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Gli affari “bloccati” della camorra

Donatella D'Acapito il . Senza categoria

donna-sophiaDa Napoli a Milano e perfino in Svizzera. Gli affari della famiglia Potenza, originaria del rione partenopeo di Santa Lucia, si erano allargati tanto da superare i confini regionali e nazionali. Così ieri mattina, fra i 20mln di beni oggetto di un decreto di sequestro emesso dalla Sezione misure preventive del Tribunale di Napoli, figura anche il ristorante Donna Sophia nella centralissima Corso di Porta Ticinese, punto nevralgico tra il Duomo e i Navigli.
Imprenditori storicamente dediti al contrabbando di sigarette fino agli Anni ’90, i Potenza – guidati dal capostipite Mario detto ‘o chiacchierone, affiancato da Bruno, uno dei tre fratelli insieme ad Assunta e a Salvatore cui sono stati sequestrati i beni – intraprendono poi la via dell’usura investendo i proventi illeciti accumulati nel corso degli anni in immobili e attività commerciali.
E le nuove indagini patrimoniali dimostrano non solo che la sala ricevimenti nota come “Villa delle Ninfe” a Pozzuoli, una cospicua parte delle attività principali di ristorazione del lungomare di Via Caracciolo e del quartiere di Chiaia si sono trasformati in lavanderie per il denaro sporco, ma dimostrano perfino che quel denaro illecito era in parte riconducibile anche a Salvatore Lo Russo, vertice dell’omonimo clan camorristico di Miano e oggi collaboratore di giustizia.
I tre fratelli Potenza, comunque, avevano imparato bene l’arte del riciclaggio e, oltre agli immobili, reinvestivano anche in quote societarie (società che nella maggior parte dei casi si occupavano della somministrazione al pubblico di alimenti e bevande) e rapporti finanziari riconducibili agli stessi, accesi presso istituti bancari elvetici, in particolare in particolare la BSI Bank di Lugano. Avranno imparato bene, e forse negli ultimi anni avranno dovuto affinare l’arte della mimesi, visto che questo ultimo provvedimento non è altro che lo sviluppo di una indagine condotta dal centro operativo partenopeo della Dia nel giugno del 2011. Quella volta furono eseguite numerose ordinanza di custodia cautelare nei confronti di varie persone, fra cui anche gli stessi fratelli Potenza e Mario ‘o chiacchierone, oggetto quella volta di un provvedimento di sequestro per 10mln di beni, 8mln dei quali – in banconote – furono ritrovati durante una perquisizione in casa sua, nascoste fra intercapedini e muri. Troppi questi risparmi per un uomo che vive che, sulla carta, per vivere deve sommare la pensione sociale con una di invalidità civile…
Certo, stavolta era un po’ difficile nascondere sotto la mattonella terreni, appartamenti o macchine. Ma non deve sorprendere la scelta di investire nella ristorazione. “Sono almeno 5mila i locali della ristorazione del nostro Paese nelle mani della criminalità organizzata che approfitta della crisi economica per penetrare in modo sempre più massiccio e capillare nell’economia legale”, dice la Coldiretti commentando l’azione della Dia. “Acquisendo e gestendo direttamente o indirettamente gli esercizi ristorativi, le organizzazioni criminali hanno la possibilità di rispondere facilmente ad una delle necessità più pressanti: riciclare il denaro frutto delle attività illecite come è emerso dal Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes, e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Il volume d’affari complessivo delle agromafie è salito – rileva la Coldiretti – a 21,8 miliardi di euro (+30% in un anno) perché la filiera del cibo, della sua produzione, trasporto, distribuzione e vendita, ha tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’interesse di organizzazioni criminali”.
L’agroalimentare sembra essere il solo settore, in tempo di crisi, a garantire una possibilità di infiltrazione capillare nella società civile condizionando la vita quotidiana delle persone. Le attività ristorative stanno diventando sempre più lo schermo legale dietro cui si cela un’espansione mafiosa sempre più aggressiva ma al contempo integrata nell’economia regolare. Uno schermo dietro cui i patrimoni, illecitamente accumulati, sembrano dissolversi nei meandri di scatole cinesi delle holding finanziarie, partecipate da soggetti quantomeno dubbi.

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