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Viva la libertà di stampa, ma solo quando fa comodo

Paolo Borrometi il . L'analisi

press“I giornali devono essere scomodi”. In questa giornata mondiale per la libertà di stampa, mi tornano alla mente le parole di Ferruccio De Bortoli, in occasione del saluto ai lettori del Corriere della Sera.

Raccontare la verità, proteggerla dalle “verità di comodo”, anche quando raccontarla può essere pericoloso, per la propria vita o la propria carriera.

D’altronde il giornalismo è il “cane da guardia della democrazia”. Questo è il ruolo che la libera stampa deve svolgere in una società democratica, secondo una formula ripetutamente utilizzata, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e non solo.

Sono in molti, però, a desiderare che il cane da guardia non morda e sia accorto nell’abbaiare. Insomma, che non disturbi.

Ci sono volte in cui quella ricerca della “verità” trasforma le parole in macigni, le trasforma in strumenti di sangue. Articoli che diventano incubi, inchieste che scottano e costano carissime a chi le realizza. Ma un giornalista ha il dovere di raccontare. Un giornalista che non scrive la verità, che non si guarda intorno, che non ha il coraggio di denunciare, non è solo una persona che semplicemente non sta facendo il proprio dovere nei confronti dell’opinione pubblica, ma avrà anche la responsabilità di portarsi sulla coscienza i dolori, le sopraffazioni e le ingiustizie subite dalle migliaia di cittadine vittime delle mafie, del malaffare, della corruzione.

Insomma, fare informazione e farla con tutti i crismi del giornalismo d’inchiesta, proprio quello che non guarda in faccia nessuno, costa carissimo. E ciò non solo nei regimi autoritari, ma anche in Paesi che sono di solito considerati “democratici”: penso alla Turchia, alla Cina, alla Russia, alla Bielorussia e ad altri Paesi dell’America Latina.

E’ inutile “batterci il petto” un giorno ogni 365 e far calare il silenzio sui tanti colleghi rinchiusi nelle carceri Turche o far finta di nulla relativamente alle croniste ed ai cronisti che, nelle periferie del nostro Paese, rischiano insulti e botte per assolvere al proprio compito del diritto – dovere di informare con attenzione e precisione.

Quelle penne, strumento di libertà, che si trasformano in un cappio, in solitudine urlante, in aggressione fisica, in esperienze che gridano vendetta. Che stravolgono la vita di chi è costretto a vivere sotto l’occhio vigile di “angeli custodi”.

Quelle storie di giornalisti costretti a trascorrere le proprie giornate dagli avvocati per difendersi dalle querele temerarie, altro problema irrisolto (a volte penso volontariamente) dalla politica italiana.

Un Paese, il nostro, che prevede ancora il carcere per i giornalisti e che, però, perde tempo a dividersi fra chi incita di più alla gogna mediatica per il giornalista scomodo di turno.

Però tutti inneggiamo al giornalismo libero. Si, libero, finchè non tocca noi o la nostra parte politica: a quel punto non è più libero, è prezzolato.

Viva la libertà di stampa, insomma, ma solo quando fa comodo a noi!

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