica al sistema attuale di controllo mondiale delle droghe, basato sulle tre Convenzioni delle Nazioni Unite del 1961, del 1971 e 1988, non possa che avvenire in sede internazionale. Insomma se si dovesse pensare di legalizzare le cosiddette droghe leggere ( che di leggero, oggi, non hanno più tanto), questo processo dovrebbe riguardare tutti i paesi del mondo, in contemporanea, altrimenti le organizzazioni dei criminali si concentrerebbero  nei paesi “proibizionisti” per i loro “affari”. Un altro punto che sostengono quanti sono favorevoli a processi di legalizzazione delle droghe è quello relativo alla “decapitalizzazione” della criminalità del narcotraffico, ma c’è da dire che le mafie continuerebbero ad arricchirsi negli altri commerci illeciti, magari incentivandoli per colmare eventuali, provvisorie “perdite” nei bilanci criminali. E così si potrebbero rilevare incrementi nel contrabbando di armi, nella tratta di persone, nelle contraffazioni, nei rapimenti, nelle estorsioni, nelle violenze contro l’ambiente ecc.. Senza contare che si creerebbe, inevitabilmente, un mercato parallelo (nero) delle droghe a più basso costo di quello ufficiale. Non sarebbe una prospettiva interessante per le comunità. Così come non si può affatto escludere un incremento apprezzabile nel consumo di droghe leggere nel caso di legalizzazione (come si ebbe , con la fine del proibizionismo degli alcolici nel 1933 negli Usa). Infatti, in una situazione di mercato libero, i sistemi pubblicitari e la rete di commercializzazione di tali “prodotti” farebbero sicuramente espandere il mercato e mantenere alta la domanda, sfruttando, analogamente a quanto fatto per l’alcol, il collegamento delle “sostanze” alla felicità, al benessere fisico, alle attività ricreative in generale. Ricordo, sul punto, le grandi potenzialità di penetrazione delle agenzie pubblicitarie, capaci di creare contesti favorevoli per una completa saturazione del mercato. Si potrebbe porre, allora, il problema di quanti “drogati” può “sopportare” un paese. E qui il problema non è di poco conto. Così come è inquietante, almeno per chi scrive, chi argomenta che tutte le droghe dovrebbero essere legalizzate altrimenti la criminalità si concentrerebbe su quelle che restassero proibite. E francamente, una spinta ulteriore ad un processo di narcotizzazione che ha interessato molti paesi nel mondo, spesso con tragiche conseguenze, è l’ultima cosa che vorremmo. A chi ricorda che il mercato illegale delle droghe comporta gravi svantaggi e spese pubbliche elevatissime (sanitarie, di repressione, di recupero), si replica che con la legalizzazione aumenterebbero i pericoli per la salute umana – nella forma di un’epidemia da consumo di droghe – e, quindi, si avrebbe sicuramente un aumento della spesa sanitaria. Si aggiunge, inoltre, che la diminuzione del delitti collegati alle droghe comporterebbe un minor affollamento delle carceri, un calo delle attività degli uffici di polizia e giudiziari con l’ulteriore effetto positivo di recuperare risorse umane da indirizzare verso altri ambiti di rilevanza criminale.

Va anche detto che un’alta percentuale della popolazione, in generale quella più adulta, è contraria alla legalizzazione delle droghe, influenzata, in ciò, dai condizionamenti ideologici, culturali e sociali. Il vero problema, poi, rimane che una vera guerra alla droga dovrebbe essere indirizzata anche verso tutti quei governanti, parlamentari, funzionari pubblici, giudici, poliziotti, corrotti, uomini d’affari e banchieri che, nascostamente, in molti paesi, militano nelle fila dei narcotrafficanti. Mezzo secolo fa una riflessione sul tema l’aveva fatta Giuseppe Di Gennaro, direttore per diversi anni dell’agenzia antidroga dell’Onu (incarico che gli venne revocato senza una spiegazione plausibile) sottolineando la “..forza invincibile dell’indifferenza e del cinismo dei politici che gestiscono il potere. In molte parti del mondo, compresa l’Italia, essi utilizzano il tema della lotta alla droga per ottenere consensi e sostegno. Sanno che si tratta di materia che mobilita l’emotività delle folle e che parlarne, specialmente con toni magniloquenti, porta buon frutto. Nei fatti il loro impegno è inesistente” (cfr. La guerra della droga, Mondadori, 1991). Una riflessione drammaticamente attuale se ci diamo uno sguardo intorno.

Boom di marijuana e amfetamine

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