NEWS

Quando lo sviluppo è di comunità

Luigi Lochi il . Senza categoria

leggere-il-volontariato-1“Un forte vento di reazione, che ha motivazioni diverse, comprensibili, talora giustificate, ma che soffia nella stessa direzione: quella reazionaria. Non saranno l’ANPI e Bersani a inverare a sinistra la vittoria dei «no». Chissà che cosa avrebbe detto Gramsci di una strategia che ha accompagnato un po’ di sinistra dentro la destra. Saranno i Salvini e i Grillo a inverare quel risultato. Eterogenesi dei fini per molti che hanno votato in buona fede no.” Così Gianfranco Brunelli sull’ultimo numero de Il Regno sintetizza il senso della recente vicenda referendaria. Una forte reazione soprattutto giovanile, delle periferie e del Mezzogiorno. Nei confronti di chi? Senza alcun dubbio nei confronti delle politiche messe in campo per cambiare verso all’Italia. Dei risultati insoddisfacenti rispetto alle attese suscitate. E poi nei confronti “dell’ostentazione di un ottimismo della volontà improponibile e stucchevole” (Aldo Schiavone, Corriere della Sera 13.12.2016). E ancora nei confronti di una modalità di governo in cui l’ascolto e la ricerca del consenso, forse, avrebbero dovuto rappresentare non semplici “step” di un freddo processo decisionale, ma le cifre stesse del cambiamento; perché dopo l’ascolto, la ricerca, non si è più gli stessi. La reazione del disagio ha di molto sovravanzato il giudizio sul merito della Riforma. La questione sociale ha bocciato la questione istituzionale. Il disagio e la disperazione hanno avuto la meglio sulla speranza e la fiducia. Il messaggio dell’ottimismo non accompagnato da segni tangibili del cambiamento si è sciolto in una sua triste parodia.
I giovani “telemaco” rischiano di essere semplicemente quelli che trovano nella ricchezza materiale e soprattutto culturale della propria famiglia un valido trampolino per il loro “volo”, che per questo si rivela meno folle. La maggioranza dei giovani delle periferie e del Mezzogiorno arrancano, senza il welfare minimalista assicurato dalle risorse (poche) delle proprie famiglie sperimenterebbero livelli di sussistenza ancora più precari, e non dispongono di un sufficiente capitale culturale che dia loro la possibilità di volare, la spinta e il coraggio di scommettere sulle proprie risorse. Ciò di cui hanno urgente bisogno, appunto, non è soltanto un capitale di competenze, di relazioni, di idee, ma anche e soprattutto un capitale di fiducia che allenti e sconfigga lo scoramento, la disillusione, la tristezza.
Che fare allora? Come riconnettere gli esclusi alle Istituzioni e prima ancora alla politica? Come sottrarli ai miraggi della pseudo-democrazia? Come far percepire loro lo “Stato amico”?
Mi rifaccio ad una semplice quanto innovativa esperienza che dice innanzitutto che la risposta a queste domande non può venire dall’alto ma dalle comunità, o meglio, oggi da quelle “tracce di comunità” che, come fiumi carsici, corrono nel sottosuolo delle città e che andrebbero svelate. Le comunità non sono i territori. Abbiamo sperimentato, infatti, come il territorio non sempre è capace di superare i limiti del centralismo statale, anzi li riproduce, amplificandoli. Il territorio guarda le comunità con lo sguardo di chi gestendo il portafogli indica, magari praticando una apparente concertazione, il proprio astratto modello di sviluppo secondo l’antica logica del “mandarinato”: dirottare il corso del fiume di denari verso settori, imprese, territori considerati strategici per il proprio “mercato politico”.
Ecco, allora, l’esperienza. Nella metà degli Anni Novanta intorno ad una piccola struttura pubblica e cioè Imprenditorialità Giovanile, nata per gestire le prime misure innovative in tema di promozione del cosiddetto capitalismo diffuso mediante l’autoimprenditorialità, Giuseppe De Rita, Carlo Borgomeo e Aldo Bonomi declinarono secondo linguaggi e contenuti nuovi una modalità di accompagnamento dei processi di sviluppo delle comunità la cui intuizione si deve ad Adriano Olivetti. Attraverso le “Missioni di sviluppo” e gli animatori di comunità si tentava di riannodare le relazioni comunitarie ( le reti corte) e si tentava di ripristinare il legame con le Istituzioni (le reti lunghe) intorno alla “domanda di sviluppo” che la comunità attraverso i suoi attori veniva accompagnata a costruire. “I processi di comunità – osservava De Rita – si strutturano e si fanno società, ma devono diventare condensa istituzionale ed essere accompagnati dalle Istituzioni”. Non si confondano, però, i processi di comunità con le cosiddette pratiche della concertazione. La composizione sociale postfordista che caratterizza la comunità di oggi, non può essere, infatti, affrontata con i modelli fordisti della concertazione. La crisi di rappresentanza non riguarda solo i partiti, ma si estende ai sindacati, alle associazioni professionali e di categoria.
In questi processi di comunità occorre: 1. stanare soprattutto gli innovatori, i giovani che vogliono scommettere sulle loro potenzialità, rischiare il proprio talento, i propri “principi attivi”, e mettere fuori gioco “gli estrattori di rendita” che bloccano ogni vera ri-nascita; 2 stare sul territorio e uscire dalla «prigione del disegno» elaborato  in astratto dal centro; 3. relativizzare l’importanza delle procedure per concentrarsi sulla attuazione di pochi e chiari obiettivi strategici; 4. definire i risultati non più in termini di esecuzione di meri adempimenti amministrativi e di quantità di risorse impegnate, ma facendo attenzione alla qualità dei risultati.
Questi processi di comunità hanno possibilità di inverarsi solo se si riconoscere che la presenza di una bella impresa o addirittura di un distretto di imprese non producono automaticamente lo sviluppo di una comunità. Perché lo sviluppo – sottolineava Giorgio Ceriani Sebregondi nel 1950 – è il risultato della “migliore combinazione possibile” dei fattori materiali e immateriali di quella comunità.
Quando questo modello di accompagnamento, che ha avuto il grande merito di porre l’accento più sulla “domanda” di sviluppo che la comunità era in grado di esprimere che sulla “offerta” di risorse che il centro era capace di attivare, è stato in una certa fase imprigionato nelle più fredde regole procedurali centralistiche prima e regionalistiche dopo, si è consumato l’ultimo tentativo di affrontare la tristezza” delle popolazioni meridionali scommettendo davvero sulle loro potenzialità di riscatto.
E’ una esperienza che ho voluto richiamare anche perché, allora, le elite con la loro vecchia e supponente cultura della pianificazione dal centro ( si ricordino le famose 100 idee di Ciampi) considerarono quel modello, che intercettava la vita vera delle comunità, alla stregua di una “ragazzata”. Oggi, quelle elite ancora pontificano, ma in ben altra direzione. Ecco, l’altro effetto che i processi di comunità possono favorire: stanare una nuova elite che fa propria l’ammonizione di De Rita secondo cui si governa accompagnando e non comandando.

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link