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Trapani, doppio colpo contro i clan

Rino Giacalone il . Sicilia

Un duplice sequestro di beni per circa 7 milioni di euro è stato eseguito nel trapanese. Il totale delle somme sinora sequestrate e confiscate alla mafia ed ai “colletti bianchi” continua a salire. Ma la mafia, sebbene impoverita, resiste ancora. Colpiti, in due distinte operazioni, gli uomini che investigatori della Polizia, della Finanza e della Dia ritengono funzionali alla latitanza del boss Matteo Messina Denaro.
Un primo sequestro di beni, per 3 milioni di euro, ha colpito Giovanni “Mimmo” Scimonelli , nato 49 anni fa in Svizzera, a Locarno, ma residente a Partanna, uno dei paesi che continua ad essere caposaldo della mafia belicina. Secondo un pentito, Scimonelli sarebbe uno dei pochi che avrebbe incontrato il boss latitante. La notifica del provvedimento, eseguita dai poliziotti della Divisione anticrimine della Questura di Trapani e dai Finanzieri, è avvenuta ad inizio di settimana, alla vigilia del 24° anniversario della strage mafiosa di via D’Amelio a Palermo. Scimonelli è intanto in carcere, è stato condannato a maggio scorso a 17 anni, capo mafia del clan di Partanna (lo stesso clan indicato nella recente indagine della Dda di Milano a proposito di appalti per l’Expo), e “postino” dei “pizzini” da e per Matteo Messina Denaro. Per consegnare la corrispondenza del boss, Scimonelli addirittura, per come ha raccontato il collaboratore di giustizia Attilio Fogazza, pentitosi dopo essere stato arrestato per un delitto ordinato da Scimonelli, utilizzava la figlia: se la portava in giro tenendo i “pizzini” nello zaino della piccola o in tasca al giubbotto che apposta le si faceva indossare, e così i “pizzini” arrivavano anche a Castelvetrano quando erano destinati ai parenti del capo mafia.
Fogazza ai pm di Palermo ha raccontato che Scimonelli, che si presentava come “amico d’infanzia” di Matteo Messina Denaro, nel 2010 gli raccontò di un incontro col boss al porto di Mazara: «Mi sono visto cu’ siccu (alias del capo mafia). È nervoso perché cominciano a mancare i soldi e non può pagare chi è in carcere». Ancora un altro ricordo di Fogazza: «Nel 2012, Scimonelli mi chiese un’auto in prestito, gli diedi una Punto. Tornò con l’ auto, le scarpe e i jeans tutti sporchi di fango. Gli ho chiesto: ma dove sei stato? E lui mi rispose che aveva incontrato Matteo Messina Denaro nelle campagne tra Mazara e Salemi. Un giorno, al bar, su un giornale c’era la foto di Messina Denaro e lui mi disse: e quando lo prendono? È completamente cambiato».
Scimonelli sarebbe stato il più eclettico dei “postini” del boss Matteo Messina Denaro. Eclettico perché i poliziotti e i carabinieri che per mesi lo hanno pedinato, prima di arrestarlo lo hanno visto occuparsi di terreni e vigneti e allo stesso modo frequentare importanti uffici ministeriali romani. Poco prima dell’arresto nell’agosto di due anni addietro, infatti, Scimonelli era in contatto con un funzionario del Ministero dello Sviluppo Economico per ottenere un finanziamento da 700 mila euro. E a Roma Scimonelli andava anche perché componente del consiglio nazionale della Democrazia Cristiana dell’on. Angelo Sandri. Un brillante quanto spregiudicato manager che riusciva anche a primeggiare nella famosa rassegna vinicola veronese del Vinitaly. “Secondo le nostre indagini – ha detto il dirigente della divisione anticrimine della questura di Trapani Manfredi Lo Presti – Scimonelli era il raccordo tra la compagine mafiosa e il latitante, agendo attraverso l’imposizione di tangenti nei confronti di imprenditori che si aggiudicavano le gare d’appalto. È presente una notevole sperequazione nei conti di Scimonelli, condizione che ci ha convinti del nostro operato. Parte dei beni, già nel novembre 2015 erano rientrati in un sequestro preventivo, ma quello odierno – ha aggiunto Oriana Tubia, della Divisione Anticrimine – prevarrà sul precedente”.
Il pool della Dda di Palermo che ha indagato su di lui non sono nemmeno sfuggiti i continui viaggi in Svizzera, lui potrebbe essere stato l’uomo che per conto di Matteo Messina Denaro teneva le chiavi di “casseforti” elvetiche. È risultato intestatario di numerose carte di credito e bancomat, carte di credito rilasciate anche da banche estere, e non è escluso che un paio di queste carte erano nelle mani di Messina Denaro. Tra gli affari seguiti da Scimonelli, a parte quelli riguardanti la realizzazione di parchi eolici, anche quello relativo all’acquisto all’asta di un terreno appartenuto al famoso esattore di Salemi, Nino Salvo. “Durante le indagini abbiamo segnalato oltre dieci presunti prestanomi – ha detto il tenente Vincenzo Lanza del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza – rilevando ad esempio la condizione finanziaria della prestanome che a fronte di un cospicuo patrimonio intestato non aveva riferimenti ne’ rispetto al passato ne’ rispetto al suo stile di vita”.
L’altro sequestro, operato dalla Dia di Trapani, sempre lo scorso 18 luglio, ammonta a 4 milioni di euro e riguarda due imprenditori mazaresi, col pallino della politica. Sono Giuseppe e Andrea Burzotta, padre e figlio. Giuseppe fu consigliere comunale a Mazara negli anni ’90 e fu arrestato (operazione Petrov marzo ’94) ma poi assolto dalle accuse di mafia. Il figlio, Andrea, è stato consigliere provinciale e ora è consigliere comunale di Forza Italia. Burzotta avrebbe preso in carico il sostentamento di taluni componenti del sodalizio mafioso mazarese, attraverso il sistematico ricorso ad attività finanziarie illecite oltre che alla gestione occulta di imprese intestate a compiacenti prestanome. Il figlio Andrea sarebbe complice del padre nell’attività di trasferimento fraudolento di beni. Il nome di Giuseppe “Pino” Burzotta lo si coglie in diverse indagini antimafia, a cominciare da quelle che hanno scoperchiato gli interessi di Cosa nostra negli impianti eolici. I provvedimenti di sequestro sono stati tutti emessi dal Tribunale delle Misure di prevenzione di Trapani.

 

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