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Una testa, un voto

Rocco Artifoni il . L'analisi

voto immigrati“Gentile parlamentare, poiché nelle prossime settimane il Parlamento sarà impegnato nella definizione della nuova legge elettorale le saremmo assai grati se volesse adoperarsi affinché nel dibattito che porterà ad essa sia introdotto il tema del riconoscimento del diritto di voto ai milioni di persone presenti in Italia cui attualmente tale diritto non è riconosciuto essendo nate altrove”. Inizia così l’appello promosso dal “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani” di Viterbo, che si inserisce nel dibattito sulla nuova elettorale, proponendo un punto di vista diverso dalla tradizionale impostazione che oscilla tra sistema proporzionale e maggioritario. A monte della tecnica elettorale c’è un problema di rappresentanza democratica, che riguarda le persone che di fatto si trovano nel nostro Paese.
“Come è a tutti noto – prosegue il documento – vivono stabilmente in Italia oltre cinque milioni di persone non native, che qui risiedono, qui lavorano, qui pagano le tasse, qui mandano a scuola i loro figli che crescono nella lingua e nella cultura del nostro paese; queste persone rispettano le nostre leggi, contribuiscono intensamente alla nostra economia, contribuiscono in misura determinante a sostenere il nostro sistema pensionistico, contribuiscono in modo decisivo ad impedire il declino demografico del nostro paese; sono insomma milioni di nostri effettivi conterranei che arrecano all’Italia ingenti benefici ma che tuttora sono privi del diritto di contribuire alle decisioni pubbliche che anche le loro vite riguardano”.
Ovviamente la questione del diritto di voto per le persone immigrate non è nuova, ma ha fatto bene il Centro viterbese, da decenni impegnato in queste tematiche, a riproporre il tema in questo periodo, in cui è rilevante la discussione tra le forze politiche e l’attenzione dell’opinione pubblica: “È ben noto che il fondamento della democrazia è il principio una persona, un voto; l’Italia essendo una repubblica democratica non può continuare a negare il primo diritto democratico a milioni di persone che vivono stabilmente qui”.
In realtà, non si tratta soltanto di democrazia e di diritto, ma anche di prevenzione e di sicurezza. Nel senso che “il riconoscimento dei diritti politici è il modo migliore per contrastare adeguatamente l’emarginazione e la disperazione di persone che private degli elementari diritti democratici divengono ipso facto vittime reali o potenziali di ogni sorta di abusi e umiliazioni; e quindi è anche il modo migliore, la guarentigia indispensabile, per contrastare adeguatamente il conseguente montare dello smarrimento e del risentimento e con essi le possibili derive violente e criminali da parte di persone così brutalmente sopraffatte e fin annichilite da perdere la cognizione del bene e del male e divenir preda di poteri mafiosi e terroristi, di farneticanti, sadici e necrofili criminali predicatori d’odio e seminatori di strage. La barbarie si contrasta con il diritto, con la civiltà, con l’umanità”.
L’appello è stato sottoscritto da numerose persone autorevoli, tra le quali Anna Bravo (storica), Giuliano Pontara (filosofo della nonviolenza) e Alex Zanotelli (missionario comboniano).
I promotori si rivolgono a senatori e deputati, chiedendo un “persuaso interessamento ed effettivo impegno”. In altre parole che svolgano con consapevolezza e determinazione l’attività politica, un compito che sempre richiede un alto ed esigente senso di responsabilità.

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